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mattarella piersanti 2di Aaron Pettinari
Trentasei anni sono passati da quando, nel giorno dell'Epifania, un killer uccise Piersanti Mattarella, in via della Libertà. L’uomo si avvicinò al finestrino dell’auto dove l’allora Presidente della Regione Siciliana era appena entrato insieme con la moglie, coi due figli e con la suocera per andare a messa, e sparò svariati colpi di pistola.
Mattarella, fratello dell’oggi Presidente della Repubblica Sergio, era stato il punto di riferimento della parte sana della società civile e di quell’esigua minoranza politica che aveva a cuore gli interessi del proprio popolo.
Non aveva mezze misure e alla Conferenza regionale dell’agricoltura, tenuta a Villa Igea la prima settimana di febbraio del 1979, prese una chiara posizione di contrasto contro mafia e malaffare. Il deputato Pio La Torre, presente in quanto responsabile nazionale dell'ufficio agrario del Partito Comunista Italiano (sarebbe divenuto dopo qualche mese segretario regionale dello stesso partito) attaccò, con furore, l'Assessorato dell'agricoltura, denunciandolo come centro della corruzione regionale, e additando lo stesso assessore come colluso alla delinquenza regionale. Mentre tutti attendevano che il presidente della Regione difendesse vigorosamente il proprio assessore, Giuseppe Aleppo, sgomentando la sala Mattarella riconobbe pienamente la necessità di correttezza e legalità nella gestione dei contributi agricoli regionali. Un solo periodico sfidando il clima imposto pubblicò il resoconto, sottolineando come fosse generale lo sconcerto e come fosse comune la percezione che si apriva, quel giorno a Palermo, un confronto che non avrebbe non potuto conoscere eventi drammatici. Un senatore comunista e il presidente democristiano della regione si erano, di fatto, esposti alle pesanti reazioni della mafia.
Mattarella andò anche oltre: continuò a denunciare le irregolarità che poteva constatare e fece pulizia all’interno del partito e nel Consiglio regionale.
Per questo si può dire che con quelle riforme fatte per il territorio, per una moralizzazione della vita pubblica, in tema di pubblica amministrazione, gestione degli appalti e quant'altro era davvero rivoluzionario. Il politico della Dc avrebbe davvero cambiato la Sicilia se non l'Italia stessa perché dopo Moro era davvero lanciato ad un'ascesa all'interno del partito.
Ed è forse proprio questo aspetto che lo rendeva temibile, non solo per la mafia.
Dalle indagini sono emerse anche alcuni elementi che fanno emergere quantomeno un interesse che non era solo di Cosa nostra (come è noto per quell’omicidio sono stati condannati all'ergastolo Totò Riina, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Geraci e Francesco Madonia, ndr). Vi sono delle piste che portano al coinvolgimento del terrorismo nero (tesi che è abbracciata tutt'oggi dalla famiglia Mattarella, ndr).

Inoltre, tra i tanti misteri che ruotano attorno all’assassinio dell’esponente Dc un dato certo è che l’ex presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, è indubbiamente corresponsabile di quella morte. Nella sentenza di Appello nei confronti dello stesso Andreotti, confermata dalla Cassazione nel 2004, è scritto inequivocabilmente che il “divo” Giulio era del tutto consapevole dell'insofferenza di Cosa Nostra per la condotta di Mattarella, ma non avvertì né l'interessato, né la magistratura, pur avendo partecipato ad almeno due incontri con boss mafiosi di prima grandezza aventi ad oggetto la politica di Piersanti Mattarella e il suo omicidio. Andreotti, si legge nella sentenza, “era certamente e nettamente contrario” all’omicidio tanto da incontrare in Sicilia l’allora capo dei capi di Cosa Nostra, Stefano Bontade, per una vera e propria trattativa con l’organizzazione criminale che evitasse l’uccisione di Mattarella. Nella sentenza si legge ancora che dopo l’omicidio del presidente della Regione “Andreotti non si è limitato a prendere atto, sgomento, che le sue autorevoli indicazioni erano state inaspettatamente disattese dai mafiosi ed a allontanarsi senz’altro dagli stessi, ma è sceso in Sicilia per chiedere conto al Bontade della scelta di sopprimere il presidente della Regione”. In un altro Paese sarebbero bastate queste poche righe per eliminare dalla scena politica (al di là delle sentenze di assoluzione) simili personaggi. In Italia stiamo ancora a discutere sulla (presunta) innocenza di Andreotti. Intanto, però, rendiamo onore a chi ha sacrificato la propria vita per cercare di portare una ventata di cambiamento, chiedendo nuovamente giustizia per una verità che resta, purtroppo, ancora incompleta.