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di matteo borsellino abbraccioIntervista a Salvatore Borsellino di Giacomo Russo Spena
“A noi non interessano i numeri, ma la passione. Alle Termopili, ad opporsi allo sterminato esercito persiano, c’erano soltanto 300 spartani”. Combattivo come mai Salvatore Borsellino che, con le sue Agende Rosse, ha lanciato una manifestazione a Roma per il prossimo 14 novembre in sostegno al pm Nino Di Matteo, “lasciato solo dalle Istituzioni a lottare contro la Mafia”. Un’iniziativa promossa senza l’ausilio di partiti e sindacati che ha nella società civile il proprio cuore pulsante: “Non vogliamo altri eroi da commemorare, noi vogliamo sostenere i giudici vivi, non piangerli da morti”.

Abbiamo il sostituto procuratore Nino Di Matteo minacciato di morte per le sue indagini sulla trattativa Stato-Mafia e le stragi del 1992, eppure il pm appare isolato e abbandonato da istituzioni e politica. Salvatore Borsellino, cosa succede?
Succede che istituzioni e politica sono stati complici per oltre vent’anni in una scellerata congiura del silenzio su quella Trattativa che oltre ad essere stata la causa dell’accelerazione della condanna a morte di Paolo Borsellino, ha generato poi le stragi di Via dei Georgofili e di Via Palestro, oltre che gli attentati alle basiliche vaticane. Di Matteo ha avuto l’ardire di sollevare il pesante velo nero che finora ha coperto questa Trattativa ed oggi ne paga le conseguenze con la sua emarginazione ed il silenzio di morte calato non solo da parte di politica e istituzioni, ma anche da larga parte dell’informazione, sulle minacce che gli vengono rivolte.

“Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre” ha dichiarato Messina Denaro ai rappresentanti delle famiglie mafiose, chiedendo di far fuori Di Matteo. Così Toto Riina - intercettato durante l'ora d'aria - ha condannato a morte il pm durante un colloquio con Alberto Lorusso, esponente della Sacra Corona Unita. Tale efferatezza non fa pensare che siamo prossimi ad un punto di svolta nelle indagini?
È proprio sulla frase di Messina Denaro che bisogna riflettere: “Mi hanno detto…”. Da che parte arrivano tali sollecitazioni a risolvere il “problema Di Matteo”? Provare a capire chi oggi riveste lo stesso ruolo occupato in passato da Totò Riina quando gli arrivarono le stesse sollecitazioni a risolvere – dopo soli 57 giorni dell’eliminazione di Giovanni Falcone e contro il parere di altri componenti della cupola mafiosa – il “problema Borsellino”. Nino di Matteo e le indagini del pool di Palermo rappresentano un pericolo intollerabile per chi deve continuare a nascondere la verità sui ricatti incrociati legati alla Trattativa e sulla loro influenza sugli ultimi vent’anni di storia del nostro Paese.
 
Perché il CSM ha osteggiato Di Matteo con l'apertura di una serie di provvedimenti disciplinari e quasi ignorando il suo prezioso lavoro? Cosa succede all’interno del Consiglio Supremo della Magistratura?
Nel suo ultimo discorso pubblico, il 25 di giugno del 1992, nell’atrio della Biblioteca Comunale di Palermo, Paolo Borsellino parlò di un Giuda che avrebbe tradito Giovanni Falcone. Oggi, in quel che dovrebbe essere l’organo di autogoverno della magistratura, squassato dalle correnti e caduto preda della politica, credo che i Giuda prevalgano di gran lunga sugli apostoli e i provvedimenti disciplinari sono diventati uno strumento di manovra e di intimidazione verso quei magistrati che si ostinano a mantenere la schiera dritta e procedono senza cedimenti e compromessi, sulla difficile strada della ricerca della verità e della giustizia.

Abbiamo a che fare con una magistratura isolata a contrastare la Mafia e a cercare la verità. La politica invece di aiutare sta intralciando il lavoro dei pm. Da cosa deriva l’isolamento istituzionale?
Dalla stagione di Mani Pulite, che portò alla dissoluzione di partiti storici e tentò di mettere un freno alla corruzione elevata a sistema, gli sforzi della politica sono stati rivolti ad evitare il pericolo del ripetersi di una simile stagione e questo ha portato ad attentare all’indipendenza stessa della magistratura e alla necessità di cercare di “spuntare” le armi dei pm. Anche a costo di ridurre l’efficacia nella lotta alla criminalità e in particolare alla criminalità organizzata. Interesse quest’ultimo coincidente con la necessità di pagare le cambiali contratte per ottemperare agli obblighi imposti dalla conclusione della Trattativa. Bisognerebbe piuttosto chiedersi quanta parte di magistratura, in parte connivente con la politica, sia veramente contraria a questo processo, cioè quanti magistrati con la schiena dritta sopravvivano oggi in questo Paese.
 
