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dimatteo c giorgio barbagallo 052016Audio e fotogallery all'interno!
di AMDuemila
“La storia di Falcone è una storia di continue polemiche contro di lui ma è stato un grande vincitore per la fama che ha raggiunto a livello mondiale all’estero ricordato come colui che meglio ha saputo combattere e analizzare i sistemi criminali ”. Nino Di Matteo ha quindi ricordato i molti ostacoli che Falcone incontrò anche prima di istituire il maxi processo: “Ricordiamo quello che costò a Giovanni Falcone l’attività istruttoria per istruire quel processo, le polemiche generalizzate sul Falcone carrierista, politicizzato. O quando venne nominato Meli invece che Falcone a capo dell’ufficio istruzione, Meli fu pregato dai suoi colleghi di fare domanda all’ultimo momento -ha raccontato Di Matteo - “per fottere Falcone” “. “A chi oggi ogni volta che c’è un processo per concorso esterno - ha concluso Di Matteo - dice che Falcone non avrebbe mai inseguito un reato da connotati fumosi ricordiamo che lui utilizzò per incriminare Vito Ciancimino il concorso esterno in associazione mafiosa. Non perdiamo la memoria che è l’unica ancora di salvezza rispetto alcune mistificazioni”.


Di Matteo: ''Sono d'accordo con Davigo. Chi delinque ha trovato sponde in alcuni apparati di Stato''
di AMDuemila
“Sono d'accordo con quanto detto dal presidente dell'Anm Piercamillo Davigo in un convegno a Trani riguardo ai magistrati che sono stati uccisi perché chi delinque ha trovato sponde in alcuni apparati dello Stato”. A dirlo è il pm Nino Di Matteo al convegno "Oltre la mafia", organizzato dall'Associazione Falcone e Borsellino e Contariamente in corso a Palermo alla Facoltà di Giurisprudenza. “Si deve andare a rileggere atti di vecchi processi. Sono presenti montagne di elementi concreti che dicono che dietro ogni delitto c’è, ed emerge, la probabilità, se non la certezza, che assieme a nomi della mafia abbiano agito altre persone esterne alle organizzazioni mafiose. Di Matteo ha poi aggiunto: “Sempre Davigo ha detto che 'in altri Paesi, i criminali neppure ci pensano a uccidere un funzionario o un magistrato, perché la reazione dello Stato sarebbe devastante'. Nel nostro c'è stata quella di cercare un dialogo con le mafie per cercare di fermare la deriva stragista. C'è scritto in una sentenza definitiva, quella delle stragi di Roma, Firenze e Milano, ed è scritto in base a ricostruzioni probatorie che, al di là delle intenzioni, il contatto Ciancimino e Riina abbia rafforzato il convincimento che le bombe funzionassero. Così si alimentà la volontà stragista”. E poi ancora: “E' più facile forgiare e semplificare, dire che certi processi segnano la sconfitta degli uffici di Procura, che hanno preso lucciole per lanterne. Assolvere perché il fatto non costitutuisce reato significa condividere l'idea della Procura. Significa che si ha la mancata dimostrazione del dolo. I giudici hanno ritenuto questo non che i fatti non sussitevano. Lo hanno riconosciuto per la mancata cattura di Provenzano, per il covo di Riina ed adesso i giudici hanno anche sancito un altro episodio, quello sulla mancata cattura di Santapaola nel 1993, dicendo che un'intera filiera di carabinieri ha mentito. Allora le informazioni devono essere date correttamente”. “Io – ha concluso il magistrato - credo che i processi devono essere fatti e che quando provano gli accadimenti sono processi che si devono fare anche se non c’è condanna. La verità dei fatti è interesse di tutta la collettività”.



