Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di-matteo-toga-processo-2di Aaron Pettinari - 26 febbraio 2015
L'allerta sale anche per un altro episodio, dei bambini dicono di aver visto uomini con un fucile nei pressi del circolo tennis "Tc2".
Non è solo l'ex boss dell'Acquasanta Vito Galatolo a parlare del piano di morte nei confronti del pm Nino Di Matteo. A darne notizia in un verbale è anche il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico, pentito di mafia di Barcellona Pozzo di Gotto ritenuto abbastanza attendibile per le sue dichiarazioni su mafia e massoneria nel messinese. Ai pm di Messina Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo ha raccontato che nell'aprile dello scorso anno alcuni boss siciliani rinchiusi nel carcere milanese di Opera si aspettavano "da un momento all'altro" la notizia del nuovo attentato.
"Me lo disse il capomafia Nino Rotolo - ha detto ai pm - Era con lui che facevo socialità". Non solo. D'Amico ha anche aggiunto un altro particolare: "Avevo sentito Rotolo che parlava di qualcosa di grave con Vincenzo Galatolo facevano riferimento a una persona che citavano con un nomignolo. Un giorno gli chiesi di saperne di più. E mi disse che Di Matteo doveva morire a tutti i costi". Rotolo e Galatolo non sono certo gli ultimi arrivati all'interno dell'organizzazione criminale, ntrambi ai vertici dei mandamenti di Pagliarelli e Resuttana. Il verbale dell'ex boss messinese è stato immediatamente trasmesso alla Procura di Caltanissetta che da tempo indaga sul progetto di attentato. Anche se non è chiaro quando D'Amico abbia reso le dichiarazioni è ovvio che queste siano una conferma su quanto dichiarato da Vito Galatolo, il figlio di Vincenzo, lo scorso novembre. "Quando fui arrestato, nel giugno 2014 l’ordine arrivato due anni fa da Matteo Messina Denaro tramite Girolamo Biondino era del tutto operativo. Nella lettera Messina Denaro disse che bisognava fare un attentato al dottor Di Matteo perché, stava andando oltre e ciò non era possibile anche per rispetto ai vecchi capi che erano detenuti. L’esplosivo lo conservava Vincenzo Graziano". Galatolo parlò di oltre centocinquanta chili di tritolo fatti arrivare dalla Calabria. Lo aveva persino visto, conservato "dentro un contenitore di metallo". Tuttavia, nonostante le indicazioni sui possibili luoghi in cui poteva essere nascosto, ad oggi non è stato ancora trovato e le ricerche condotte dai finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria e dagli investigatori del centro operativo Dia di Palermo, proseguono senza sosta.

Ad aumentare il clima di tensione al palazzo di giustizia ci sono però anche altri episodi. Presso la Procura generale è arrivata una segnalazione su cui vige il massimo riserbo che conterrebbe informazioni abbastanza chiare e circostanziate sul pm Di Matteo. Non solo. Nei giorni scorsi alcuni bambini che frequentano il “Tc2” hanno raccontato di aver visto due uomini con un fucile appostati di fronte all’ingresso secondario del circolo del tennis di via San Lorenzo (mandamento di Girolamo Biondino, uno dei boss che era stato investito dell'esecuzione del pm della trattativa). "Erano dentro una villetta in ristrutturazione", hanno spiegato ai genitori. E' così che è partito l'allarme anche perché, proprio in quel momento, al circolo c'era Nino Di Matteo. Sembra che qualcuno dei bambini abbia anche segnato il numero di targa di un’auto. Immediatamente sono intervenuti i carabinieri ed è stata aperta un'inchiesta, coordinata dal procuratore capo Francesco Lo Voi e dal sostituto Enrico Bologna, su cui vige il massimo silenzio. Anche di questo si è parlato al comitato provinciale per l'ordine a la sicurezza pubblica dei giorni scorsi e ieri si è tenuto un vertice fra i magistrati a cui ha partecipato anche Di Matteo. Una serie di fatti che spiega forse anche il motivo per cui il procuratore nazionale Franco Roberti ha inserito nella relazione della Dna un riferimento all'inchiesta sul cosiddetto “Protocollo fantasma”, “Esposto anonimo nel quale oltre a varie vicende, in gran parte di competenza della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, riguardanti processi anche risalenti nel tempo ed appartenenti alla storia del contrasto giudiziario a Cosa Nostra, emergono notizie di reato a carico di ignoti, asseritamente appartenenti alle forze dell'ordine, che avrebbero per conto di una non meglio specificata entità, spiato alcuni magistrati, impegnati in delicate attività di indagine”. Anche in quel caso al centro dell'anonimo c'erano Di Matteo ed i magistrati del pool trattativa.