Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

silhouette-tribunale-palermodi Lorenzo Baldo ed Aaron Pettinari - 14 maggio 2015
Per la mancata cattura di Provenzano in aula il colonnello De Caprio
Su il sipario. Due paraventi sanitari ed un cordone di carabinieri in borghese a fare da muro. E’ questo lo scenario dell’esame del colonnello “Ultimo”, al secolo Sergio De Caprio, al processo d’Appello contro il generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano, nell'ottobre 1995. Un’audizione talmente “blindata” che gli stessi giornalisti devono alzarsi e abbandonare l’aula per permettere l’ingresso del teste. Dalla mancata perquisizione del covo di Riina alla terribile vicenda di Terme Vigliatore non bastano le parole del vice comandante del Noe per fare chiarezza su episodi che oltre a presentare più di un’ombra, lasciano intravedere sullo sfondo un “modus operandi” quantomeno discutibile. “Ultimo”, teste della difesa, in particolare sui fatti avvenuti il 6 aprile 1993, dà un’ulteriore versione che si aggiunge a quelle discordanti dei suoi uomini. Un fatto evidenziato anche dallo stesso presidente Salvatore Di Vitale.
De Caprio giustifica la presenza del suo gruppo su Terme Vigliatore come un fatto casuale: “Ci trovavamo sulla litoranea che da Messina porta a Palermo perché a me piaceva particolarmente quella strada ed andare in autostrada era abbastanza pericoloso considerato quanto avvenuto mesi prima proprio in un’autostrada (riferito a Capaci). Perché eravamo lì? Eravamo di rientro proprio da Messina dove mi ero incontrato con De Donno per le indagini su mafia-appalti. Ad un certo punto riceviamo una comunicazione. Uno dei miei uomini, credo Mangano, dice di aver visto un soggetto che assomiglia al boss Aglieri. Si cerca di fermare questa persona ma al posto di blocco sperona un’auto ed iniziamo l’inseguimento. La strada era sconnessa, le gomme dell’auto si erano persino consumate, c’era il ferro e ricordo pure le scintille. L’auto saltava e nel frattempo presi la mira per sparare alle gomme ma purtroppo andò più alto. Poi la macchina si fermò. Alla fine non era la persona che il carabiniere aveva creduto di riconoscere”. Insomma, a detta del colonnello “Ultimo”, un semplice incidente che nulla avrebbe a che vedere con il mancato arresto di Nitto Santapaola. Tra “non ricordo” e “confermo quello che è scritto nella relazione di quel giorno” non è riuscito a chiarire come mai, se davvero la presenza a Terme Vigliatore era “del tutto casuale”, i suoi uomini si trovavano in una zona interna e non sulla litoranea. Domanda il pg Patronaggio: “Lei ha chiesto di addentrarsi nei vicoli interno in funzione di una sua protezione?” La risposta: “No perché avrei dato questa disposizione? Credo di no”. Peccato che il giovane Imbesi venne avvistato nei pressi di un parcheggio vicino alla propria abitazione. Non solo. Durante il controesame Patronaggio mette in evidenza anche altri aspetti contraddittori come le dichiarazioni rese dagli uomini di De Caprio. Nelle scorse udienze, infatti, c’è stato chi ha detto di esser stato presente nelle zone di Barcellona Pozzo di Gotto per compiere “un servizio sicurezza per Ultimo”, chi ha riferito di “attività investigative sulla zona”. In merito alla perquisizione in casa degli Imbesi “Ultimo” dice di “non ricordare”, così come non ricorda la presenza sul posto di Pinuccio Calvi (“Lo conosco ma non ricordo se ci fosse o meno, non lo escludo. Dice di essere andato a Messina due giorni prima della sparatoria? Non è possibile, io ed il mio gruppo ci siamo mossi all’ultimo momento”) la cui firma compare nel verbale di perquisizione. Un atto che, addirittura, lo stesso Calvi dice di non aver mai compiuto.

La mancata perquisizione del covo di Riina
Nonostante la sentenza di assoluzione per la mancata perquisizione del covo di Riina, anche su questo fatto vi sono dei punti distonici rispetto a quanto dichiarato da altri suoi uomini. Ad esempio, rispetto a quanto dichiarato dall’ex carabiniere Roberto Longu (“Dopo l’arresto di Riina il gruppo era particolarmente stressato e fu messo a riposo”), De Caprio esclude questa eventualità spiegando che “si era rimasti in osservazione del covo”. Ed è questo un altro tema “caldo” che fa emergere tutta la differenza tra la tattica “attendista” che portò alla mancata perquisizione e quella “interventista” nel caso di Terme Vigliatore. “Hanno fatto anche un processo su questo - ricorda De Caprio -. Io ritenni che seguire i fratelli Sansone (sono i costruttori proprietari della villa di via Bernini ndr), allora sconosciuti potesse darci la possibilità di disarticolare Cosa nostra. La mia fu una proposta, non una minaccia. Io credevo allora in questo e ci credo ancora. Mi dissero va bene, io allora non sapevo dove si trovasse la casa”. E Patronaggio replica: “Io ricordo che la sentenza, che è in atti, dica una cosa diversa, che la disposizione era di osservare il covo a distanza e non di seguire i Sansone”. E poi pone un ulteriore interrogativo: “Se sono stati fatti accertamenti sui Sansone, e vennero anche trovati, perché non si è fatto nulla?”. A quel punto De Caprio se ne lava le mani: “La responsabilità della perquisizione non era mia. Inoltre non c’ero solo io. Ci eravamo divisi i compiti e c’era anche il personale della territoriale”.

