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messina denaro castelvetranodi Aaron Pettinari
In un’intercettazione i boss parlano del superlatitante di Castelvetrano

I problemi erano seri nella famiglia mafiosa di Monreale. C’era chi era fuggito in Friuli Venezia Giulia, chi ha subito pestaggi ed intimidazioni pesanti, con tanto di teste di capretto lasciate davanti al portone di casa, chi si è visto puntato una pistola in bocca. Per aver salva la vita si è disposti a tutto e Onofrio Buzzetta, braccio destro di Giovan Battista Ciulla (ex reggente della famiglia mafiosa di Monreale, spodestato dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato), ha cercato agganci di peso.
Tramite un amico era riuscito a contattare il capomandamento di Corleone, Rosario Lo Bue, ma in alcuni dialoghi si era persino pensato di chiedere l’intervento di Matteo Messina Denaro in persona.
“Ci parli e vedi che ti dice, se è cosa... neanche per forzare la mano! Che poi vediamo com'è il fatto! Hai capito? - dice l’amico di Buzzetta - Solo per quello di là Masino (una terza persona che avrebbe fatto da tramite, ndr) dice, quelli di San Giuseppe… ma quelli di San Giuseppe chi minchia sono! Se gli dà ordine quello... quello di là, Messina Denaro, se gli dà ordine quello, questo deve fare quello che dice quello! Perché lui è uno che…”.
Ed è qui che scattano i primi interrogativi. Perché Matteo Messina Denaro avrebbe dovuto interessarsi degli affari del mandamento di San Giuseppe Jato e della provincia palermitana?
In una seconda intercettazione Giovanni Leto, questo il nome dell’amico di Buzzetta, nuovamente tornava a dire che la soluzione migliore a suo parere sarebbe stata il contatto con il capomafia trapanese: “…lo me ne andrei a Castelvetrano e andrei a parlare a quello… vedrebbero se loro fossero qua ancora... lui pure c'è stato agghiri ccà (da queste parti, ndt)!… Hai capito? Lui aggiri ccà (da queste parti) c’è stato pure!” E Buzzetta rispondeva: “Lo So”. Ciò significa che anche a San Giuseppe Jato il boss di Castelvetrano ha trascorso parte della propria latitanza?
Non è la prima volta che emergono possibili contatti tra le famiglie di Trapani e quelle di Palermo per discutere questioni tanto gravi. Ad esempio era accaduto nel 2008, come dimostrato dall'indagine Perseo, quando i figli di Girolamo e Salvatore Biondino stavano tentanto una sorta di “scalata” all'interno della famiglia mafiosa di San Lorenzo. All’epoca il reggente riconosciuto era Mariano Troia ed erano sorti dei contrasti che avrebbero potuto portare anche a fatti di sangue. Persino i Capizzi si attivarono con lo stesso boss trapanese tramite Franco Luppino e la risposta non tardò ad arrivare. “Sandro - scriveva Messina Denaro - ma né ora né mai… ti posso già subito dire, fin da adesso vai tranquillo. Primo perché non se n'è parlato mai... però non li toccate perché sono figli di amici, di picciotti che ci tengo”. Ed infatti non accadde nulla. L'asse Trapani-Palermo torna anche in alcuni spunti investigativi emersi nelle indagini che hanno visto coinvolto Mimmo Raccuglia, boss di Altofonte arrestato dopo una lunga latitanza, e Giulio Caporrimo, in cella con l'accusa di essere stato il reggente del mandamento di San Lorenzo. Capomandamento di San Lorenzo è stato anche Girolamo Biondino che nel 2012, secondo quanto raccontato dal collaboratore di giustizia Vito Galatolo, avrebbe ricevuto alcune missive da Matteo Messina Denaro con ordini per preparare un attentato nei confronti del pm di Palermo, Antonino Di Matteo.
Ciò a dimostrare che non sono mancati interventi del boss di Castelvetrano sui fatti palermitani. Nel frattempo, tra arresti di familiari e fedelissimi, il cerchio attorno alla “primula rossa” trapanese si è stretto sempre di più. Più di un'intercettazione fa pensare che possa nascondersi proprio qui, in Sicilia, e questo nuovo riferimento nell'operazione “Monte Reale” potrebbe portare anche a nuovi spunti.

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