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6Su “Frequencia Joven”, in Argentina, l’intervista al pm di Palermo, Nino Di Matteo
di Matías Guffanti - Audio-intervista all'interno!

Dottor Di Matteo, lei ha un'esperienza più che ventennale in inchieste e processi di mafia. Innanzitutto cos'è Cosa nostra e in che modo si è sviluppata sul territorio locale e nazionale?
In Italia ci siamo confrontati e ci confrontiamo con un'organizzazione mafiosa, Cosa Nostra, che purtroppo esiste ed è potente da oltre centocinquant’anni. Io credo sia un'organizzazione  importante, forse la più importante, perché ha alcune caratteristiche che altre, anche italiane, non hanno. Cosa Nostra ha sempre cercato di condizionare il potere ufficiale, la politica, le istituzioni, di convivere con il potere ufficiale per poter esercitare essa stessa un ruolo effettivo. Non è un caso che Cosa Nostra sia quella che più di ogni altra ha fatto ricorso agli omicidi eccellenti. Per limitarci agli ultimi trent’anni della storia siciliana e italiana è sempre importante ricordare che qui, a Palermo, in Sicilia, sono stati uccisi magistrati, poliziotti, carabinieri, alti ufficiali delle forze dell’ordine, prefetti della Repubblica, esponenti politici di primo piano, presidenti della Regione ed esponenti politici del partito di opposizione. Qui in Sicilia e in Italia sono avvenute delle stragi con la finalità precisa di costringere lo Stato a sottostare ai voleri della mafia. Purtroppo, anche con sentenze di processi ormai conclusi, sappiamo che nella storia recente ci sono stati politici importanti che hanno stretto accordi di tipo elettorale con la mafia che poi hanno dovuto rispettare. Fin quando la mafia continuerà ad avere la possibilità di avere rapporti con la politica e con il potere non sarà mai sconfitta.

Oggi cosa è cambiato nel panorama mafioso?
Per fortuna, rispetto a venti o trent’anni fa, la forza militare dell’organizzazione mafiosa si è un po’ attenuata. Ma lo Stato non può cantare vittoria, sarebbe un gravissimo errore. La storia ci insegna che si sono alternati i periodi in cui l’organizzazione mafiosa ha preferito non fare attentati eccellenti a quelli in cui poi è tornata alla strategia degli omicidi e delle bombe. E purtroppo negli ultimi anni ci sono stati dei segnali precisi, colti in vari processi attraverso dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni e testimonianze che dimostrano come oggi ci sia una parte di Cosa Nostra che spinge per tornare ad una strategia di violenta contrapposizione allo Stato. Io, da magistrato che da venticinque anni si occupa di questa materia e da cittadino italiano, sogno e continuo a sperare che lo Stato italiano, in tutte le sue istituzioni, capisca che deve considerare il problema mafia come il principale della nostra nazione. Perché anche quando non spara la mafia costituisce un problema enorme per la democrazia, quando fa affari e droga l’economia, condiziona le libere elezioni alterando la democrazia, costringe a vivere nella paura i cittadini o ad abbandonare la loro terra per intraprendere un’attività economica in maniera più libera. In tutti questi modi finisce per alterare quello che è il bene principale: la libertà dei cittadini.  

La mafia italiana può essere considerata anche un problema che travalica i confini nazionali, fino allo scenario mondiale?  
Storia e cronaca più o meno recente ci insegnano che è nell'attività di impiegare il denaro acquisito con l’attività illecita in Italia che le organizzazione mafiose italiane si sono espanse anche all’estero. Ormai, purtroppo, anche settori sempre più rilevanti dell'economia di paesi europei avanzati, la Germania, il Belgio, la Francia, sono territori di conquista delle organizzazione mafiose: gruppi e capitali della ‘Ndrangheta calabrese, per esempio, sono sempre più forti in Germania. E in un'economia sempre più globalizzata grossi flussi di denaro vengono spostati con un click su una tastiera di computer. Considerare il fenomeno mafioso come circoscritto all'Italia o al sud della penisola è anacronistico. Senza poi voler considerare i contatti e i rapporti di scambio sempre più frequenti con la Colombia e non solo. Paesi produttori di sostanze stupefacenti che diventano con i loro gruppi organizzati nel Sud America un'interfaccia delle organizzazioni mafiose italiane. Quando due organizzazioni mafiose entrano in relazione, se ne possono ricavare legittimo vantaggio, non si limiteranno ai contatti per il traffico di stupefacenti, ma tenteranno sempre di consolidare i reciproci vantaggi anche in altri settori, criminali o apparentemente legali.


