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IMG 0603di Aaron Pettinari - Foto
“Riforma fatta da chi non ha legittimazione morale necessaria a modificare la Costituzione”

“Altro che cambiamento, di cui tanto si parla in questi giorni, a proposito della riforma. Questa si muove in un percorso sostanziale di restaurazione con una svolta in senso autoritario”. E' questo il parere del sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, che ancora una volta prende posizione in vista del referendum costituzionale che vedrà impegnati al voto gli italiani il prossimo 4 dicembre. Il magistrato ieri sera ha partecipato al convegno organizzato dall'Anpi assieme al presidente dell’Anpi Carlo Smuraglia e il segretario regionale della Cgil Michele Pagliaro. Di Matteo ha dunque spiegato perché, a suo parere, il “No” sia una risposta necessaria ribadendo il proprio diritto ad esprimere un'opinione. “Dopo la mia partecipazione alla manifestazione 'Una notte per la Costituzione' c'è stato chi ha riportato il testo integrale del mio intervento per poi definire lo stesso come il 'programma politico del pubblico ministero Di Matteo', mettendo in guardia i lettori dallo sconfinamento di alcuni magistrati. Da parte mia dico che io rispetto i poteri ed i doveri del magistrato e che possono stare tranquilli da quel punto di vista. Però ci sono momenti in cui intervenire è necessario, e non è solo un diritto ma un dovere etico intervenire ed esporsi in prima persona. Io come ogni altro magistrato non dimentico di avere giurato fedeltà sulla Costituzione, non obbedienza ai governi o altre istituzioni, né tanto meno a soggetti che rivestono, a mio parere anche indegnamente, incarichi istituzionali”.
Il pm ricorda che quella che ci attende “non è una consultazione come le altre” ed avverte il rischio “di uno sbilanciamento dei poteri a favore dell'esecutivo” che porta, appunto, “ad una svolta autoritaria”. Quindi è entrato nel merito della riforma: “Siamo chiamati a decidere su una riforma che modifica 47 articoli della nostra Carta e che incide profondamente su aspetti fondamentali della democrazia. Nel caso prevalessero i Sì c'è il rischio di modificare il principio della separazione e l'equilibrio dei poteri dello Stato, sbilanciandolo a favore dell'esecutivo”.
Secondo il pm, dunque, la vera riforma passa da un'applicazione vera della Carta costituzionale vigente.
“Potremo dire in futuro che la sovranità appartiene al popolo, come dice l'articolo 1 della nostra Carta, quando il senato, qualora prevalessero i sì, diventerà un organismo composto da soggetti non eletti? Possiamo dire che è applicato il principio dell'equa retribuzione del lavoro? Possiamo dire che col numero chiuso dell'università sia applicato l'articolo 34 della Costituzione? Possiamo dire che effettivamente tutti i giudici rispondono soltanto alla legge in un sistema in cui sempre più sembra insinuarsi il male del collateralismo della magistratura rispetto alla politica?”, si è domandato Di Matteo. “La riforma è stata adottata e votata da un parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata dalla corte costituzionale costituzionalmente illegittima. Eppure a nessuno nelle Istituzioni, al Quirinale o altrove, è venuto in mente che questo non dà la legittimazione morale a un Parlamento di modificare la Costituzione. Inoltre si passa da un bicameralismo perfetto a un bicameralismo confuso. L'unica certezza sarebbe quella dell'immunità”.
Secondo il magistrato “non si può scindere il giudizio sulle modifiche alla Costituzione da quello sulla legge elettorale, l'Italicum, che lede gravemente il principio di rappresentatività sacrificato sul totem della stabilità dei governi”.


Il problema, secondo il pm, è che vi è “una forbice tra una costituzione formale che è quella scritta è una costituzione materiale" e critica la revisione di Renzi per cui si passa “da un bicameralismo perfetto a un bicameralismo confuso", in cui "l'unica certezza sembra l'acquisizione di spazi di immunità penale per soggetti che sappiamo essere largamente interessati da inchieste in corso, senza volere criminalizzare intere categorie".
Nel suo intervento Di Matteo ha anche ricordato che questa riforma “risponde alle esigenze rappresentate in altre sedi. E in altri momenti nella storia di questo Paese. È ormai noto che dopo le due lettere dall'Europa, dopo le dimissioni del governo Berlusconi e la nascita del governo Monti, una tappa significativa è la lettera di JPMorgan su come gestire la crisi. Quel documento del maggio 2013 accusa le costruzioni dei Paesi della periferia meridionale perché risentono di una forte influenza socialista”. “Sostanzialmente questa legge di riforma - prosegue il magistrato - mi pare che risponda proprio all'esigenza di porre fine a quello che secondo JPMorgan è un vizio, cioè governi deboli rispetto al Parlamento e stati deboli rispetto alle regioni, e che invece è una garanzia". Quindi ha anche ricordato i tentativi di riforma del passato (“Il processo di attacco alla Costituzione parte da lontano: depotenziare i parlamenti per rafforzare i governi”) ed ha ricordato l'intervista rilasciata al “Corriere della Sera”, nel 1980, da Licio Gelli, maestro venerabile della P2 che disse: “Quando fossi eletto il mio primo atto sarebbe un netto cambiamento della Costituzione”. “Quanto somigliano quelle parole a chi oggi sta portando avanti la riforma della Costituzione già auspicata da Gelli” ha sottolineato ancora Di Matteo per poi aggiungere “Il cambiamento è l'attuazione della Costituzione. L'unico vero cambiamento è quello che prende consapevolezza che la mafia e la mentalità mafiosa sono il primo inquinamento della democrazia”.
All'opinione del magistrato si affianca anche quella del presidente dell'Anpi, Smuraglia: “Andando a votare per il referendum, prima delle ragioni del sì o del no, dobbiamo chiederci se vogliamo essere cittadini o sudditi, dobbiamo renderci conto della posta in gioco, ognuno ha una sua responsabilità e ciascuno si deve guardare allo specchio sapendo di aver fatto la cosa giusta. Potrebbe lentamente morire la democrazia e sarebbe un guaio per tutti. Ma questo progetto di riforma è uno strappo e un oltraggio alla democrazia”. E poi ancora: “Abbiamo un governo che porta avanti questo disegno di legge e già questa è un'anomalia. I cittadini devono votare, ma informati e consapevoli e questo è mancato, anche perché in un primo momento Renzi aveva detto che si sarebbe ritirato in caso di vittoria del No, trasformandolo in un plebiscito personale su di lui, ma se vince il No Renzi non è affatto obbligato a dimettersi. Nel 2006 Berlusconi ha perso clamorosamente un referendum ed è rimasto al governo. Si è sentito dire di tutto in realtà, se vince il No avremo detto semplicemente che questa riforma non va e che ci vuole più rispetto per la Costituzione”. Infine è intervenuto anche il sindacalista Pagliaro: “La riforma costituzionale alla quale diciamo No determinerebbe un accentramento di funzioni presso lo Stato centrale e un passaggio di poteri dal Parlamento al governo. Tutto ciò è pericoloso e inaccettabile”.

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