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carabinieri-divisa-colonnello-effdi Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 12 giugno 2015
“Non ritenni necessario dire a Canali che Mori era stato informato sulla presenza di Santapaola nel barcellonese”. Così l’ex colonnello Silvio Valente, oggi in pensione e nel 1993 comandante della sezione anticrimine di Messina, ha risposto ad una domanda del pm Nino Di Matteo. “Con Mori parlammo a settembre dei fatti d Terme Vigliatore quando facemmo una riunione… si parlò di sfortuna, gli dissi che io c’ero rimasto male a non essere stato informato e lui fece riferimento al fatto che io stavo facendo la scuola di guerra… gli dissi che stavo cercando di rianimare il reparto. Mentre a De Caprio dissi ‘ma vi trovavate proprio là?’. E lui mi rispose che uno dei suoi aveva riconosciuto un latitante. Ma non mi spiegarono perché non avevano preso l’autostrada”.
Di Matteo, sottolineando come le intercettazioni dove venne registrata la voce di Santapaola fossero state richieste dallo stesso Canali, ha quindi chiesto perché nell’ informativa di luglio venne nascosto il dato della certa presenza di Santapaola. E il teste ha risposto: “Io so che gli riferivano direttamente a Canali e quindi probabilmente lui già sapeva. Quando gli porto l’informativa non è che mi dice: ma cosa mi sta dicendo, lui già sapeva”. E sul motivo per cui non si parla in alcun modo del riscontro effettuato da Scibilia per vie infromali ha aggiunto: “Quello che fece Scibilia lo fece in maniera molto artigianale, io ritengo che non era… una parola certa… forse per la polizia giudiziaria… che questo confidente gli avesse detto che quella era la voce di Santapaola… e quindi ho ritenuto di non scriverlo”.


Processo trattativa, ex colonnello Valente: “Ritengo che Canali sapesse della presenza di Santapaola i primi di aprile”
di Lorenzo Baldo ed Aaron Pettinari - 12 giugno 2015

“Io ritengo che lui lo dovesse assolutamente sapere. La prima informativa che gli porto a mano lui gli diede un’occhiata e mi diede l’impressione che lo sapesse. Se non lo avesse saputo avrebbe fatto un salto sulla sedia”. A riferirlo in aula è l’ex colonnello Silvio Valente, nel 1993 Comandante della sezione anticrimine di Messina. L’ex ufficiale, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Vittorio Teresi (in aula assieme ai pm Di Matteo e Del Bene), sta ricostruendo i fatti su quanto avvenuto nell’aprile del ’93 quando venne intercettata la voce dell’allora latitante Nitto Santapaola e vi fu una sparatoria a Terme Vigliatore, quando Fortunato Imbesi venne scambiato per il latitante Pietro Aglieri dagli uomini del Ros guidati dal capitano Sergio De Caprio. All’epoca dei fatti Valente non era presente ma alcuni particolari gli furono riferiti al suo rientro a Messina. “Nella prima informativa io scrivo quanto mi venne riferito. Su Terme Vigliatore mi disse che uno dei due gruppi in una macchina credette di vedere un latitante palermitano, gli intimarono l’alt e questi scappò via, che ci fu una sparatoria dove si è rischiato il morto. La perquisizione a casa degli Imbesi? Non ne so niente, non mi venne detto niente. So che Imbesi abitava nella stessa contrada. Io non ebbi nemmeno la curiosità di andarci. Dopo l’ascolto fatto con attenzione di tutte le bobine arrivammo a ricostruire tutte le vicende per la seconda informativa”.
Nella prima informativa, consegnata al sostituto procuratore Olindo Canali nel luglio 1993, vi è un riferimento ad intercettazioni incomprensibili in riferimento a “zio Filippo”. Alla domanda su chi gli avesse fornito il dato della incomprensibilità di queste conversazioni l’ex ufficiale ha detto: “Non ricordo chi me lo disse nello specifico. Mi riferirono coloro che avevano eseguito le intercettazioni. So che erano fatti con strumenti inadeguati. Il mio scopo era riavere quelle bobine, dissi: avete fatto una cosa artigianale, ora prendiamo un filtro e vediamo cosa esce fuori”. A quel punto però il pm Teresi replica facendo notare che, prima ancora di ascoltare le stesse registrazioni, in un atto ufficiale si scrive che le stesse erano inascoltabili ed il teste conferma: “Mi dissero che alcune si ascoltavano bene e altre male e io desumo per avere queste cose siccome molte potevano essere incomprensibili bisognava riascoltarle”.