Di Matteo: "Possibili verità anche dopo anni, ma non c'è volontà politica"
di AMDuemila
"Mi indigno quando sento fare facile e stupido sarcasmo sull’archeologia giudiziaria - ha protestato Di Matteo alla conferenza "Oltre la mafia" in ricordo di Falcone e degli agenti di scorta - sui delitti eccellenti e sulle stragi abbiamo raggiunto verità parziali, e abbiamo il dovere di continuare a percorrere quel sogno di approfondimento" perchè "verità consistenti posso arrivare anche a distanza di anni". Solo che, ha aggiunto il pm, "non credo che ora ci sia la volontà politica in questo senso, anzi, avverto una sensazione di fastidio per chi vuole continuare ad indagare" fino ad arrivare ad "un'opera di ridicolizzazione".
Anche i pentiti di mafia, ha spiegato Di Matteo, "avvertono sulla loro pelle che se parlano di routine mafiosa va bene, se alzano il tiro cominciano le delegittimazioni" e "chi potrebbe dare un contributo all’interno dello Stato oggi non ha più motivi per farlo".  
"Ci sono stati segnali - ha poi raccontato - che sono stati dei macigni simbolici sull’accertamento della verità" e uno di questi è stato il "conflitto di attribuzione del Capo Stato nei confronti della Procura di Palermo". Adesso, ha ripercorso il pm, "c’è il silenzio, la migliore cortina che può impedire l'eventuale emersione della verità".


Bongiovanni: ''Ad uccidere Falcone e Borsellino non solo mafia ma mandanti esterni''
di AMDuemila
“Non solo la mafia colpì per uccidere Falcone, Borsellino e le scorte. Dietro a queste stragi eccellenti ci sono mandanti esterni che si annidiano all'interno dello Stato. Per noi questa è una certezza”. Lo ha detto il direttore di ANTIMAFIAduemila, Giorgio Bongiovanni, all'incontro dal titolo "Oltre la mafia", in corso a Palermo in occasione del 24° anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. “Qui ci sono due pm che le organizzazioni criminali hanno condannato a morte. Noi non possiamo dire che non sapevamo, per questo la società civile, noi, dobbiamo fare scudo, per evitare il peggio. Ed è un nostro dovere stargli vicino, senza fanatismo, ma come impegno, con tutti i mezzi democratici a disposizione, per divulgare la verità e per far sì che queste cose non possano mai succedere”. Quindi ha concluso: “Il senso dello Stato ci sta sfuggendo. Restano pochi baluardi. Alcuni sono seduti a questo tavolo, poi ci sono anche altri magistrati come loro. Per questo vanno difesi”. Infine anche Peppino Lo Bianco ha ribadito il concetto ricordando come “la lotta alla mafia oggi passa anche dalla difesa della costituzione che vogliono modificare. Certi segnali non vanno sottovalutati”.

Di Matteo: "Difendere nostra autonomia per portare degnamente toga di Falcone"
di AMDuemila
"Ripensando alle parole di Paolo Borsellino, quando diceva che il dramma era che non viene mai fatta valere la responsabilità politica prima della sentenza definitiva, penso non solo che non è cambiato nulla, ma che le cose sono cambiate in peggio". L'ha dichiarato nel corso del suo intervento il pm Nino Di Matteo alla conferenza “Oltre la mafia” a Palermo. "Oggi non bastano più nemmeno le sentenze definitive" ha commentato il magistrato, riferendosi all'incontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi per riformare la Costituzione, "proprio nei giorni in cui passava in giudicato la sentenza definitiva per Marcello Dell'Utri". "La Costituzione - ha ribadito Di Matteo - non ha bisogno di essere modificata, ma finalmente di essere attuata".
Invece, ha detto ancora, "vogliono portare la magistratura ad un livello di sostanziale collateralismo rispetto al potere politico di turno. Non sapete quante volte sento parlare di 'opportunità' di certe iniziative giudiziarie invece che di 'doverosità'". "Se vogliamo indossare con un minimo di dignità la toga portata da Giovanni Falcone e da altri - ha ammonito il pm di Palermo - dobbiamo lottare per conservare l'autonomia e l'indipendenza" dagli "attacchi esterni" e dalla "strisciante tendenza di agire per quanto è gradito al potere".
"Solo il principio di doverosità dell'agire - ha spiegato Di Matteo -  ci può illuminare per cercare di dimostrare giudiziariamente quanto sappiamo già, che le stragi e la morte di Falcone sono state opera della mafia nella fase esecutiva, ma è stato un evento al quale hanno partecipato e che è stato in qualche modo ispirato, appoggiato e successivamente protetto da uomini che non erano di Cosa nostra".


