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ciancimino massimo s effIn dirittura di arrivo la deposizione del figlio di Don Vito al processo sul patto Stato-mafia
di Lorenzo Baldo
Conto alla rovescia. Sette anni dopo quell'intervista a Panorama Massimo Ciancimino si appresta a raccontare davanti alla Corte di Assise di Palermo l'epopea di una trattativa tra Stato e mafia che lo ha visto tra i principali protagonisti. E' il teste chiave di un processo che nessuno vuole: a partire dai vertici delle istituzioni. Ed è anche co-imputato in quello stesso procedimento assieme al capo di Cosa Nostra Totò Riina, al suo sodale Leoluca Bagarella, agli ex ufficiali del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, all'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri, all'ex ministro democristiano Nicola Mancino e al pentito Giovanni Brusca. Un mix inquietante di potere istituzional-criminale – per la prima volta sbattuto davanti ad una Corte di Assise – che lo stesso Ciancimino jr ha avuto il coraggio di far riaffiorare dalle paludi di uno Stato-mafia. E se il “personaggio” di Massimo Ciancimino ha attirato su di sé gli attacchi più spietati (sotto tutti i punti di vista) per il suo essere “fuori dalle righe”, in tutta questa vicenda non si può non partire proprio dal coraggio di chi avrebbe potuto far finta di dimenticare quelle “vecchie storie”, e invece ha scelto di ricordare optando per la via più scomoda. Con tutte le relative conseguenze.

L'attendibilità “parziale”
Seppur “parziale” l'attendibilità di Massimo Ciancimino è “al tempo stesso significativa, perché relativa ad un testimone privilegiato di quel momento e di quelle vicende”. Le “vicende” a cui si era  riferito il pm Roberto Tartaglia, durante la sua requisitoria al processo Mannino, riguardavano proprio il periodo della trattativa Stato-mafia nel quale il figlio di Don Vito aveva avuto un ruolo di primissimo piano. “Parliamo di parziale attendibilità – aveva specificato Tartaglia –, nel senso che sono dichiarazioni che noi consideriamo appunto attendibili soltanto nella misura e nei limiti in cui le stesse siano state riscontrate da altri elementi di prova, a volte di natura dichiarativa, ma anche in alcuni casi di natura documentale, oltre che di ordine logico”. Per il pool che ha istruito il processo trattativa il figlio dell'ex sindaco di Palermo è quindi un “testimone privilegiato non fosse altro perché è il soggetto utilizzato da Mario Mori e Giuseppe De Donno per organizzare gli incontri con Vito Ciancimino. Massimo Ciancimino ha veicolato quegli incontri, in un rapporto di assoluta fiducia tra padre e figlio”. Dettaglio non secondario questo, confermato da altri familiari, come il fratello Giovanni Ciancimino, ma anche da collaboratori di giustizia come Giovanni Brusca e Antonino Giuffré. “In particolare Giuffré – aveva evidenziato il pm – ci dice espressamente di aver sentito più volte parlare di Massimo Ciancimino, come di uno sul quale il padre Vito faceva affidamento 'in tutto', e addirittura che 'faceva le veci del padre', in alcuni suoi contatti delicati”.

L'attendibilità “intrinseca”
Nella sua requisitoria Tartaglia aveva ugualmente affrontato la questione dell'attendibilità “intrinseca” di Ciancimino jr, più volte messa in discussione dall'ipotesi (ventilata da più parti) che lo stesso Massimo Ciancimino avrebbe reso le sue dichiarazioni con l'obiettivo di ottenere vantaggi di natura processuale. “Non possiamo non dire – aveva sottolineato il pm – che in verità Massimo Ciancimino, proprio con le sue dichiarazioni, dal punto di vista giudiziario ha finito per aggravare la sua posizione: se non altro nell’ambito del procedimento trattativa, in cui – per le sue stesse ammissioni sul ruolo rivestito nello scambio di carteggi tra suo padre e Antonino Cinà (anche con espresso riferimento al papello delle richieste) – ha acquisito la veste prima di indagato ed attualmente di imputato del reato di concorso in associazione mafiosa, ripeto sulla base delle sue stesse dichiarazioni auto-accusatorie rese ai Pm di Palermo”. Ed anche in merito ai beni e al patrimonio “quando iniziò a rendere le sue dichiarazioni, sui beni, almeno su quelli che erano sino a quel momento sequestrati, di fatto ritroviamo da parte di Massimo Ciancimino una sostanziale ammissione della riconducibilità anche ad interessi mafiosi del patrimonio sequestrato: basti pensare alle dichiarazioni che incidentalmente Massimo Ciancimino fa quando ad esempio descrive il ruolo proprio, del padre e di Bernardo Provenzano nelle quote del gruppo Gas, in relazione al quale di fatto finisce per ammettere fedelmente tutti i presupposti di fatto e di diritto che avevano giustificato la misura patrimoniale e che ne garantiranno la persistenza”.

