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repici tribunale viterboIl duro commento del legale della famiglia di Attilio Manca
di Lorenzo Baldo

“E’ il prevedibile epilogo del ‘Truman show’ processuale che si è celebrato a Viterbo a partire dal mese di febbraio del 2004”. Non usa mezzi termini l’avvocato Fabio Repici commentando la sentenza di condanna nei confronti di Monica Mileti per la morte di Attilio Manca. Per il legale della famiglia Manca (al quale da alcuni anni si è aggiunto l’ex pm Antonio Ingroia) è logico pensare che la difesa della cinquantenne romana farà appello “per ottenere una prescrizione in secondo grado”. Ma è su quelli che definisce “due fatti dimostrativi di cosa sia stata la giustizia a Viterbo” che lo stesso Repici intende focalizzare la sua attenzione. Il primo riguarda l’esclusione come parte civile dal processo della famiglia Manca: “un assurdo!”. “La ragione era pratica – spiega il legale messinese – il ‘Truman show’ viterbese, con la presenza delle parti civili, avrebbe avuto difficoltà di svolgimento”. Per l’avvocato Repici la seconda dimostrazione “l’ha data personalmente il Procuratore della Repubblica Paolo Auriemma”. “L’attuale Capo della Procura di Viterbo – sottolinea –, che ha ritenuto così importante il processo a carico di Monica Mileti tanto da svolgere personalmente la requisitoria, è la stessa persona che si è ‘nascosta’ il giorno in cui è comparsa davanti al Tribunale di Viterbo la mamma di Attilio Manca per rispondere come testimone a qualunque domanda le fosse stata posta. In quella occasione il Procuratore della Repubblica si è fatto rappresentare da una vice procuratrice onoraria. In quella udienza, alla testimone – madre di Attilio Mancané il pubblico ministero, né la difesa dell’imputata hanno avuto domande da rivolgerle: a dimostrazione di quant’era l’attaccamento alla verità delle parti processuali”. “Che poi il Procuratore di Viterbo – continua Repici – si sia speso con grande vigore a definire ‘ipotesi fantasiose’ le stesse ipotesi investigative che la Procura di Viterbo ha omesso di praticare, è una specie di ‘confessione’. Prima di definirle ‘fantasiose’, il Procuratore di Viterbo avrebbe avuto l’obbligo di convocare i collaboratori di giustizia che hanno parlato dell’omicidio di Attilio Manca. Definirle ‘fantasiose’ per poi ‘scappare’ dal confronto con le prove stesse dà l’impressione di una necessità di trovare un epilogo che serva ad altro piuttosto che alla giustizia”. L’analisi del legale dei Manca va quindi a toccare i nervi scoperti della procura laziale. “Da quando è morto Attilio Manca l’allora pubblico ministero di Viterbo, Renzo Petroselli, ha fatto per 10 anni il processo ‘contro’ Attilio Manca. Alla fine – a causa della testardaggine dei familiari di Attilio Mancasono stati costretti ad aprire un procedimento a carico di varie persone e poi, pur di sgombrare il campo da realtà scabrose che andavano coperte, hanno deciso di fare il processo unicamente a carico di Monica Mileti. Che si merita la pena ricevuta e anche di più visto che ha omesso in ogni modo di difendersi”. La questione dei collaboratori di giustizia che hanno parlato dell’omicidio di Attilio Manca viene successivamente approfondita dal legale dei Manca. Che evidenzia come non siano mai stati convocati dalla Procura di Viterbo, né tanto meno dal Giudice di ufficio, così come nemmeno dalla difesa dell’imputata che “era la prima parte interessata”. “Questa convergenza di indirizzo tra accusa e difesa mi sconvolge – sottolinea Repici –. E’ un argomento sul quale si dovrebbe compiere una seria riflessione”. L’analisi dell’avvocato della famiglia Manca si snoda attraverso un vero e proprio atto di accusa nei confronti del pm Petroselli (attualmente in pensione). “Proprio nel momento in cui – continua Repici –, secondo l’ipotesi che è stata ritenuta oggi veritiera dal Tribunale di Viterbo, c’era la possibilità di acquisire prove a carico di Monica Mileti (ad esempio disponendo intercettazioni), il pm Petroselli non fece nulla perché in realtà non c’era la volontà di raccogliere prove contro nessuno e nemmeno contro Monica Mileti. L’unica volontà era quella di dimostrare che Attilio Manca fosse persona da ‘mascariare’. Una volta ottenuto quel risultato la Procura di Viterbo non ha fatto più niente. A me sembra una sorta di omissione di atti di ufficio!”. Il legale dei Manca ci tiene a richiamare l’attenzione su un dato specifico: “È una notizia pubblica che alcuni collaboratori di giustizia hanno parlato dell’omicidio di Attilio Manca, ebbene nel processo in cui l’oggetto è la morte dello stesso Manca, quei collaboratori di giustizia non sono stati sentiti!”. Per Repici tutto ciò è assolutamente “inqualificabile, al limite dell’omissione degli atti di ufficio”. “Delle due l’una: o qualcuno dimostrerà che questi pentiti hanno inventato fandonie – vorrei capire chi ha il coraggio di sostenere una simile tesi, e vorrei che si facesse avanti – oppure non si può che prendere atto della omissione di atti di ufficio della Procura di Viterbo”.
“Ritengo che si debba avere fiducia nella forza della verità – conclude il legale dei Manca – seppur con tutte le difficoltà del caso, alla fine la verità non può essere tenuta per sempre sotto una coltre impenetrabile”. Parole forti. Che inevitabilmente finiscono per essere rivolte alla Procura di Roma nei confronti della quale – a partire da oggi – aumenta ulteriormente l’aspettativa di verità e di giustizia per Attilio Manca.

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