Di Matteo: “Non accontentarsi di verità parziale sulla strage Capaci”
di AMDuemila
“Non possiamo accontentare di una verità, anche se importante, parziale rispetto ai mandanti e moventi della strage di Capaci perché una verità parziale resta pur sempre una verità negata”. Il magistrato Nino Di Matteo ha sottolineato l’importanza di conoscere la verità intera su fatti anche lontani nel tempo nel corso del suo intervento alla conferenza “Oltre la mafia”. Quando Falcone diceva: “Il dialogo Stato-mafia dimostra chiaramente che Cosa nostra non è un anti Stato” in ricordo del giudice Giovanni Falcone ucciso 24 anni fa a Capaci. Ricordando le intercettazioni dei dialoghi tra il boss Totò Riina e il compagno di ora d’aria Lorusso nel carcere di Opera il magistrato ha evidenziato come, per bocca di Riina, apprendiamo che “C’erano delle complicità che avevano legittimato a mettere la bomba a Capaci che non dovevano essere conosciute da tutti i capi di Cosa nostra”. “Questo dovrebbe indurre tutti voi  - ha continuato Di Matteo - a pretendere di non chiudere quella pagina” della strage di Capaci. In questo ha richiamato il fondamentale impegno della cittadinanza nel sensibilizzare le coscienze alla memoria “Per dare senso alle commemorazioni dobbiamo avere il rispetto, il desiderio e la passione per la verità senza inganno e opportunismo che invece alimentano solo manifestazione sterili e offensive per i famigliari delle vittime”.
Il magistrato palermitano si è quindi rivolto agli studenti di giurisprudenza presenti in sala “ogni studente dovrebbe sempre ricordare che non ci si forma solo per applicare la legge ma anche per cercare di avvicinare l’applicazione a qualcosa di più importante: la verità e la giustizia”.


Lombardo: ''Più che di concorso esterno dovremmo parlare di concorso interno''
di AMDuemila

“Se guardiamo al sistema criminale e allarghiamo l'orizzonte rispetto alla 'Ndrangheta o a Cosa nostra, capiamo che certe relazioni, che si sono scoperte in indagini importanti, non sono in realtà esterne ma interne. Pertanto non c'è da andare a forzare e riempire il contenuto della figura del concorso esterno, quello deve essere un ulteriore passaggio, ma quello è un concorso interno per appartenenza ad un'associazione a delinquere di tipo mafioso”. Lo ha detto Giuseppe Lombardo nel corso del suo intervento alla conferenza “Oltre la mafia”. Quando Falcone diceva: “Il dialogo Stato-mafia dimostra chiaramente che Cosa nostra non è un anti Stato” in ricordo del giudice Giovanni Falcone ucciso 24 anni fa a Capaci. “Recenti inchieste dimostrano che oggi le mafie hanno una nuova veste. Più invisibile che entra nell'apparato. Lo dicono gli stessi capimafia in alcune intercettazioni”. “Falcone - ha ricordato il pm calabrese - parlava delle storture dello sviluppo economico e il problema è lì. È su questo che dobbiamo interrogarci. Il problema è che le mafie oggi elargiscono sistemi economici ed è per questo che oggi sono un problema politico. Perché è la politica ad incidere su ognuno di noi e non è più condizionata dall'ideologia ma dalla necessità di garantire un determinato mercato mondiale. La 'Ndrangheta, che detiene miliardi e miliardi di euro, diventa quindi indispensabile in determinati momenti di crisi come questo che viviamo. Perché questo è il potere delle mafie, quello della liquidità. All'interno di quel sistema criminale, considerato il sistema ecnomico mondiale che condiziona le scelte politiche, ecco che vediamo il sistema criminale integrato e circolare”.