Pochi anni fa lei ha ricevuto delle minacce da parte di Totò Riina. Nel 2014 è poi emerso che il tritolo per lei era già arrivato a Palermo... come vive questa situazione?
Non è soltanto una minaccia, ma la scoperta di un progetto di morte. Anche attraverso le dichiarazioni di altri collaboratori, in particolare Vito Galatolo, si è saputo che quel progetto aveva avuto anche una fase avanzata di organizzazione con l’acquisto dell’esplosivo e del tritolo. Ho vissuto e vivo dei momenti molto difficili, finora ho trovato la forza di resistere e tentare di continuare a fare il mio lavoro. Innanzitutto è prevalsa in me la passione per ciò che faccio e che volevo fare fin da ragazzo. Ho trovato anche altra forza, a parte nel sostegno dei miei familiari, anche in quello di una parte consistente dell’opinione pubblica, soprattutto di tanti giovani e cittadini umili i quali nel periodo per me più difficile hanno dimostrato di stringersi intorno a me. Non come Nino Di Matteo, ma come magistrato che fa il suo lavoro per amore della propria terra, non per una questione di esercizio di potere. Poi per fortuna in Italia e in Sicilia tante persone che continuano oggi a lavorare sono animate da questo spirito. Uno spirito di comprensione del fatto che quella contro la mafia è una lotta per la libertà, per la democrazia, è un atto di altruismo per il prossimo, per le future generazioni. Da questo punto di vista è un’attività esaltante e gratificante. La mafia altera la democrazia anche quando non spara, costringe all’arretratezza economica e culturale tanti cittadini che potrebbero, liberandosi dalla mafia, vivere in maniera più libera e dignitosa. In Italia queste cose vengono capite quando c’è il sangue dei morti ancora caldo sull’asfalto delle strade, in tanti altri Paesi ho l’impressione che la pericolosità della mafia non venga invece compresa.

Cos'è davvero necessario per poter sconfiggere definitivamente la mafia?
Due cose: il taglio definitivo di ogni rapporto tra mafia e politica e una rivoluzione culturale. Questa deve partire dai giovani, dalle scuole, per capire che la mafia rappresenta un male assoluto. Se ricorreranno queste due condizioni allora il fenomeno mafioso potrà avere, come diceva Giovanni Falcone, una sua fine. Ecco perché ho sempre guardato con occhio molto attento e positivo all’attività di quella parte dell’opinione pubblica e di quei giornalisti che quotidianamente informano l’opinione pubblica su quello che le mafie fanno e sull’approccio dello Stato alla lotta alla mafia. Sapere, conoscere, informarsi, seguire direttamente: significa creare il presupposto per cambiare la mentalità. Io sono cresciuto in una Sicilia in cui la maggior parte delle persone, nonostante tutto quello che accadeva a Palermo e in Sicilia, non parlava di mafia, sembrava un argomento tabù. I mafiosi vogliono che di mafia non si parli, solo così riescono, nel silenzio e nell’indifferenza generale, a tessere le loro relazioni ed a fare i loro affari. Le vostre parole dovranno e potranno sconfiggere le mafie prima ancora della repressione della polizia e della magistratura.

L’ultima domanda è della giovane Sonia, rappresentante del gruppo Our Voice.

Che messaggio darebbe ai giovani?
Io ho un sogno, che i giovani non cadano in quello che per me è l’errore più grande, l’indifferenza e la rassegnazione. Credo che la cosa più bella per un uomo, per un giovane in particolare, è lottare per gli ideali in cui crede. Il messaggio che mi sento di dare è di non rassegnarsi: non è vero che le cose non possono cambiare, che tutto rimane sempre com’è. Credo che l’impegno di ciascuno, la capacità di inseguire i propri sogni, possano cambiare la società. E questa spinta deve venire soprattutto dai più giovani: sono loro che devono costringere anche la parte più arretrata e malata della politica a cambiare.

Ascolta l'intervista su frecuenciajovenrosario.blogspot.it

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