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costituzione italiana effNino Di Matteo e quel dovere morale di schierarsi
di Lorenzo Baldo

Lo sguardo limpido e fiero di Peppino Benincasa, 94 anni, sopravvissuto alla strage nazifascista di Cefalonia, si incrocia con quello di Nino Di Matteo. Giusto il tempo per un saluto. Il vecchio partigiano ha un telo di plastica sulle spalle. Anche lui è stato investito dall’acquazzone che per una ventina di minuti ha interrotto la manifestazione “Una notte per la Costituzione”. Ma nemmeno le intemperanze della natura riescono a scalfirlo. Pochi istanti e due mondi si interfacciano. Da una parte un uomo che ha combattuto per difendere la democrazia e la libertà negli anni bui della nostra storia e dall’altra colui che segue quelle stesse impronte, seppur in un altro contesto, in un periodo storico altrettanto oscuro. Entrambi sorridono, è una sorta di passaggio del testimone. “Mi dispiace, dottor Di Matteo, che sia finita così…” sussurra una ragazza preoccupata per il maltempo che impedisce la prosecuzione della manifestazione prima ancora che il magistrato possa intervenire. “Ma perché? - replica sereno Di Matteo - sta per smettere di piovere…”. Pochi minuti ancora e si riattivano microfoni e telecamere. I relatori tornano quindi dietro il tavolo mentre le persone presenti rimangono tutte in piedi. Anche questa è una forma di resistenza. Mai come in questo momento c’è bisogno di contarsi, di schierarsi e di mettersi in gioco per difendere il futuro del nostro Paese. Il pm palermitano condannato a morte da Cosa Nostra riprende in mano i suoi appunti. Non c’è spazio per vittimismi, è il tempo di reagire. Le persone lo fissano in silenzio, ogni tanto lo interrompono con un applauso. La percezione della sua “diversità” è palpabile. Di Matteo è indubbiamente un “corpo estraneo” all’interno di un sistema che mira a schiacciare chiunque abbia l’ardire di alzare la testa per difendere il diritto di vivere in uno Stato realmente democratico. Perfino la stessa magistratura, salvo rare eccezioni, lo ha messo all’angolo. Nel bel mezzo del silenzio assordante di un Presidente della Repubblica - incapace di difendere quella libertà per la quale i compagni del partigiano Benincasa hanno pagato con la vita - rimbombano le menzogne di un Premier asservito ai colossi bancari americani. Nella sua relazione Di Matteo rilegge un estratto dell’intervento di Piero Calamandrei del 1947, il messaggio è per l’Italia del 2016: “Quando l’assemblea discuterà pubblicamente la nuova Costituzione, i banchi del governo dovranno essere vuoti; estraneo del pari deve rimanere il Governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca interamente dalla libera determinazione dell’assemblea sovrana”. Esattamente il contrario di ciò che sta avvenendo oggi. “La linea fondante” della riforma “avvicina lo Stato ad una sorta di dittatura dolce fondata non sulla sovranità popolare ma sul potere oligarchico che obbedisce solo alle leggi della finanza e della economia internazionale”, evidenzia Di Matteo. E questa idea emerge “nel dopoguerra nel piano di rinascita democratica della P2 di Licio Gelli”. “L’architettura dello Stato - scriveva il Venerabile nel suo programma di destrutturazione dello Stato - dovrà prevedere la fine del bicameralismo perfetto e per il senato, una rappresentanza di secondo grado regionale degli interessi economici, sociali e culturali con competenze ridotte alle materie economico-finanziarie”. Una profezia a tutti gli effetti. Lo stesso Gelli, intervistato il 5 ottobre 1980 da Maurizio Costanzo (già tessera P2 n. 1819), ipotizzava le sue prime mosse in caso fosse stato eletto Presidente della Repubblica. “Il mio primo atto - spiegava il capo indiscusso della più segreta e potente loggia massonica - sarebbe una completa revisione della Costituzione”. A distanza di 36 anni quel suo desiderio rischia