Lombardo: ''Le mafie parte di un Sistema criminale integrato e circolare''
“La 'Ndrangheta non è un'altra cosa rispetto 'Cosa nostra”

di AMDuemila

“La 'Ndranghera non è un'altra cosa, è Cosa nostra”. A spiegare la relazione tra le due organizzazioni criminali è il pm calabrese Giuseppe Lombardo durante la conferenza “Oltre la mafia”. Quando Falcone diceva: “Il dialogo Stato-mafia dimostra chiaramente che Cosa nostra non è un anti Stato”, organizzato dall'Associazione Culturale Falcone e Borsellino in ricordo della strage di Capaci. “Nel corso della storia - ha poi proseguito - la 'Ndrangheta ha ottenuto sempre più aperture con altre componenti. Così le altre organizzazioni criminali che poi hanno capito che lavorare in maniera coordinata e strutturata in un sistema pià ampio rispetto a qui territori originari era un atto di forza. Già negli anni Settanta la 'Ndrangheta aveva rapporti forti con la politica e l'organizzazione criminale calabrese si è allargata in tutto il mondo. Questi elementi li ricaviamo già leggendo vecchie sentenze. In una di queste, della Corte d'assise appello di Reggio Calabria nel 26 febbraio 1953, già si descrive con chiarezza che le organizzazioni criminali diventano mafia quando allacciano il rapporto con determinati mondi. Già allora veniva scritto, ma quanto tempo ci è voluto per comprenderlo davvero?”. Secondo il pm è “da queste sentenza che si deve oggi ripartire nel nostro lavoro per cercare di rendere comprensibili, e completare le verità parziali che restano”. Parlando dello stato della giustizia ha poi ricordato che al momento “la coperta è sempre troppo corta”. “Per questo - ha aggiunto - è lecito pensare che le priorità sono altre”.
Secondo il magistrato oggi si deve affrontare il problema “in maniera organica, guardando all'ampio sistema in cui le mafie si muovono in maniera integrata ma anche circolare, nel momento in cui all'interno del sistema criminale si inseriscono altre condotto criminose che raccontano qualcosa di diverso rispetto alla mafia. Penso ai reati di corruzione, contro la pubblica amministrazione, a quelli che turbano l'andamento dei mercati, i reati finanziari, contro il patrimonio”.


Lombardo: ''Il dialogo Stato-mafie? Oggi debolezza dello Stato più accentuata''
di AMDuemila

“Nel dialogo tra le criminalità organizzate e le altre componenti sociali vedo, purtroppo, una debolezza dello Stato più accentuata che in passato perché non si è stati capaci di cogliere una serie di segnali e comprendere che il contrasto non poteva essere solo giudiziario”. A dirlo è il magistrato calabrese Giuseppe Lombardo intervenuto all'incontro, dal titolo "Oltre la mafia", in corso a Palermo in occasione del 24° anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
“Il contrasto - ha aggiunto - passa anche dalla consapevolezza della direzione che le mafie hanno preso. E passa anche dalla gente comune. Qui a Palermo, rispetto a Reggio Calabria, c'è una consapevolezza diversa. Si vede da certi occhi che osservo. Però mi chiedo se per arrivare ad avere questi occhi si debba per forza arrivare alla morte di qualcuno. Devono esserci i morti in una Nazione come la nostra per arrivare a questo?”





Lombardo: '''Ndrangheta e Cosa nostra problema politico''
Il sostituto procuratore di Reggio Calabria interviene alla conferenza “Oltre la mafia”
di AMDuemila
“La 'Ndrangheta, come Cosa nostra, è oggi, come in passato, una componente sociale. Per questo, prima che essere un probelma giudiziario, credo che si tratti un probelma politico”. Con queste parole il sostituto procuratore di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, ha aperto il proprio intervento al convegno "Oltre la mafia", organizzato dall'Associazione Culturale Falcone e Borsellino e Contrariamente, in corso a Palermo alla Facoltà di Giurisprudenza. Quindi ha aggiunto: “Mi terrorizza pensare che ancora oggi si legge che della 'Ndrangheta si sa poco, o che in qualche modo ci sorprendiamo che è presente al centro e al nord Italia. Questo è molto grave. Già negli anni '70, quando si facevano i sequestri nella locride, si dava vita ad un laboratorio criminale di straordinario valore dove la 'Ndrangheta saggiava la tenuta di altre componenti sociali”. “Allora - ha poi spiegato - otteneva aperture con un dialogo di cui parliamo oggi e ovviamente molti anni prima rispetto a quelle trattative che a Palermo conoscete. Quel dialogo è diventato a mio parere qualcosa di eversivo ed estremamente pericoloso. La vera destabilizzazione di un sistema democratico parte da quel tipo di dialogo. Mentre con le mafie non si deve dialogare, per nessuna ragione”. 