La “querelle” De Gennaro
In merito all'affaire De Gennaro che era costato un'accusa di calunnia (con successivo arresto) nei confronti del figlio di Don Vito, Tartaglia aveva ricordato che era stata “la stessa Procura di Palermo a contestare l'accusa di calunnia. Una calunnia reale, per la vicenda di un documento del padre in cui compariva il nome De Gennaro. Documento, originariamente ritenuto autentico e successivamente si scoprì che il nome De Gennaro era stato trasposto al computer”. Dal canto suo il pm aveva cercato di dare una possibile chiave di lettura “di questa vicenda torbida, apparentemente senza motivo, che ha portato al fermo e all’imputazione di Massimo Ciancimino. La prima spiegazione è che Massimo Ciancimino sia stato tanto abile nella sua manipolazione quanto sbadato e leggero nel momento successivo presentando il documento successivo che è inutile. La seconda è quello che è stato riportato da lui stesso, cioè che è stato tratto in inganno da soggetti gravitanti nei servizi. La terza lettura è che questo episodio della consegna inutile lo si sia fatto nell'ambito di una manovra condotta dall’esterno per ridimensionare la portata delle sue dichiarazioni dato che su queste c’era una pressione mediatica notevole”. Per la Procura quindi “la considerazione complessiva non ci consente di arrivare all’attendibilità generale sul soggetto e la valutazione va frazionata delle dichiarazioni, senza fare facili semplificazioni”.

Il “papello”
Certo è che la massima attenzione va data ai documenti presentati da Massimo Ciancimino, in particolare al “papello” consegnato all'autorità giudiziaria il 14 ottobre 2009. “I documenti consegnati – aveva evidenziato Tartaglia – li leggiamo alla luce dei risultati pervenuti dalla polizia scientifica. Il papello è l’unico documento in fotocopia che contiene una serie di indicazioni: maxiprocesso, riforma legge sui pentiti, benefici ai dissociati, chiusura supercarcere ed altro ancora. Sull’angolo in alto risulta fotocopiato anche un post-it che presenta un’annotazione di Vito Ciancimino con scritto 'consegnato a Mario Mori del Ros'. Ad oggi non si sa chi ha scritto quell'elenco anche se tutti parlano di una dettatura di Riina. Non è frutto di contraffazione e si tratta di una fotocopia di un documento originale. Dal toner e dalla carta usati si può dire che c'è una elevata probabilità che risalga al '92 e la certezza che non è stato confezionato da Massimo Ciancimino a uso e consumo delle sue dichiarazioni alla Procura”.

Il “contropapello”
Tra i documenti ritenuti originali c'è anche il famoso “contropapello”, consegnato da Ciancimino jr sempre il 14 ottobre 2009, in cui le richieste di Cosa Nostra allo Stato erano state “ammorbidite” da Don Vito. “E' con certezza riconducibile alla grafia di don Vito Ciancimino – aveva spiegato il pm – anche il documento in cui Vito Ciancimino commenta le dichiarazioni rese da Mori e De Donno al processo di Firenze per le stragi. Ebbene, Vito Ciancimino, di suo pugno, annota testualmente: 'hanno reso falsa testimonianza'”. In un altro manoscritto appartengono ugualmente all'ex sindaco mafioso le annotazioni testuali 'passaporto a De Donno per vie normali. Consegna mappe città, utenze AMAP. Utilizzo per conoscere possibile ricovero boss. 17/12/1992, partenza per PA. Propongo appalti privi effetto. Mi promise che mi avrebbero risposto entro martedì successivo. Rientro sabato 19/12/92. Comunico risultato a De Donno, mezz’ora dopo arrestato'. “Si tratta di dettagli utili a comprendere le fasi finali della sua interlocuzione con il Ros fino al momento del suo arresto”, aveva specificato Tartaglia. Di fatto, tra i documenti consegnati da Ciancimino jr, Don Vito scriveva anche di Mori: 'mi ha detto di essere stato autorizzato'. Annotava con solerzia: 'sono ancora in attesa del passaporto promesso dal colonnello e dal capitano' e parlava di un incontro con Mori a giugno, quando invece lo stesso Mori ha sempre sostenuto di aver parlato con Ciancimino solo dopo la strage di via D'Amelio, quindi a fine luglio.

La scelta
Spesso nella vita si arriva ad un bivio di fronte al quale bisogna scegliere la strada da imboccare. Una volta presa la decisione non si può più tornare indietro. Ed è proseguendo quel cammino che ci si rende conto – ancora di più – della scelta compiuta. La storia dell'umanità è contrassegnata da vicende di uomini e donne che con le loro scelte hanno cambiato il corso degli eventi. La maggior parte delle volte si è trattato di decisioni difficili, sofferte, prese con la consapevolezza di ciò che avrebbero provocato. Scelte che, al di là dei limiti dell'umana natura, sono state comunque affrontate con dignità da coloro che si sono fatti promotori di un cambiamento. Ed è proprio nei confronti di chi compie scelte difficili che deve andare il rispetto di chi ricerca la verità. Quel rispetto che merita lo stesso Massimo Ciancimino per avere avuto la determinazione e il coraggio di proseguire un preciso cammino nel quale inevitabilmente sono confluiti anche i suoi errori e le sue debolezze. Che non demoliscono, però, il valore della sua scelta di voler contribuire al raggiungimento della verità sul patto tra Stato e mafia. Che si è consumato sul sangue di troppi innocenti. Un patto siglato da quegli uomini delle istituzioni che – con i loro silenzi frutto di ricatti incrociati – si sono garantiti (per il momento) una granitica impunità. Ma soprattutto il disprezzo che meritano gli indegni.

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