di avverarsi per mano di un Presidente del Consiglio tronfio della sua sudditanza nei confronti di quei poteri vicini a Gelli. Ma soprattutto rischia di avverarsi per mano di un popolo - in larghissima parte - bue, ignorante, indifferente e del tutto complice di questo (possibile) scempio. Il silenzio della quasi totalità dei media sulla manifestazione di ieri sera rispecchia lo status di “terzo mondo” nel quale sta precipitando l’informazione (e non solo) in Italia. Restano le parole conclusive di Nino Di Matteo: “Sono un magistrato, ma ci sono dei momenti e degli argomenti per i quali il magistrato non ha soltanto il diritto ma io ritengo perfino il dovere di intervenire e di esporsi personalmente. Io come magistrato ho giurato fedeltà alla Costituzione non ai Governi! Ho giurato fedeltà alla Costituzione non ad altre Istituzioni politiche né tanto meno alle persone che rivestono incarichi istituzionali. Ho giurato fedeltà alla Costituzione e non riesco a dimenticare che per quella Costituzione, per quei principi che afferma, tante persone, tanti miei colleghi, tanti servitori dello Stato, tanti semplici cittadini hanno offerto la loro vita!”. Il messaggio è chiaro, ed è rivolto a chi è l’artefice di questa riforma e a chi la sostiene. Ma è anche diretto ad ogni cittadino che si sente un “corpo estraneo” di questo sistema di potere, per tutti coloro che si sentono dei “disadattati” a questo tipo di società dove l’etica, la giustizia e l’onestà vengono costantemente calpestate.
Per capire meglio il concetto basta riprendere l’intervento di Martin Luther King del 4 giugno 1957 all'Università della California (Berkeley). Quelle parole sono più che mai attuali e ci impongono di esporci con tutte le nostre forze per dire No a questa riforma costituzionale che prelude ad una deriva totalitaria. Abbiamo l’obbligo morale di non “adattarci” a questo ipotetico scenario. E lo dobbiamo fare con quella determinazione e quella serenità di chi è consapevole di essere nel giusto.
“La psicologia moderna - scriveva 60 anni fa Martin Luther King - ha un termine che probabilmente è utilizzato più di qualunque altro. E' il termine ‘disadattato’. Ora tutti noi dovremmo cercare di vivere una vita non disadattata, per evitare personalità nevrotiche e schizofreniche. Ma ci sono certe cose nel nostro ordine sociale per le quali chiedo a voi di essere dei disadattati. Non intendo adattarmi alla segregazione e alla discriminazione. Non intendo adattarmi alle regole della violenza di massa. Non intendo adattarmi ai tragici effetti dei metodi della violenza fisica e alla tragedia del militarismo. Vi chiedo di essere dei disadattati nei confronti di queste cose. Vi chiedo di essere dei disadattati come Amos, che nel mezzo delle ingiustizie dei suoi giorni reagì con parole la cui eco è risuonata nelle generazioni: ‘Lasciate che il discernimento scorra come un torrente e l'onestà come un fiume possente’. Disadattati come Abramo Lincoln, che ebbe questa visione: che una nazione metà libera e metà schiava non avrebbe potuto continuare ad esistere. Disadattati come Jefferson, che nel mezzo di un'epoca che si era adattata alla schiavitù, in modo sorprendente ebbe il coraggio di gridare: ‘Tutti gli uomini sono stati creati uguali e sono stati dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, tra i quali la vita, la libertà e il perseguimento della felicità’. Disadattati come Gesù di Nazareth, che fece il sogno della paternità di Dio e della fratellanza dell'uomo”. “Voglia Dio che saremo così disadattati - concludeva Luther King - da essere in grado di uscire allo scoperto e cambiare questo nostro mondo e questa nostra civiltà. Ed allora saremo in grado di allontanarci dalla buia e desolata notte della crudeltà dell'uomo verso l'uomo, verso la luminosa e sfolgorante luce della libertà e della giustizia”.

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