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di matteo nino c paolo bassani cl 2015 2di Aaron Pettinari
Si tratta di Francesco Chiarello: ''E' stato trasferito in un nascondiglio sicuro''

“L’esplosivo per l’attentato al pm Nino Di Matteo è stato trasferito in un altro nascondiglio sicuro”. E' la rivelazione dell'ultimo pentito, ex boss di Borgo Vecchio, Francesco Chiarello. A dare la notizia è il quotidiano La Repubblica, incredibilmente soltanto nell'edizione locale di Palermo e non in quella nazionale, che mette in evidenza come il collaboratore di giustizia, con le sue dichiarazioni, ha già fatto riaprire le indagini sull'omicidio dell'avvocato Enzo Fragalà. In particolare Chiarello riferisce di aver appreso dell'esistenza dell'esplosivo dal suo compagno di cella, Camillo Graziano, figlio di quel Vincenzo Graziano accusato dal pentito Vito Galatolo di aver conservato l'esplosivo, acquistato in Calabria tra il 2012 ed il 2013, che doveva essere usato contro il pm del pool trattativa Stato-mafia. “Camillo Graziano – ha detto il pentito ai pm di Palermo Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco, che stanno raccogliendo le sue dichiarazioni - mi disse che per fortuna suo padre era stato scarcerato, così aveva potuto spostare il tritolo”. Immediatamente il verbale su Vincenzo Graziano è stato trasmesso alla Procura di Caltanissetta che indaga proprio sul progetto di attentato nei confronti di Di Matteo.
Si tratta di un importante riscontro a quanto dichiarato da Vito Galatolo lo scorso anno. L'ex boss dell'Acquasanta, saputo che Graziano era stato scarcerato nel luglio dal tribunale del riesame, aveva deciso di collaborare con i giudici di Palermo. Con una lettera aveva chiesto un incontro con il pubblico ministero Di Matteo, e a lui aveva rivelato il progetto di attentato. “Sentivo che poteva succedere qualcosa di molto grave – ha raccontato lo scorso maggio al processo trattativa Stato-mafia - Eravamo stati avvicinati da persone di Cosa nostra che dicevano che si voleva fare un attentato al dottor Di Matteo, a Roma o a Palermo. Quando vengo arrestato nel 2014 vengo trasportato al carcere di Tolmezzo. Dopo un mese e mezzo vengo a sapere che è stato scarcerato Vincenzo Graziano sottocapo della famiglia dell’Acquasanta. Graziano voleva fare questo attentato ed aveva a disposizione 200 kg di tritolo. Mi sentivo la coscienza sporca”. A detta del pentito quel progetto di attentato era stato sollecitato da Matteo Messina Denaro in persona: “Di Matteo si doveva fermare perché stava andando troppo avanti. Questo lo spiega Messina Denaro nella seconda lettera, del dicembre 2012, alla presenza mia, di Biondino, di D'Ambrogio e di Vincenzo Graziano. Nella seconda lettera c'era il riferimento ai processi. Si doveva dare un segnale che la mafia era sempre pronta a reagire allo Stato anche qui si parlava in maniera affettuosa. Oltre all'attentato a Di Matteo si parlava di eliminare anche i due pentiti, “Manuzza”, Nino Giuffré, e Gaspare Spatuzza, Se accettavamo di fare l'attentato avremmo dovuto dire tutto a Mimmo (Biondino) che lui sapeva come organizzare. Biondino nello specifico si doveva occupare dell'esplosivo. C'erano da raccogliere dei soldi anche. Ed ogni mandamento doveva mettere due persone”. Tra i summit indicati dall'ex boss dell'Acquasanta ve ne è uno a Ballarò il pomeriggio del 9 dicembre 2012. In quel periodo su Girolamo Biondino pendeva un'indagine della Procura di Palermo. Dopo le verifiche degli inquirenti si è scoperto che proprio in quel pomeriggio la telecamera piazzata davanti casa del boss di San Lorenzo aveva smesso di funzionare per il maltempo. Da un’ulteriore verifica è emerso che era uscito con un familiare, anche lui sotto controllo. La voce di quel familiare è rimasta registrata al telefono mentre parlava con la moglie di Girolamo Biondino.
Dell'attentato a Di Matteo aveva parlato in un secondo momento anche il collaboratore di giustizia di Barcellona Pozzo di Gotto, Carmelo D'Amico. Chiarello quindi sarebbe il terzo pentito a riferire del progetto di morte. Purtroppo però neanche lui sa dove si trovino quei 150 kg di esplosivo che gli investigatori stanno cercando da tempo. Diverse perquisizioni erano state effettuate dai finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria e gli investigatori della Dia tra Monreale, l'Arenella e l'Acquasanta. Certo è che su Di Matteo vi è anche la condanna a morte di Totò Riina, dal carcere Opera di Milano, ed ogni riferimento sul progetto di attentato non può essere sottovalutato. Ad alimentare il mistero, poi, vi sono anche le parole sibilline di Vincenzo Graziano, forse l'unico che sa esattamente dove si trovi il tritolo, che la notte dell'arresto fece una battuta ai finanzieri: “L’esplosivo per Di Matteo dovete cercarlo nei piani alti”. Un segnale ulteriore che a volere la morte del magistrato non fosse solo Cosa nostra? Più che probabile. Del resto lo stesso Galatolo aveva riferito che per l'attentato Messina Denaro avrebbe messo a disposizione un artificiere: “Avevamo l'ordine che non dovevamo presentarci con questa persona. Questo ci stupiva, il fatto che non dovevamo sapere chi era questo uomo di Messina Denaro. Noi capimmo che era esterna a Cosa nostra e che poteva essere qualcuno dello Stato che era interessato a fare questa strage. Secondo noi non era una cosa solo di Messina Denaro, c’era qualcuno al di fuori di Cosa Nostra. Questo serviva a far capire a tutti che la mafia era ancora viva”. E alla domanda su quali fossero le garanzie ricevute da Cosa nostra il pentito aveva aggiunto: “Era arrivato il via libera di Messina Denaro per fare questo attentato. A Cosa Nostra non conveniva fare queste cose, sarebbero tornati gli anni ’90 con gli arresti e l’esercito nelle strade, ma c’era l’ordine che si doveva fare. Il fatto delle coperture che erano presenti era proprio scritto nella lettera. Era scritto che facendo quell’attentato non ci dovevamo preoccupare perché questa volta non sarebbe stato come negli anni ‘90 e saremmo stati coperti. E quindi abbiamo accettato”.

Foto © Paolo Bassani

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