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fiandaca-giovanni-replica-eff-di Aaron Pettinari - 30 aprile 2015
Nessun diktat. Nessuna censura. Massima disponibilità al confronto. E' questa l'immagine che il professor Giovanni Fiandaca ha voluto dare oggi dell'incontro avuto con noi presso i locali della Presidenza della Facoltà di Giurisprudenza, tramite le colonne di La Repubblica, edizione Palermo. “L’anno scorso, al convegno, sono state pronunciate in aula magna parole ingiuriose nei confronti miei e di Lupo. Quest’anno, il consiglio di presidenza ha deliberato di chiedere ai curatori dell’iniziativa di partecipare all’organizzazione dell’evento, indicando i nomi di alcuni relatori. Non vedo nulla di strano alla partecipazione dell’università all’iniziativa. Quel convegno concede dei crediti formativi agli studenti”. E poi ancora: “Sono stati loro a ritirare la richiesta dell’aula magna. Noi eravamo pronti a un dibattito a più voci”. Dato che abbiamo già spiegato nel precedente editoriale il perché fosse stato scelto il titolo Ibridi connubi – Dal gioco grande intuito da Giovanni Falcone fino ai giorni nostri (di cui abbiamo già parlato nel precedente editoriale), criticato dal delegato del Rettore Lagalla per le iniziative a favore della legalità, partiamo dalla fine.
Di fatto il professor Fiandaca dice che siamo noi a sfuggire al confronto. Detto che il dibattito, organizzato da tempo in occasione del 23°anniversario della strage di Capaci, verterà su uno specifico argomento, va ricordato che in più occasioni è stato lo stesso Fiandaca a sfuggire al confronto pubblico sulla Trattativa Stato-mafia. La prima volta circa un anno fa quando le Agende Rosse di Salvatore Borsellino proposero un confronto con il giornalista, oggi direttore de “Il Fatto Quotidiano”, Marco Travaglio. La seconda lo scorso dicembre quando, sempre le Agende Rosse ed i ragazzi dell'Associazione universitaria “ContrariaMente”, organizzarono un dibattito sulla proiezione del film di Sabina Guzzanti, “La Trattativa”. Oltre alla regista tra i relatori figuravamo noi ed anche un tecnico come l'avvocato Fabio Repici, legale di diversi familiari di vittime di mafia e, soprattutto, legale del colonnello Michele Riccio, (uno dei principali testimoni del processo Trattativa e del processo a carico del generale Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano). Anche in quell'occasione Fiandaca criticò l'impostazione dell'evento ma, nonostante l'invito degli organizzatori, anche allora il professore rifiutò di partecipare al dibattito. Insomma le occasioni per un confronto serio, che oggi il professore ed ex candidato per il Partito Democratico alle ultime elezioni europee dice di voler eseguire, non sono mancate in passato e non sono saltate certo per un nostro rifiuto.

Ma c'è anche dell'altro. Alla domanda secca, posta a Fiandaca, su come la conferenza si sarebbe dovuta svolgere, se con la partecipazione dello stesso esimio professore, o con qualche altro relatore, la risposta non è stata data in alcun modo. Non è stato fatto alcun nome sui relatori “graditi” che sarebbero potuti intervenire. Dal professore questa discussione è stata rimandata in un secondo momento, ovviamente qualora fosse stata accettata la linea dello stesso, ovvero “Dopo quindici anni di carta bianca, ora non è più possibile concederla”. Fiandaca si trincera, per giustificare l'ingerenza sulla conferenza, dietro ai crediti formativi che eventualmente sarebbero stati assegnati agli studenti. Anche in questo caso va chiarito un aspetto. L'assegnazione dei crediti formativi nelle nostre manifestazioni è avvenuto solo a partire dallo scorso anno, ovvero da quando l'evento vede la collaborazione dell’associazione universitaria ContrariaMente e, sinceramente non vediamo dove sia lo scandalo. I crediti formativi vengono assegnati abitualmente in manifestazioni eseguite all'interno dell'Università, con e senza eventuali contraddittori, e non ci risulta che Fiandaca sia mai intervenuto con la stessa veemenza per “verificare le modalità di realizzazione delle predette manifestazioni” (come è scritto nella mail da noi ricevuta) tanto che poi gli eventi sono stati effettuati regolarmente.
Ma le spiegazioni di Fiandaca rilasciate quest'oggi sul quotidiano La Repubblica non si esauriscono con i crediti. Ha infatti ribadito di essersi sentito offeso: “L’anno scorso, al convegno, sono state pronunciate in aula magna parole ingiuriose nei confronti miei e di Lupo”. Con noi è stato ancora più specifico: “Lo scorso anno è accaduta una cosa gravissima. Il magistrato Nino Di Matteo ha pronunciato parole ingiuriose rispetto alla mia persona e a quella del professor Lupo. Sono stato tacciato di essere negazionista, giustificazionista, ed altre cose. Questo è accaduto a 'casa mia' e non è più possibile permetterlo”. E' per l'intervento del magistrato che il professore di diritto penale ha anche chiesto una lettera di scuse. Sarebbe “stata gradita”, qualora avessimo deciso di non rinunciare alla richiesta dell'aula magna per effettuare la conferenza.
