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agostino-castellucciodi Aaron Pettinari - 17 giugno 2015
“Indagare sul depistaggio e su faccia da mostro”

Un nuovo spiraglio per raggiungere la verità si apre sul caso dell'omicidio dell'agente Nino Agostino e della moglie, incinta, Ida Castelluccio, avvenuta il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini. La scorsa settimana il Gip Maria Pino ha firmato l'ordinanza che rigetta l'archiviazione presentata lo scorso anno dalla Procura di Palermo, prorogando le indagini di ulteriori sei mesi.
La speranza, ad oltre vent'anni di distanza, è quella di dare un nome a chi ha compiuto quel delitto e anche a chi ha armato la mano dei killer.
Una prima indicazione l'ha data nel 2009 il collaboratore di giustizia Vito Lo Forte che a domanda specifica ha risposto ai pm dando due nomi: “Sì.. io so che ... chi l'ha ucciso personalmente è stato Gaetano Scotto e Antonino Madonia. Questo so [...] esecutori materiali”.
Madonia e Scotto non erano due soggetti qualunque. Il primo, membro della famiglia di Resuttana, era ritenuto uno dei sicari più fidato del Capo dei capi, Totò Riina. Il secondo era un imprenditore dell'Arenella ritenuto particolarmente vicino agli ambienti dei servizi segreti.
Lo Forte avrebbe appreso delle responsabilità dei due da Pietro Scotto, fratello di Gaetano (“Pietro Scotto è venuto da me, dove avevo gli arresti domiciliari, e mi ha detto questa cosa. Perché me l'ha detto? per farsi bello, perché il fratello era diventato importante, mi disse, vedi che (...) la cosa che interessava a lui erafarmi sapere che ilfratello era importante, ormai era entrato nelle grazie dei Madonia, dei Calatolo, stava facendo tutto lui....” Ed in un secondo verbale nel 2010 aggiunse: “mi disse che era stato Caetano, ilfratello Gaetano Scotto assieme a Nino Madonia ad uccidere l'agente Agostino e la moglie”. Per arrivare ad un processo contro i due presunti assassini però non sono bastate le dichiarazioni del pentito ed i pm Nino Di Matteo e Francesco Del Bene avevano presentato una richiesta di archiviazione a cui si oppose il legale della famiglia Agostino, Fabio Repici. Ed ora il gip ha risposto chiedendo un nuovo approfondimento. Nelle quattro pagine di ordinanza vengono date indicazioni precise per trovare nuovi riscontri, suggerendo di interrogare in primis Vito Galatolo, il pentito dell'Acquasanta che lo scorso novembre ha svelato il piano di morte nei confronti dello stesso Di Matteo. Lo Forte, infatti, ai pm ha detto che anche quest'ultimo gli avrebbe confermato il coinvolgimento di Getano Scotto e Madonia (“Vito Galatolo mi sembra che me ne parlò [...] mi disse 'a stessa cosa che mi ha detto Pietro Scotto”). Ed è da questo punto che il giudice indica di ripartire, sentendo sull'omicidio proprio l'ex boss dell'Acquasanta. “Dovrà altresì tenersi conto – aggiunge Maria Pino – di quanto il collaboratore Angelo Fontana ha ritenuto di aver appreso da Angelo Galatolo, figlio di Giuseppe, e da Antonino Pipitone, sia di quanto dichiarato da Francesco Onorato, in merito al rapporto che anteriormente al 1992 sarebbe valso a legare Antonino Madonia, esponente apicale del mandamento di Resuttana, al funzionario della polizia Arnaldo La Barbera”.
Nel documento si chiede anche di approfondire quanto indicato da Fontana e Lo Forte sull'eventuale correlazione tra il fallito attentato all'Addaura e l'omicidio Agostino “verificando se nell'ambito del procedimento istruito presso la Procura di Caltanissetta siano emersi elementi atti a comprovare quel collegamento, o comunque, utili ai fini della ricostruzione del fatto oggetto del presente procedimento e della individuazione dei responsabili”. Ciò tenuto conto anche delle dichiarazioni fatte dal confidente Luigi Ilardo nel maggio 1996, il quale affermava che nell'attentato all'Addaura i servizi segreti “deviati” avrebbero avuto un ruolo fondamentale.
