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"È mandante degli attentati di Capaci e via d'Amelio". Il 22 dicembre l'udienza preliminare

Un nuovo capitolo sulla stagione delle stragi del 1992 potrebbe aprirsi il prossimo 22 dicembre, a Caltanissetta, quando si terrà l’udienza preliminare di fronte al Gup dopo la richiesta di rinvio a giudizio del superlatitante di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, depositata dai pm nisseni, in quanto mandante delle stragi di Capaci e via d’Amelio. Secondo il procuratore capo di Caltanissetta Amedeo Bertone, i sostituti Lia Sava e Gabriele Paci e il pm Stefano Luciani, Messina Denaro fu tra i componenti della cupola mafiosa che sentenziò la condanna a morte di Falcone e Borsellino, tra il 1991 ed il 1992.
La richiesta di rinvio a giudizio, notificata alla madre del boss a Castelvetrano, arriva dopo un lungo lavoro d’indagine svolto dalla Procura nissena che aveva portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nel gennaio scorso.
Secondo la ricostruzione dei pm il ruolo della “primula rossa”, già condannato in via definitiva per le stragi del 1993, emerge dalle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia. Questi, nel corso degli anni, hanno spiegato come Messina Denaro reggesse già al tempo il mandamento della provincia di Trapani, facendo le veci del padre, il capomafia Francesco “Ciccio” Messina Denaro.
“Il coinvolgimento di Matteo Messina Denaro nelle stragi del '92 incarna il progetto della strategia stragista unitaria messa in atto da Cosa nostra” aveva dichiarato l’allora procuratore capo facente funzioni Lia Sava durante la conferenza stampa in cui si parlava dell’ordinanza di custodia.
I collaboratori di giustizia Vincenzo Sinacori e Francesco Geraci hanno raccontato più volte che Messina Denaro avrebbe preso parte, a settembre del 1991 al summit mafioso di Castelvetrano in cui sarebbe stato pianificato il progetto di assassinare Falcone.
“Il 23 ottobre è il giorno in cui viene iscritto a ruolo il maxi processo - avevano spiegato i pm - e Riina apprende che Presidente non sarà quello scelto e voluto, ma Valente, definito un 'gran cornuto', nel senso di inavvicinabile. È lì che, alla presenza dei Graviano, di Sinacori, Mariano Agate, si inizia a progettare la vendetta verso i traditori e l'eliminazione di Falcone, Martelli, giornalisti ed uomini di spettacolo che si erano messi in prima posizione contro la mafia”. Tra questi, avevano ricordato i pm, vi erano Maurizio Costanzo, che il 19 settembre 1991 brucia la maglietta con la scritta viva la mafia ed in un'altra trasmissione augura ai mafiosi anche di morire, quindi Santoro, Biagi, Barbato, persino Pippo Baudo, autore di alcune trasmissioni dove si invitava a prendere coscienza del problema mafia. Secondo la ricostruzione dei magistrati nisseni Riina a quel punto organizza due gruppi distinti decidendo che a Roma la cosa doveva essere fatta con esplosivo. Una preparazione che viene gestita da uomini di Brancaccio e Castelvetrano. Un legame tra le due famiglie mafiose che resiste ancora oggi. Ci furono gli appostamenti, l'esplosivo venne portato nella Capitale nascosto insieme alle armi su un camion, ma in quella fase, tra febbraio e marzo 1992, il gruppo non vede mai Falcone e Martelli al Ministero, quindi dice di poter eseguire l'attentato a Costanzo. Così salgono su Roma persino i Nuvoletta (Camorra) per dare una mano. Ma il 4 marzo ci sarà un cambio di rotta. Il commando venne richiamato in Sicilia da Riina e la responsabilità dell'operazione “Capaci” passò a Giovanni Brusca, che il 23 maggio premette il pulsante del telecomando che fece saltare la bomba lungo l'autostrada di Capaci. Secondo l’accusa anche l'omicidio del magistrato Borsellino fu progettato dal boss di Castelvetrano tenuto conto che, secondo alcuni collaboratori di giustizia, già vi era un progetto di morte fin da quando Borsellino era procuratore di Marsala.
C’è poi un elemento importante, emerso nell’indagine, ovvero le dichiarazioni del pentito Armando Palmeri, che ha raccontato di rapporti tra la mafia trapanese e uomini dei servizi segreti, proprio nel periodo delle stragi di Capaci e via d'Amelio. Il collaboratore di giustizia è l'ex autista del boss di Alcamo, Vincenzo Milazzo, e aveva rilasciato queste dichiarazioni alla procura di Palermo nel 1998, appena iniziata la sua collaborazione. Palmieri ha raccontato di come Milazzo fu attirato in un tranello e ucciso con un colpo di pistola alla nuca da un gruppo di mafiosi tra cui Matteo Messina Denaro. Milazzo sarebbe stato ucciso perchè non era d'accordo alle strategia stragista. "Sono dei pazzi, vogliono fare cose da pazzi" avrebbe detto il boss al suo fedelissimo autista, oggi collaboratore, mentre andavano via da uno degli ultimi incontri "con quella gente". È un fatto storico che il 14 luglio del 1992, cinque giorni prima della strage di via d’Amelio, Milazzo venne convocato dal suo migliore amico, il boss di Altofonte, Antonino Gioé, in un casolare nelle campagne tra Calatafimi e Castellammare del Golfo. È li che venne assassinato a colpi di pistola. E 48 ore dopo venne uccisa anche la sua fidanzata, Antonella Bonomo, incinta di appena tre mesi. Ed è anche da questi elementi che si continua ad indagare sulla presenza di soggetti esterni di Cosa nostra sulle stragi. Di questa “possibilità”, va ricordato, aveva parlato in passato anche il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza. L’ex boss di Brancaccio più volte ha riferito della presenza di uomo “non di Cosa nostra” nel giorno della consegna della Fiat 126, usata per l'attentato di Borsellino, nel garage di Villasevallos. Ed è proprio in quel luogo che l’auto venne caricata di esplosivo.