Il corpo estraneo
Con riferimento al teste chiave del processo, il colonnello dei Carabinieri, oggi in pensione, Michele Riccio, De Caprio ribadisce ulteriormente il proprio pensiero. L’ex capitano “Ultimo” nega di aver mai saputo che l’ex capo della Dia Gianni De Gennaro gli avesse mandato a dire, tramite Riccio, di lasciare il Ros per entrare nella Direzione Investigativa Antimafia. Alla domanda se fosse al corrente che il mafioso di Mezzojuso Giovanni Napoli (che aveva co-gestito la latitanza di Provenzano nella metà degli anni ‘90) fosse stato identificato solamente un anno dopo il fallito blitz di Mezzojuso, De Caprio risponde con un laconico “non ricordo”. Per comprendere l’assurdità della risposta basta riprendere in mano il decreto di archiviazione del Gip Maria Pino del 2011 relativo alla denuncia per calunnia nei confronti di Riccio presentata da Mori e da Obinu. La dott.ssa Pino aveva appositamente voluto accertare le ragioni per le quali “in relazione alle plurime acquisizioni inerenti a Napoli Giovanni rassegnate nella nota del R.O.S. in data 3 maggio 1996 non furono  disposti servizi di osservazione dinamica ed avviate indagini tecniche atte a verificarne spostamenti, contatti, comunicazioni ed ogni altro elemento utile”. Il gip era quindi giunto alla conclusione che “le prime indagini tecniche” nei confronti di Giovanni Napoli erano state avviate soltanto nel novembre 1996. Le ragioni di quella grave perdita di tempo non trovano a tutt’oggi risposte coerenti all’interno di una logica metodologia investigativa. “È convincimento di questo Giudice - aveva specificato il magistrato - che la condotta assunta e perpetuata dal Generale Mori e dal Colonnello Obinu non sia da ascrivere a difficoltà tecniche od organizzative né ad errori di valutazione. Non vi sono elementi che inducano a ciò. Piuttosto, le acquisizioni istruttorie convergono nell’ascrivere la condotta suddetta ad una deliberata strategia di inerzia - articolata su più versanti ed ulteriormente protratta pur dopo il deflagrante evento costituito dall’omicidio di Ilardo Luigi - che non trova giustificazione alcuna”. In aula “Ultimo” ribadisce la sua totale disistima nei confronti di Riccio definendolo “una persona complessa”. Alla domanda se gli uomini messi a disposizione dal maggiore dei Ros di Caltanissetta, Antonio Damiano, per la cattura di Provenzano fossero stati effettivamente sufficienti, De Caprio riferisce seccato che il compito di un Carabiniere è quello di utilizzare i mezzi che l’Arma mette a disposizione. Peccato che oggi non si ricordi quando lui stesso si era lamentato di non aver avuto uomini e mezzi a disposizione per la cattura dell’ex primula rossa. Nel mese di giugno del 2000 lo stesso De Caprio aveva rassegnato le dimissioni dal Ros per l'impossibilità di proseguire il suo lavoro: carenza di uomini e di mezzi, e soprattutto un silenzio assordante attorno alle sue richieste di potenziamento di quel corpo speciale. Le polemiche di quei giorni erano state molto aspre. L'Arma non aveva minimamente accettato il fatto che “Ultimo” avesse denunciato il tutto a mezzo stampa. Lo stesso Mori non aveva mosso un dito per rispondere all’appello disperato del suo soldato. Di fatto le sue dimissioni erano state accolte immediatamente, con tanto di trasferimento ad altri incarichi decisamente lontani dai precedenti, con lo smembramento definitivo della sua squadra e con la privazione della scorta personale. Ma evidentemente anche questi sono dettagli che si dimenticano. Quando il pg Luigi Patronaggio gli chiede se ha memoria di aver saputo da Riccio in merito a dichiarazioni del confidente Luigi Ilardo (ucciso poco prima di formalizzare la sua collaborazione con la giustizia) su infiltrazioni massoniche all’interno dell’Arma, “Ultimo” ribadisce di non ricordarlo. Giù il sipario.

ARTICOLI CORRELATI

Processo Mori-Obinu, la Procura chiede l'acquisizione di nuovi documenti

L’ex maresciallo Scibilia al processo Mori: l’arte di negare e non ricordare

Randazzo: “Non ho visto nessuno che scappava. Non ho fatto nessuna perquisizione”

Processo d’appello Mori-Obunu, ex carabiniere Longu: “A Terme Vigliatore per ricognizioni”

Processo d’appello Mori-Obinu, Riccio: “Provenzano confidente ad alto livello con le istituzioni. Me lo disse Ilardo”
 
Processo d'appello Mori-Obinu, Riccio: “Mori ed Obinu avevano l'obbligo di avvisare l'autorità giudiziaria”

Riccio al processo Mori, il coraggio di andare oltre

Processo Mori: onestà, logica e coerenza nella deposizione di Riccio