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agostino vincenzo occhidi Lorenzo Baldo
Vincenzo Agostino: “quella verita' e giustizia per Nino e Ida che ci hanno sempre negato”
“Ma tu riesci ad immaginare come mi posso sentire io in questo momento? No, non te lo puoi immaginare. Ed è meglio così... perché mi auguro che nessuno entri nel luogo dove mi trovo ora...”. Non ha più voce Vincenzo Agostino, padre dell'agente di polizia Antonino Agostino assassinato il 5 agosto 1989 assieme a sua moglie, Ida Castelluccio (all'epoca incinta). E' come se il grido spezzato di questo anziano padre dalla lunga barba bianca – mai tagliata fino a quando non avrà giustizia – giungesse dalle stanze vuote di un luogo senza tempo. Stanze rivestite unicamente di un dolore senza rimedio dove mai nessuno dovrebbe entrare. “Mi auguro che nessun padre, nessuna madre, nessuna sorella o fratello possa subire quello che stiamo subendo noi... Dopo 27 anni è come se mio figlio e mia nuora fossero stati uccisi un'altra volta... Ed è come se ci fosse qualcuno ad aspettare che mia moglie ed io moriamo... Ma non sanno che ci saranno i miei figli e i miei nipoti a chiedere verità a giustizia. Noi non chiediamo altro se non quella verità e giustizia che è stata negata alla famiglia Agostino! E questo perché dietro l'omicidio di Nino e Ida c'è lo Stato. E non solo dietro l'omicidio di mio figlio e di mia nuora! Ecco perché spero che si faccia piena luce sulla loro morte, non solo per la mia famiglia, ma anche per l'Italia intera e per i giovani del futuro. Altrimenti siamo sotto una dittatura e nessuno se ne accorge...”. La comunicazione si interrompe. Il cuore di Vincenzo Agostino è messo a dura prova, come quello di sua moglie Augusta. Spesso, con una dignità fuori dal comune, la madre di Antonino ha ricordato che se non avrà giustizia finché sarà ancora in vita, i suoi figli, sulla sua lapide, dovranno scrivere: “Qui giace Augusta, una madre di un agente di polizia in attesa di giustizia, anche oltre la morte”.

Quella giustizia negata che brucia ancora nelle parole di Vincenzo Agostino pronunciate un paio di anni fa in occasione della giornata della memoria di Libera. “Ventisei anni fa – aveva affermato con profonda convinzione il 21 marzo 2015 – mi dissero che per avere le risposte sull’omicidio di mio figlio e di mia nuora dovevo guardare all’interno… all’interno delle istituzioni, intendo dire… ed oggi ne sono ancora più convinto”. “So benissimo che ci sono persone in vita che sanno dell’omicidio di mio figlio e di mia nuora ma non vogliono parlare. Ma perché questi individui non si fanno un esame di coscienza? Ma forse non ce l’hanno e continuano a dire di non sapere nulla. E comunque io gli chiedo ugualmente di dire la verità perché altrimenti saranno sempre incatenati l’uno con l’altro”. Quelle stesse catene che imprigionano le verità occultate di questo Paese. Catene pesanti, che ogni familiare di vittima di mafia – o di Stato-mafia – cerca di spezzare con forza tutti i giorni. Tra questi c'è anche la madre del giovane urologo di Barcellona Pozzo di Gotto Attilio Manca, Angelina, che dal febbraio del 2004 (quando Attilio fu trovato morto in circostanze misteriose) si batte, assieme al marito e al figlio minore, per avere verità e giustizia. Angelina affida a facebook poche parole di affetto e solidarietà nei confronti della famiglia Agostino: “comprendo che oggi è un'altra sconfitta, un'altra pugnalata al cuore, ma sono convinta che passato questo momento di sconforto, continuerete a lottare con più forza di prima. Lo dobbiamo a Nino, Ida e a tutte le vittime innocenti uccise dallo Stato mafia. Non siete soli, c'è tanta gente che vi vuole bene e lotta assieme a voi. Mi stringo alla vostra famiglia con tutto l'affetto e la consapevolezza di ciò che si prova in questi momenti. Noi non ci arrenderemo mai!”. “È arrivata un'altra pugnalata – aveva scritto poco prima sull'omonimo social network Nunzia Agostino, una delle sorelle di Antonino – la richiesta di archiviazione. Restiamo in piedi come sempre a testa alta e con la schiena dritta, noi. Dio è grande a lui affido tutto”. Quelli che invece non hanno il diritto di restare a testa alta e – nel disprezzo generale – continuano a vivere nell'ombra, sono gli stessi mandanti ed esecutori dell'omicidio di Nino e Ida. Un delitto su cui non è stata messa una pietra tombale. C'è però una spada di Damocle: il fattore tempo. Sullo sfondo si muovono ancora impuniti personaggi ibridi di uno Stato-mafia. Ed è nei loro confronti che bisogna ancora investigare. Nella odierna richiesta di archiviazione i magistrati sottolineano di avere “tuttora in corso una complessa e articolata attività di indagine, in corso di svolgimento nell'ambito di autonomo procedimento, pendente nella fase delle indagini preliminari”. L'obbligo di mantenere alta l'attenzione verso questo filone di indagine diventa quindi di vitale importanza: per Nino, Ida, per quel figlio mai nato. Per tutte le verità mancanti del nostro disgraziato Paese. E soprattutto perchè mai più Vincenzo, Augusta e tanti altri debbano patire sulla propria pelle una così grave ingiustizia. Di Stato.

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