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parmaliana adolfo bnSono passati 9 anni da quel terribile 2 ottobre 2008 quando il professor Adolfo Parmaliana decise di morire. Per onorare la sua memoria riproponiamo il ricordo dell'avvocato Fabio Repici, suo grande amico e profondo conoscitore dei fatti che hanno portato alla morte di questo eccelso luminare. A futura memoria.
La redazione


di Fabio Repici

Non ne sono certo, perché non ci capitò mai di parlarne, ma penso che ad Adolfo, cattolico dichiarato ma scienziato illuminista fino alla punta dei capelli, la data sarebbe piaciuta, almeno prima che nella tarda sera fosse lordata dal sangue delle inermi vittime procurato dall’ennesima strage ordita nella guerra alla razionalità, e quindi all’umanità, di questo nuovo medio evo oscurantista. ​E comunque – dicevo – la data di giovedì scorso, che ricordava la presa della Bastiglia e il trinomio di libertà e uguaglianza e solidarietà (più o meno l’intero spettro degli ideali politici del berlingueriano Adolfo), gli sarebbe piaciuta. Per questo motivo, quando avevo ricevuto la notifica della fissazione dell’udienza sul ricorso dei difensori del dr. Cassata contro la condanna, pure in appello, per la famigerata diffamazione compiuta con la divulgazione di un lurido dossier anonimo, la data dell’udienza mi era sembrata un buon presagio. Poi, come sempre capita, il terrore che qualcosa non andasse per il verso giusto aveva preso il sopravvento. E così la giornata di giovedì scorso si è risolta in un crescendo parossistico di ansia e nervosismo. ​Alla fine, il sollievo è arrivato poco prima delle otto e mezza di sera, quando, nella lettura del dispositivo di sentenza, forte e chiara è suonata la parola “rigetto”. In quell’esatto momento, la memoria di Adolfo Parmaliana riceveva definitivo ristoro e lo statuto giuridico dell’ex Procuratore generale di Messina, il barcellonese Antonio Franco Cassata, assumeva il profilo del pregiudicato. ​Erano passati sette anni, nove mesi e dodici giorni da quel pumbleo 2 ottobre 2008, il giorno in cui Adolfo aveva deciso di mettere fine alla sua vita. Quasi otto anni da una data che ha terremotato per sempre gli equilibri della provincia di Messina, e più miseramente anche della mia vita, soprattutto da quando lessi, con il cuore in gola, una decina di giorni dopo la sua morte, l’ultima lettera di Adolfo. Il contenuto di quel documento – non mi stancherò mai di ripeterlo, dovrebbe essere fatto leggere ogni anni a tutti gli studenti della provincia di Messina -, che mi designava, insieme ad altre quattro persone, quasi esecutore del testamento morale di Adolfo («Chiedete all’Avv.to Mariella Cicero le ragioni del mio gesto, il dramma che ho vissuto nelle ultime settimane, chiedetelo al senatore Beppe Lumia, chiedetelo al Maggiore Cristaldi, chiedetelo all’Avv.to Fabio Repici, chiedetelo a mio fratello Biagio. Loro hanno tutti gli elementi e tutti i documenti necessari per farvi conoscere questa storia: la genesi, le cause, gli accadimenti e le ritorsioni che sto subendo»), mi autorizza ora, ma forse mi impone, di raccontarla tutta, la storia che si è conclusa con questa sentenza, che ha fatto diventare definitiva la condanna del dr. Cassata: il primo Procuratore generale pregiudicato della storia, in fondo Cassata è sempre stato un uomo da record. ​Il primo che aveva conosciuto il testo dell’ultima lettera di Adolfo, dopo i carabinieri che ne avevano operato il sequestro sullo scrittoio nello studio di casa sua a Terme Vigliatore, era stato, per pura beffa, il dr. Olindo Canali, che quel 2 ottobre era il P.m. di turno alla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto. Volete che Canali non ne abbia informato il suo amico e mentore e protettore del tempo (pensate che in una telefonata intercettata dalla Procura di Reggio Calabria, Canali e la moglie chiamavano Cassata «lo zio», proprio così, Canali il brianzolo, come si usa in certa Sicilia)?

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