Lo Bianco: ''Vedo voglia di archiviare questi ultimi trent'anni''
Alla conferenza in ricordo di Falcone: "Non analizzato a sufficienza rapporto tra mafia e altri apparati"
di AMDuemila
A distanza di 24 anni dalla strage di Capaci "occorre partire ancora una volta da Giovanni Falcone e dalla sua straordinaria testimonianza". A dirlo è stato Giuseppe Lo Bianco, giornalista de Il Fatto Quotidiano, all'incontro dal titolo "Oltre la mafia", in corso a Palermo in occasione del 24° anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. La conferenza si svolge nell'atrio della Facoltà di Giurisprudenza, "la nostra sede naturale", così l'ha descritta il giornalista, dove "siamo tornati dopo l'esilio dello scorso anno".
"La realtà italiana a un certo punto ha smesso di essere raccontata per come si andava evolvendo" ha detto Lo Bianco, sottolineando che "il rischio è la dispersione totale di quanto accaduto, che noi, giornalisti che abbiamo vissuto questi terribili trent'anni, abbiamo lasciato scritto nei giornali e sui libri". Lo Bianco ha parlato anche della "dispersione dell'esito di alcune inchieste giudiziarie che rischiano di non rendere giustizia a Falcone" citando in merito la requisitoria del processo Capaci bis, in cui la pubblica accusa ha descritto l'attentato a Giovanni Falcone come "quasi artigianale".
"C'è voglia di archiviare questa stagione - ha allertato il giornalista - soprattutto con la sentenza di assoluzione per Mori, che va rispettata in toto, ma allora chiediamo alla Rai di fare attenzione nel mandare in onda Vittorio Sgarbi" che "offende e ingiuria i magistrati che ne hanno costruito il processo". "Quello che non è stato analizzato a sufficienza - ha dichiarato ancora - è il rapporto che Cosa nostra ha avuto con questi apparati" esterni alla mafia.
"Questo paese in questi anni - ha poi affermato Lo Bianco - è stato un paese a sovranità limitata". Ma, ha aggiunto, ci sono domande che "non riusciamo a porci nella contemporaneità, i giornalisti non hanno più tempi e spazi per approfondire seriamente questi temi. Ancora oggi non riusciamo ad ottenere ciò dalle tantissime sentenze che offrono spunti ancora oggi straordinari per mettere insieme questi pezzi". E' importante però, ha concluso, "che queste conoscenze vengano portate all'esterno, che passino di generazione in generazione per fare in modo che i nostri figli non vivano ciò che abbiamo vissuto noi".


Brizio Montinaro: ''Distinguere vero da falso è fondamentale''
Il fratello dell’agente di scorta di Falcone apre l’incontro “Oltre la mafia"

di AMDuemila
“Ora distinguere vero da falso è fondamentale perché se non si raggiunge questa coscienza si aiuta chi vuole creare un universo nebuloso dove è difficile districare chi fa veramente la lotta alle mafie e chi invece utilizza la lotta mafia per altri scopi”. A dirlo è Brizio Montinaro all’apertura della conferenza “Oltre la mafia” presso la Facoltà di Giurisprudenza in occasione del 24° anniversario dell'uccisione di Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. “Per noi risulta sempre toccante, anche dopo 24 anni, tornare a Palermo in questi giorni - ha detto il fratello dell’agente di scorta Antonio Montinaro - quando è morto aveva 29 anni, ha lasciato due figli e ci siamo trovati a vivere una tragedia nella tragedia quindi siamo qui per più motivi: per partecipare ad iniziative che danno un contributo importante non solo di testimonianza e per la stima nei confronti di Di Matteo e di tante altre persone”. Presente all'evento anche la fotografa palermitana Letizia Battaglia. Le sue foto, che raccontano la Palermo annichilita dalla guerra di mafia degli anni Ottanta, sono state esposte all'entrata della Facoltà di Giurisprudenza.
Dopo i saluti di Brizio Montinaro sul palco è salito l'attore Maurizio Bologna, che ha interpretato "Signor giudice, mi scusi…", monologo idealmente rivolto a Paolo Borsellino sull'agenda rossa del giudice, mai più ritrovata dopo la strage di via d'Amelio.

Foto © Giorgio Barbagallo

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