Processo trattativa, ex colonnello Valente: “Di Santapaola e sparatoria a Terme Vigliatore venni informato a fatti avvenuti”
di Lorenzo Baldo ed Aaron Pettinari - 12 giugno 2015
“Vengo informato di quanto avvenuto nel mese di aprile, l’intercettazione di Santapaola e della sparatoria di Terme Vigliatore solo dopo”. A dirlo in aula al processo trattativa è l’ex colonnello Silvio Valente, oggi in pensione, nel 1993 effettivo comandante della sezione anticrimine di Messina. “Quattro o cinque giorni dopo mi telefona il Maresciallo Sammarro che mi dice: ‘non volevano che glielo dicessi ma è successo questo’. Chiesi spiegazioni e loro avevano pensato che ormai il pasticcio era stato fatto e che avrei potuto lasciare il corso. Ma io non ci rimasi molto bene. Quando io rientro Santapaola era stato arrestato in altro sito”. L’ex ufficiale dell’Arma ha spiegato che nell’ottobre 1992 ha lasciato il comando dell’anticrimine di Messina al Maresciallo Scibilia in quanto aveva iniziato il corso di guerra. Fino a quel momento il gruppo era impegnato nelle indagini sull’operazione Peloritano 1 e 2 ma non si aveva alcuna percezione della possibile presenza di Santapaola sul territorio messinese. “Con Scibilia - ha aggiunto il teste - mi sentivo ma si parlava solo di queste attività. Nulla mi venne detto su attività nel barcellonese e sull’omicidio del giornalista Alfano. Certe cose le ho sapute solo dopo”.
Spiegando cosa gli venne riferito Valente ha ricordato: “Io finisco il corso ai primi di giugno e quando arrivai alla sezione e riunii il personale che era stato coinvolto nelle intercettazioni e chiesi di raccontarmi quello che era successo. Feci fare una scaletta. Quella scaletta fece scaturire la nota informativa. Io chiesi se erano state riascoltate le intercettazioni per vedere se di “zio Filippo” si parlava anche in altre occasioni, ma mi dissero che non era stato fatto. Quel lavoro però non si poteva più fare perché le intercettazioni erano già state depositate. C’erano alcune trascrizioni, ma non tutte. Io credevo che bisognava fare l’informativa e dall’esame delle intercettazioni denunciare chi aveva favorito la latitanza. Dovevamo mettere una pietra sopra e andare avanti e lavorare”.
In merito alla presenza di Santapaola sul territorio Barcellonese “Scibilia mi disse di aver fatto sentire la voce dello ‘zio Filippo’ al confidente. Lui riteneva che da quello che diceva il soggetto e dal riconoscimento della voce quello era il latitante”. L’ex colonnello ha anche raccontato di aver saputo che Mario Mori, imputato al processo, fu avvisato della presenza di Santapaola ma non ricorda se poi venne messo a conoscenza o meno della presenza dello stesso Mori a Messina.