Per vederci chiaro il giudice suggerisce anche di approfondire sul depistaggio che per anni ha portato il caso Agostino in un vicolo cieco a cominciare dalle prime indagini su un delitto passionale inesistente, seguita allora dal Capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera.
Il gip Maria Pino ha quindi accolto una richiesta del legale di parte civile della famiglia Agostino e sollecita la procura di Palermo a recuperare la trascrizione integrale dell’audizione dell’ex prefetto Luigi De Sena davanti ai pm di Caltanissetta il 19 novembre 2010.
De Sena tra il 1985 ed il 1992 era assegnato, fuori ruolo, al Sisde, in qualità di Direttore dell’Unità Centrale Informativa. De Sena vantava una solida amicizia con l'ex capo della Squadra Mobile di Palermo, deceduto nel 2002.
I pm nisseni, che lo avevano interrogato anche nell'ambito delle indagini sul processo Borsellino quater, avevano definito come “lacunose” le sue dichiarazioni sui legami con La Barbera, in particolare quelle sul rapporto avuto da questi con il Sisde, dal 1986 al 1988, quando si trovava ancora a Venezia ed operava per il Servizio di sicurezza con il nome in codice di “Rutilius”.
Nell'ordinanza non si fa poi alcun riferimento alla posizione dell'indagato ex agente di polizia Guido Paolilli. Quest'ultimo fu intercettato, nella sua casa di Montesilvano, provincia di Pescara, mentre alla tv davano un servizio in cui Vincenzo Agostino, padre di Nino, parlava del biglietto trovato nel suo portafogli (in cui era scritto “se mi succede qualcosa andate a cercare nell’armadio di casa”) a domanda del figlio, rispose di aver distrutto “una freca di carte”. Il suo ruolo, secondo l’inchiesta della procura di Palermo, sarebbe stato di depistare le indagini ma, sempre a parere di quest'ultima, è scattata la prescrizione in quanto il reato a lui contestato è stato consumato nell'agosto 1989. E' presumibile, quindi, che la posizione di quest'ultimo sia stata stralciata e che il reato contestato sia stato ritenuto prescritto anche dal Gip.
Diversamente il giudice interviene anche su un altro punto chiave disponendo, “pur prendendo atto delle ragionevoli riserve formulate dal pm in sede di udienza camerale in ordine alla attendibilità degli esiti della ricognizione personale chiesta nei confronti di Aiello Giovanni dagli opponenti” di mettere a confronto il padre dell'agente ucciso, Vincenzo Agostino, con l'ex poliziotto della squadra mobile di Palermo sospettato di essere “faccia da mostro” (l'uomo con la faccia butterata sospettato di aver avuto un ruolo su stragi e delitti eccellenti tra gli anni ottanta e novanta).
Pochi giorni prima del delitto, ha raccontato in più occasioni Vincenzo Agostino, che un uomo con la “faccia da mostro” aveva cercato il figlio. “Erano in due. Questo con il volto sfregiato guidava una moto, quell'altro era più giovane, di statura più bassa e con i capelli scuri. Fu quello più basso a bussare alla porta della mia villetta. Mi chiese dov'era Nino. Io gli risposi che era in viaggio di nozze. Fu a quel punto che l'altro, lo sfregiato, che fino a quel momento era rimasto sulla moto, disse all'amico: 'Digli che siamo dei colleghi, poliziotti'. E se ne andarono. Una settimana dopo uccisero Nino e Ida, che era incinta”.
“Il provvedimento del giudice Pino è molto importante e riaccende la speranza – commenta il legale della famiglia Agostino, Fabio Repici – La Procura di Palermo può eseguire una serie di accertamenti importantissimi che possono fornire sicuramente un quadro più completo della vicenda. Ho la speranza che a breve si possa finalmente aprire un processo per l’omicidio di Nino Agostino e di sua moglie Ida. E' passato tanto tempo ma la verità su quella che ritengo essere una drammatica pagina della nostra storia recente può essere oggi svelata”. 

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