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Il meccanismo si inceppa a luglio 2012 quando il Prefetto di Reggio Emilia emette alcuni decreti interdittivi nei confronti di alcuni dei partecipanti alla cena. Questi decreti dispongono la revoca dell’autorizzazione alla detenzione e/o al porto di armi. I personaggi colpiti sono Pasquale Brescia, Giuseppe Iaquinta, Antonio Muto e Alfonso Paolini. A questo punto Nicolino Sarcone, interpellato da Paolini, decide di rivolgersi a Giuseppe Pagliani, questa volta non in qualità di politico ma in qualità di avvocato affinché possa dar loro una mano per redigere i ricorsi al TAR. Il 18 luglio 2012 Sarcone e Diletto si recano presso l’ufficio dell’avvocato Pagliani che però è assente e vengono ricevuti dal collaboratore di Pagliani, Libero D’Incecco, incaricato di occuparsi della pratica. Resosi però conto di non essere in grado di svolgere la pratica, D’Incecco decide di non accettare l'incarico e ascoltato dagli inquirenti afferma di avere piena autonomia per la gestione dei "clienti poco importanti" o le pratiche di scarso rilievo dello studio. Questa circostanza viene giudicata dal giudice come “chiaro segnale di cedimento di Pagliani, che era stato sicuramente informato da Paolini che a lui si era rivolto, tranne poi essere deviato su D'Incecco dei provvedimenti prefettizi adottati e del servizio dei carabinieri effettuato presso gli Antichi Sapori che ne costituiva la causa fondante. L'anomalia che a Pagliani non poteva non essere balzata alla mente era che a quella cena c'era anche lui. Ed è verosimile che già allora il politico avesse intuito che la vicenda avrebbe probabilmente avuto un risvolto pubblico. In ogni caso, da questo momento in avanti, gli argomenti che Pagliani si era impegnato a spendere per il sodalizio avevano perso tutta la loro portata astratta ed accattivante, perché avrebbero, sempre e comunque, parlato anche di lui. In questo momento Pagliani cominciava a difendere la sua persona”. Ecco spiegata dunque la “piena e consapevole adesione al progetto propostogli da Nicolino Sarcone, salvo poi defilarsi,forse anche impaurirsi, al verificarsi di una inaspettata evoluzione degli eventi” di cui abbiamo parlato all’inizio di questo articolo. È l’avvocato Sarzi Amadè che prepara i ricorsi al TAR, ai quali Pagliani decide di allegare una lettera in cui afferma di essere stato presente alla cena rivendicando la natura politica dell'iniziativa e precisando che "alla serata hanno partecipato tante persone sopraggiunte alla spicciolata in quanto argomento dell'incontro era la grave crisi dell'edilizia, delle imprese meridionali operanti sul territorio reggiano, il rapporto con ti sistema creditizio e le gravi esternazioni che la presidente della Provincia Sonia Masini mia concorrente aveva rilasciato ai giornalisti nei giorni precedenti. La partecipazione all'incontro era libera e ciascun partecipante che si è intrattenuto alla cena ha provveduto a pagare il proprio conto". Nel redigere i ricorsi al giudice amministrativo in favore dei soggetti colpiti dalle interdittive prefettizie, l’avvocato Sarzi Amadè scrive il nome di Pagliani tra gli organizzatori della cena. A questo punto Pagliani è costretto a rilasciare una dichiarazione pubblica: “A tale cena sono giunto dopo circa un’ora dall’inizio. Ho svolto il mio intervento come sempre faccio in qualsiasi occasione pubblica in cui sono invitato. A questa cena erano presenti giornalisti reggiani oltre a numerosi professionisti anch’essi interessati ai problemi legati alla crisi economica dell’edilizia. Purtroppo l’avvocato Antonio Sarzi Amadè, che era presente alla cena, nel ricorso presentato al Tar di Parma ha scritto erroneamente che la stessa era stata da me organizzata. Da sempre sostengo l’opera del Prefetto Antonella De Miro volta a combattere fenomeni di infiltrazioni malavitose nel nostro territorio provinciale, e nessuno potrà con notizie strumentali mettermi contro la stessa ammiro chi opera a favore della giustizia e da storico militante della destra politica ritengo che l’ordine pubblico, laddove vi siano colpe provate, sia un valore da imporre con fermezza nella società in cui viviamo”.

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