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anm falcone borsellinodi Francesca Mondin e Miriam Cuccu
24°anniversario strage via d’Amelio, l’allarme del procuratore generale

Se Borsellino fosse vivo cosa direbbe della situazione attuale? Una domanda non semplice alla quale hanno cercato di rispondere Roberto Scarpinato, Rosy Bindi, Gioacchino Natoli, Franco Roberti ieri mattina al convegno dell’Anm presso l’aula magna della Corte d’appello di Palermo in memoria della strage di via d’Amelio. Difficile innanzi tutto per l’impossibilità di poter parlare al posto del magistrato ucciso 24 anni fa. “Paolo sarebbe contento che per certi aspetti lo Stato degli ultimi 15 anni è stato di gran lunga più credibile di quello degli anni ’88 e ’92” in quanto abbiamo la “dimostrazione che l’azione generalizzata è stata efficace, tanto che Cosa nostra è costretta nuovamente a giocare sulla difensiva” ha detto Gioacchino Natoli, ex presidente della Corte d’appello, oggi capo del dipartimento dell'Organizzazione Giudiziaria presso il Ministero della Giustizia. Così come sarebbe felice, secondo la presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi “di non essere il solo a parlare nelle scuole, e che grazie all’eredità raccolta dal periodo delle stragi e agli strumenti che ci siamo dati anche a livello legislativo questo paese può insegnare al mondo come si combatte la mafia”.

Entrambi però condividono le considerazioni del procuratore generale Scarpinato e del procuratore nazionale antimafia Roberti sulla situazione attuale di crisi e disagio sociale.“Oggi la grande promessa/scommessa, che sembrava finalmente possibile dopo le stragi, di riuscire a coniugare legalità e sviluppo è stata tradita e perduta - ha detto il procuratore generale di Palermo - la Sicilia è la regione più povera di Italia dove è più forte la diseguaglianza economica”. Non solo, il problema più grande è “un fenomeno che si muove sotto traccia: la legalità va cambiando il suo dna molecolare interno, se prima, ai tempi di Borsellino la legalità garantiva diritti, oggi invece avanza la legalità sostenibile che li depotenzia subordinandoli ai diritti del mercato". Fenomeno che “chiama in causa una politica che sembra avere cancellato dalla sua agenda la questione meridionale - ha concluso - e che non si rende conto che se la legalità non produce giustizia sociale e uguaglianza economica comincia a perdere credibilità". Quella credibilità compromessa fin dalla prima Repubblica e che Borsellino sosteneva dover essere necessariamente ricostruita per sconfiggere veramente la mafia.
Altra grande delusione che Borsellino sarebbe costretto a vedere “E’ la propagazione e radicamento della mafia anche all’estero” mentre “la cooperazione internazionale deve ancora essere fatta funzionare - ha detto Roberti - ci sono grosse disparità di strumenti tra paesi che non ci consentono di aggredire i patrimoni mafiosi quando sono all’estero”. Oggi “La corruzione è il metodo privilegiato che la mafia usa come prima utilizzava quello dell'intimidazione. Per questo abbiamo proposto l'introduzione dell'aggravante della corruzione all'articolo 416 bis del codice penale che punisce l'associazione mafiosa”. Il procuratore nazionale ha infine sollecitato il governo a mettere “come vera priorità dello Stato la lotta alla mafia”.
E’ triste dover considerare che dopo il periodo stragista ancora nessun programma di governo l’abbia fatto e che, come ha detto Natoli le stragi di “Falcone e Borsellino abbiano ancora bisogno verità, certamente sono stati condannati alcuni responsabili ma siamo ben consapevoli che c’ è dell’altro.

Mafia tridimensionale: fra tradizioni, massoneria e mercato
Il problema, ha sottolineato Scarpinato, è che "oggi si dà per scontato l'affermazione che le mafie fanno parte della costituzione del paese, economica e politica". In realtà, ha spiegato il procuratore, bisogna fare delle distinzioni tra tre volti della mafia "quella tradizionale, la masso-mafia, e quella 'mercatista'". Dove la prima "si è trovata in difficoltà nel passaggio tra le due repubbliche" a causa della "riduzione degli appalti, dei fondi pubblici, del ciclo edilizio", un "essiccamento delle fonti di reddito che ha destabilizzato la mafia". "Prima ha condiviso i privilegi con la politica - ha chiarito il magistrato - lasciando alla 'Ndrangheta il traffico di stupefacenti, a maggior rischio penale, e concentrandosi sugli appalti pubblici. Ma oggi, con una verticalizzazione sempre maggiore, l'accesso ai flussi di spesa pubblica ed ai grandi affari" è riservato "ad un'élite" ed ecco "che abbiamo il popolo-mafia che subisce un impoverimento come la società civile" mentre "le élite mafiose", ovvero la masso-mafia, "sono al centro di grandi affari" in un'"evoluzione organizzativa della mafia". E infatti, ha continuato Scarpinato, "la 'Ndrangheta ha creato un nuovo organismo" che è "collegiale", una "supercupola composta da una ristretta élite prevalentemente massonica” e con "regole proprie". Un esempio, in Sicilia, "è visibile a Trapani" dove è presente "un'alta concentrazione di massoneria".
E poi c'è "la mafia che cavalca un mercato che non è aggressivo come quello delle estorsioni" perché si tratta di "offrire un servizio, un bene che si può accettare o meno" ed è un dato che "emerge dall'inchiesta Aemilia" dove "non c’è avversione nel territorio, perché tutto rientra nella dinamica domanda-offerta". Il problema è che questo "ha avuto la massima legittimazione anche dall'Unione europea" che "dal 2014 ha reso possibile calcolare nel Pil anche la droga e la prostituzione perché sono prestazione di un servizio". Si tratta, ha commentato Scarpinato, "di schizofrenia, perché da una parte facciamo cultura alla legalità, dall’altra legittimiamo l'economia mafiosa".
Con un panorama "radicalmente cambiato", ha analizzato il procuratore, "probabilmente da un giorno all'altro ci convinceremo che la mafia non c'è più" perché "saremo in grado di vedere solo quella delle estorsioni, mentre non riusciremo più "a vedere la massomafia, oppure dovremmo dire che la mafia fa parte del mercato", divenuta "componente strutturale capitalismo finanziario" che diventerebbe così "uno dei poteri reali".
Duro il commento della Bindi (nei giorni scorsi ha ascoltato Lucia Borsellino in Commissione), che ha concluso il dibattito: "Ci sono verità - ha detto - che ora possono essere affermate in sede politica e parlamentare. E' il momento di emettere un giudizio politico che è diverso da quello che può emergere nelle sedi giudiziarie".

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