Secondo Di Matteo “la lotta alla mafia non è più prioritaria” e “per vincere la mafia infiltrata nell’amministrazione pubblica e la corruzione l’Italia deve affrontare un’altra grande guerra di liberazione”. È veramente così?
Le parole di Di Matteo sono assolutamente condivisibili e rispecchiano la desolata realtà della decadenza della morale e della coscienza civile nel nostro Paese. Non per nulla il grido che leviamo da tempo nelle manifestazioni del nostro movimento, il Movimento delle Agende Rosse, è  “Resistenza”.
 


Abbiamo visto a Roma, con l’inchiesta di Mafia-Capitale, come la criminalità organizzata ormai sia endemica ai sistemi di governance. Siamo assistendo ad una ristrutturazione della Mafia, sempre più legata a poteri forti, appalti e finanza?
Dopo la conclusione della Trattativa, a fronte di uno Stato che aveva scelto di elevare la criminalità organizzata a proprio interlocutore privilegiato, non esitando per questo a sacrificare la vita dei suoi servitori più fedeli, la criminalità organizzata, forte anche di questa “legittimazione”, ha cambiato strategia, è ritornata ai collaudati sistemi di infiltrazione e di mimetizzazione all’interno dell’amministrazione pubblica, di accaparramento degli appalti, di rafforzamento dei legami con i poteri forti e le strutture massoniche, di sfruttamento e manovra, grazie agli immensi capitali di cui dispone, dei sistemi e dei meccanismi finanziari.
 
Con il conflitto di attribuzione sollevato dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non vi è stata l’ennesima delegittimazione della procura di Palermo?
Non solo una delegittimazione della Procura di Palermo ma anche un gravissimo vulnus al prestigio della massima delle nostre Istituzioni. Essendo ormai impossibile l’ascolto di quei colloqui, Nicola Mancino, imputato per falsa testimonianza al processo di Palermo, potrebbe oggi  affermare, senza poter essere smentito, di avere avuto in quei colloqui qualsiasi tipo di assicurazioni e di promesse di appoggio da parte del Presidente della Repubblica. E qualsiasi cittadino italiano può oggi ipotizzare, senza possibilità di prova contraria, che in quei colloqui ci siano contenuti, se non penalmente rivelanti – come affermato dai pm – almeno eticamente disdicevoli per un Presidente della Repubblica. E non potrebbe essere smentito neanche chi dovesse pensare il peggio, che in quei colloqui si parli espressamente di assicurazioni e garanzie sul mantenimento della congiura del silenzio sulla Trattativa Stato-mafia.
 
Dove non arriva la politica, sembra giungere la società civile. Agende Rosse e Scorta Civica hanno organizzato per il 14 novembre una manifestazione a Roma in sostegno di Di Matteo. Sarà fisicamente presente?
Certamente, sono convinto che a fronte della latitanza dello Stato e delle Istituzioni sia dovere di tutti fare sentire il nostro sostegno e la nostra solidarietà a Nino Di Matteo e a tutto il pool di Palermo. Noi non vogliamo altri eroi da commemorare, altri nomi da leggere nelle piazze dal lungo elenco di martiri che hanno sacrificato la loro vita per il giuramento di fedeltà ad uno Stato che troppo spesso è stato complice occulto deli loro assassini. Noi vogliamo sostenere i giudici vivi non piangerli da morti.

Nella Capitale si vedono ormai continue proteste e sit-in. Non crede che questa mobilitazione possa risultare un’arma a doppio taglio se non sarà particolarmente partecipata?

Il rischio esiste e tanti rappresentanti di un’informazione troppo spesso prona al potere non attendono altro. Hanno parlato quest’anno di deserto in una Via D’Amelio che invece era piena di braccia, giunte da ogni parte d’Italia, che levavano in alto delle Agende Rosse. Le nostre manifestazioni non sono e non possono essere oceaniche dato che non chiediamo appoggi a partiti e sindacati, rifiutiamo per principio l’esibizione di bandiere e di simboli di questa politica, non abbiamo pullman se non quelli da noi stessi affittati con collette tra i partecipanti. Potremo non esser in molti ma a noi non interessano i numeri, ma la passione. Alle Termopili, ad opporsi allo sterminato esercito persiano, c’erano soltanto 300 spartani.

Tratto da: temi.repubblica.it/micromega-online

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