Fiandaca ha anche parlato di possibili querele nei confronti del magistrato del pool trattativa Stato-mafia, di esposti eventuali al Csm, ed anche alla Procura, che avrebbe deciso di non effettuare. E' per questo attacco diretto ad un nostro ospite, che suona come una sorta di “conditio sine qua non”, che abbiamo deciso di rinunciare alla sede della Facoltà di Giurisprudenza. Analizziamo, allora, quanto avvenuto lo scorso anno. In primo luogo va messo un punto sul momento storico. Fiandaca, appena candidato alle europee con il Pd e non perdeva occasione per attaccare anche l'operato dei magistrati. In un'intervista a La Repubblica l'esimio professore diceva: “La sinistra, per 20 anni, ha coltivato l'idea dell'intoccabilità dei magistrati. Da intellettuale non posso che criticare con forza questo appiattimento fideistico e dogmatico. In uno Stato moderno i comportamenti, le scelte, persino le sentenze dei magistrati debbono essere sottoposti al controllo della pubblica opinione...Bisogna evitare che l'antimafia continui a essere strumento di lotta politica e di potere”. E poi ancora: “Mi piacerebbe che si parlasse di certi temi, e anche della trattativa, senza più slogan, frasi fatte e strumentalizzazioni politiche. In questi ultimi mesi, la Sicilia ha dato uno spettacolo poco compatibile con un paese civile, anche a causa di certe persone. Purtroppo nell'ultimo ventennio il potere giudiziario ha condizionato la politica e ristretto i suoi spazi di intervento”. Ma i suoi attacchi nei confronti del processo sulla trattativa Stato-mafia si erano già consumati con la scrittura di un saggio su “Il Foglio” e con la stesura del libro scritto a quattro mani con lo storico Lupo, La mafia non ha vinto - Il labirinto della trattativa.
Il pm Di Matteo, intervenuto alla nostra conferenza dal titolo “Menti raffinatissime” (altra espressione usata da Falcone commentando il fallito attentato all'Addaura) aveva detto, senza mai citare Fiandaca: “Più volte nei giorni scorsi un illustre esponente di questa facoltà, candidato dal partito di maggioranza governativa, ha rivendicato il diritto di poter criticare, da giurista, l'impostazione del processo della trattativa ed i magistrati. Dico che ciò può essere giusto e sacrosanto ma prima di fare considerazioni quel professore avrebbe dovuto avvertire lo scrupolo scientifico di una più approfondita conoscenza degli atti processuali”. “Nel suo libro – aveva aggiunto - si analizza una scarna memoria del pm fatta di 15 pagine e non le monumentali complessive risultanze di indagine e neppure l'impostazione dell'impianto accusatorio riconosciuto dal giudice dell'udienza preliminare. E non considera nemmeno che la questione giuridica che egli pone era già stata esaminata da più giudici e in altre circostanze ritenuta infondata. Un professore candidato alle elezioni ha detto di voler stigmatizzare una certa antimafia e ha attaccato i magistrati che si occupano del processo trattativa, come se volessero approfittare di questo caso per fare chissà quale carriera. L'unica promettente carriera che vedo è quella del professore candidato. Le sole prospettive che si sono aperte ai magistrati sono danni alla carriera e minacce di vita”. Non vediamo, in queste parole, ingiurie o offese ma una critica da noi condivisa.
Al contrario è Fiandaca, nel suo libro, ad accusare gli inquirenti palermitani di un “pregiudiziale atteggiamento criminalizzatore” ispirato da “una sorta di avversione morale” verso “ipotesi trattattivistiche” che sono a suo dire prerogativa del potere esecutivo, senza necessità di un previo assenso dell’autorità giudiziaria.
Il problema è essere definito giustificazionista? E come dovrebbe essere definito chi invoca lo “stato di necessità” per giustificare “eventuali interventi o decisioni extralegem del potere esecutivo”? Come si dovrebbe definire chi parla di “scelta legittima” rispetto “alla scelta politico-governativa di fare concessioni ai mafiosi in cambio della cessazione delle stragi”? Un dialogo che ha dato forza a Cosa nostra e che ha causato morti, tanto nel 1992 quanto nel 1993, e che avrebbe potuto causarne anche nel 1994 se l'autobomba allo stadio Olimpico non avesse fatto clamorosamente “cilecca”. Non stiamo entrando ora nel merito del processo. Starà alla Corte d'assise stabilire se i fatti contestati sono o meno ascrivibili al reato di “violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario”, fermo restando la consapevolezza che non sempre la verità giuridica coincide con la verità storica e che certi fatti, come la mancata proroga di oltre trecento 41 bis (tanto per citarne uno) sono indelebili. Interrogarsi su quanto avvenuto in quegli anni, chiedersi cosa volesse dire Falcone quando parlava di “gioco grande”, “menti raffinatissime” e di “ibridi connubi” è, a nostro avviso, il modo migliore per onorarne la memoria e continueremo a farlo, nel nostro lavoro ed in qualsiasi sede. Di fronte a questo caso senza precedenti, però, resta l'amarezza di constatare come, oggi, alla Facoltà di Giurisprudenza di Palermo, la manifestazione della libertà di pensiero sia diventato un “diritto acquisito su delega”.

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