Processo trattativa, pentito Di Natale: “Stragi per piegare lo Stato e sistemare le cose”
di Lorenzo Baldo ed Aaron Pettinari - 12 giugno 2015
“Subito dopo le stragi si era in attesa di sviluppi e si pensava di organizzare altri eventi caso mai quelle stragi non erano state sufficienti a far cambiare idea. Perché servivano? Per piegare lo Stato”. Prosegue la testimonianza del collaboratore di giustizia Giusto Di Natale al processo trattativa Stato-mafia. Il pentito, parlando della strategia di Cosa nostra nel 1994, ha ricordato le riunioni che venivano affrontate con Brusca, Matteo Messina Denaro, Guastella, Bagarella e Nino Mangano a cui poi subentrò anche Spatuzza: “ Una volta Brusca disse che bisognava mettere delle siringhe infettate di Aids nella sabbia. Poi questo non si fece. C’era da ridisegnare la situazione. In quel momento c’erano collaboratori che spuntavano come funghi la mafia stava prendendo batoste e si voleva invertire questa cosa, c’era anche chi parlava di revisione al maxi processo. Si faceva una guerra allo Stato per farlo piegare”. E poi ancora: “Si voleva abolire il 41bis perché arrivavano notizie che la gente veniva picchiata. Erano argomenti che si affrontavano a livello quotidiano, ne parlavano tutti. Erano quelli i problemi che avevamo”.
Sui motivi per cui quei progetti vengono arrestati Di Natale ha spiegato che “quando hanno arrestato Bagarella c’è stato un attimo di problematica. Questo gruppo ristretto che si incontrava nel mio ufficio era tenuto all’oscuro di Provenzano. Poi c’erano anche dei contatti degli agganci e si aspettavano risposte. Una di queste arrivò con l’episodio dell’euforia di Guastella ma so che Bagarella aspettava anche altre risposte. Si disse che qualcuno si era fatto vivo, ma non so chi. Me lo disse Bagarella a livello confidenziale”.
In aula il pentito ha anche ricordato che, in occasione di un’intervista televisiva di Santoro a Marcello Dell’Utri “al carcere eravamo tutti sintonizzati su quel canale. C’era grande attesa. Dell’Utri affrontava le domande di Santoro e partivano cori da stadio. Quando Dell’Utri rispose che se essere palermitano significava essere mafioso allora lui era mafioso. E tutti abbiamo applaudito. Eravamo in attesa di eventi e speravamo che qualcuno cambiasse le leggi”.
Di Natale ha anche dichiarato di aver gestito il libro mastro (del pizzo, ndr) del mandamento. “L’incarico venne da parte di Di Trapani e Guastella nell’estate del ’94. Il libro mastro era un libro nel quale annotavamo le entrate di tutti i mesi, c’erano altri soggetti che avevano ‘messo a posto’ le imprese”. Tra queste, a suo dire, vi era anche questioni importanti tra i quali le antenne di Berlusconi sotto al Monte Pellegrino. “C’erano da riscuotere 250milioni dal “serpente” nel senso del “biscione” - ha detto - Le somme importanti delle estorsioni venivano gestite in maniera diversa. Il libro Mastro l’ho gestito dal ’94 fino a quando mi hanno arrestato nel ’96. Per le antenne di Canale 5 se ne occupava Mangano, ogni estorsione aveva un suo referente”.


Processo trattativa, pentito Di Natale: “Dell’Utri assicurò per intervento su legge pentiti”
di Lorenzo Baldo ed Aaron Pettinari - 12 giugno 2015
“Un giorno Giuseppe Guastella tornò da un incontro con Vittorio Mangano euforico. Ne parlò subito con Leoluca Bagarella e poi lo disse a me. Il concetto era che avrebbero modificato la legge sui collaboratori. Mangano diceva che aveva parlato con Marcello Dell’Utri”. A dirlo in aula è il collaboratore di giustizia Giusto Di Natale, sentito oggi come teste al processo trattativa Stato-mafia. Il pentito, rispondendo alle domande del pm Francesco Del Bene dopo aver ripercorso la storia del suo inserimento all’interno di Cosa nostrana ricostruito una serie di incontri avvenuti tra il 1993 ed il 1994. “Questi incontri tra Bagarella e il genero di Mangano e Mangano non erano giornalieri ma avvenivano frequentemente. Guastella informava Bagarella di quello che succedeva. A volte era Bagarella che mandava Guastella a rapportarsi su certi argomenti. In quel periodo speravamo nella modifica dell’art.192 sui pentiti (cioè il riscontro incrociato delle dichiarazioni dei collaboratori su cui si sono basate molte condanne e arresti, ndr)”.
Alla domanda su quali fossero le assicurazioni che venivano da Dell’Utri il Di Natale ha risposto senza esitazioni: “Di portare pazienza che si stava mettendo in moto una macchina sull’art. 192. Se andate a vedere le trasmissioni televisive di Italia1, Canale5 e Rete4 e non c’era un giorno che non attaccavano i collaboratori di giustizia, è durato un paio di anni. Poi è stato cambiato l’art. 192. Basta guardare i fatti”. Nella sua deposizione il collaboratore di giustizia ha parlato anche di diverse riunioni che si sarebbero tenute nel suo ufficio: “Io ero amico di Giuseppe Guastella di Resuttana e piano piano ci siamo trovati in sintonia. In quel periodo ?93/’94 avevamo formato un club di Forza Italia, la sede era nel mio ufficio. In tutta la città c’erano dei fermenti e tutti stavano cercando di organizzarsi per non perdere questo treno politico, sono stato avvicinato da Nino Ferrante che mi ha detto che voleva fare un club più grande”.


Processo trattativa, oggi in aula il colonnello Valente
di Aaron Pettinari - 12 giugno 2015
All'udienza odierna previsto anche l'esame del pentito Giusto Di Natale
Dai rapporti tra Cosa nostra e Marcello Dell'Utri al mancato arresto di Nitto Santapaola a Terme Vigliatore. Saranno questi gli argomenti che verranno affrontati quest'oggi al processo trattativa Stato-mafia. Nell'attesa di conoscere la decisione della corte, presieduta da Alfredo Montalto, in merito alla richiesta di confronto tra l'ex sostituto procuratore di Barcellona Pozzo di Gotto, Olindo Canali, e l'ex maresciallo Giuseppe Scibilia, oggi in pensione, verrà ascoltato come testimone il colonnello Silvio Valente. Quest'ultimo nel 1993 era l'effettivo comandante della sezione anticrimine di Messina ma in quel periodo in cui venne registrata la voce di Santapaola e vi fu il caso della sparatoria contro Fortunato Imbesi, scambiato dal Ros per il boss Pietro Aglieri (un fatto che secondo l'accusa poco tempo dopo portò Santapaola a cambiare luogo per trascorrere la latitanza), frequentava un corso e dunque fu sostituito da Scibilia.
Valente ha anche il firmatario dell'informativa della sezione anticrimine di Messina, del 25 luglio 1993, quando Santapaola era già stato arrestato, indirizzata proprio a Canali. In quel documento vi è un riferimento ad alcune intercettazioni del 1 e del 5 aprile ’93 che farebbero emergere la presenza di Santapaola proprio nel territorio di Barcellona Pozzo di Gotto. La scorsa settimana l'ex pm Canali ha spiegato che: “Quell’informativa venne depositata quando io stavo per rientrare dalle ferie, io avevo già le dichiarazioni di Bonaceto su Alfano ma che fosse stata intercettata addirittura la voce di Santapaola non lo seppi e nessuno me lo disse”. Dell'informativa, delle investigazioni, e del mancato arresto dell'allora latitante Santapaola oggi Valente dovrà quindi riferire alla corte.
Di ben altro invece parlerà il collaboratore di giustizia Giusto Di Natale.
Di Natale, anche se non è mai stato combinato, in passato è stato legato alle famiglie mafiose di Resuttana e di altri mandamenti ed era arrivato persino ad un passo dal diventare reggente del quartiere La Noce. In particolare è chiamato a riferire in merito ai rapporti intrattenuti dall’organizzazione mafiosa con Marcello Dell'Utri ed in particolare sugli incontri tra quest'ultimo e Vittorio Mangano. In passato ha già riferito che, assieme al fratello, “aprii negli ultimi mesi del 1993 un club di Forza Italia e mio fratello aveva molti contatti con persone di Palermo che poi avrebbero avuto successo politicamente, come ad esempio Gianfranco Micciché. Come imprenditore avevamo molta fiducia in un progetto politico che avrebbe favorito l’imprenditorialità in Sicilia”. In quello stesso ufficio in cui aveva sede il club, ricorda, era frequentato dal “meglio di quello che c’era a quei tempi”. Matteo Messina Denaro, Salvatore Brusca, Nino Mangano, Pino Guastella. Quest’ultimo, a detta del pentito, si sarebbe fatto portavoce del boss Leoluca Bagarella.
Vi sarebbero state tante riunioni organizzate alla fine del 1994 per decidere “come arginare il fenomeno dilagante del pentitismo e in particolare quel che riguardava l’articolo 192 del codice di procedura penale, cioè il riscontro incrociato delle dichiarazioni dei collaboratori su cui si sono basate molte condanne e arresti. Un giorno, databile nell’estate del 1995, prosegue, il Guastella tornò in ufficio euforico. 'Mi hanno assicurato che il problema dei pentiti sarà risolto: si interverrà sull’articolo 192'”. Una notizia venuta da un supposto contatto diretto di Mangano con Marcello Dell’Utri. E indirettamente confermata da un altro mafioso, Diego Di Trapani, “convinto, dopo aver incontrato Provenzano, che tutto sarebbe stato risolto e che in appello i boss sarebbero stati assolti in massa”. In passato aveva anche raccontato che nel 1998 fu accolta con applausi, risate e fragorosi battimani da centinaia di detenuti al 41 bis nelle carceri di tutta Italia, la provocazione lanciata da Marcello Dell’Utri al microfono di Michele Santoro - “sono palermitano e quindi sono mafioso”.
Inoltre il pentito Di Natale ha anche riferito che all’indomani delle stragi, vi era stata più di una riunione per determinare il nuovo riassetto dell’organizzazione e a queste riunioni c'era un nuovo “senato” di Cosa nostra. Un gruppo ristrettissimo che si riservava di prendere decisioni senza che gli altri capimandamento ne fossero a conoscenza. Una sorta di élite che si è definita dopo l’arresto di Bagarella nel 1995.

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