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alpi-hrovatin-web3di Aaron Pettinari - 17 febbraio 2015
Il teste chiave scagiona l'unico condannato per l'omicidio dei due giornalisti
“Non è stato Omar Hashi Hassan ad uccidere Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Io non ho visto chi ha sparato, non ero lì”. Le parole sono del miliziano somalo Ahmed Ali Rage, soprannominato “Jelle” in un’intervista rilasciata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”. Non un uomo qualunque ma il supertestimone che rilasciò importanti dichiarazioni al pm della Procura di Roma Franco Ionta, che indagava sugli assassini ed i mandanti della giornalista del Tg3, uccisa assieme al suo cameramen
il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, che portò nel 2002 alla condanna in appello di Omar Hashi all'ergastolo (pena poi ridotta in Cassazione a 26 anni).
Un “colpo di scena”, ad oltre vent'anni di distanza da quell'omicidio, che potrebbe far riaprire le indagini. “Hashi è innocente - si legge nella nota prodotta dalla redazione del programma di Rai Tre - Jelle ha raccontato che gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e gli hanno promesso denaro in cambio di una sua testimonianza al processo: doveva accusare un somalo”.Chi indusse Jelle a raccontare quella versione dei fatti? E perché per anni si è reso irreperibile dopo quella deposizione giurata rilasciata ai pm? E' l'ennesima prova che sul caso Alpi-Hrovatin vi sia stato un depistaggio?

Quesiti che si pone anche Santo Della Volpe, nuovo presidente della Federazione della Stampa, inviato del Tg3, socio fondatore dell'associazione “Articolo 21” e direttore di “Libera Informazione” che da anni cura il premio Ilaria Alpi. “Jelle è un personaggio che sin dal primo momento ci apparve quantomeno singolare – ha ricordato raggiunto da ANTIMAFIADuemila – La sua fu una deposizione strana perché rilasciò una dichiarazione giurata ma poi non comparve in aula per riconfermare quanto reso ai pm (nell’interrogatorio Jelle sostenne anche la versione della casualità dell’incidente: una sparatoria nata tra l’autista dei due e il gruppo di sette persone dopo un tentativo di rapina, ndr). Sparì letteralmente dalla circolazione e rimase solo la sua dichiarazione e sulla base della stessa si arrivò alla condanna di Hassan. Noi, così come la famiglia, avevamo sempre pensato che quest'ultimo non c'entrasse nulla con l'omicidio. Di questo 'supertestimone' andammo alla ricerca nell'immediato. Anche io feci delle ricerche tramite alcune persone della comunità somale. I colleghi Andrea Palladino e Luciano Scalettari lo rintracciarono senza però intervistarlo. Da allora apprendemmo che questo 'Jelle' si trovava in Inghilterra. Andammo in un primo momento noi del Tg3 e “Chi l'ha visto?”. Poi mi sono occupato d'altro ed oggi posso dire che sono veramente contento che la Sciarelli sia riuscita a raggiungerlo e farsi dire certe cose. Sono contento per la mamma di Ilaria, Luciana, che forse, dopo oltre vent'anni, potrà davvero tornare a sperare ed avere giustizia e verità”. “Questa intervista – prosegue Della Volpe – può essere l'aggancio formale che i pm cercavano per riaprire l'inchiesta e magari portare ad un nuovo processo. Del resto se Ahmed Ali Rage può essere raggiunto da un giornalista si può anche intervenire e far sì che testimoni in un nuovo processo e fornisca quegli elementi rimasti finora irrisolti nel caso. Una tragedia che tra depistaggi e mezze verità presenta un vero vulnus per l'informazione e la democrazia. Portare alla luce quel che è avvenuto allora tra questo nuovo elemento e la desecretazione degli atti dei servizi è un atto di giustizia anche nei confronti di tutti quei colleghi e giornalisti che fanno il proprio mestiere”.

Per la famiglia vi fu depistaggio
Sulla questione è intervenuto anche l'avvocato della famiglia Alpi, Domenico D'Amati: “La procura deve acquisire il filmato e interrogare Jelle. Si concretizza quello che noi sosteniamo da sempre, e cioè che ci fu un depistaggio delle indagini”. Intervistata da “La Repubblica” anche Luciana Alpi chiede una riapertura delle indagini: “Vorrei vedere se adesso non si decidono ad andarlo a prendere. Sono anni che si sa che sta lì (riferito a Jelle, ndr). Il procuratore Giuseppe Pignatone mi ha sempre promesso che avrebbe fatto luce sul caso Ilaria e Miran, e io sono sicura che riprenderanno l’inchiesta ora che esiste questa nuova prova. Perché io non voglio morire come mio marito, senza sapere chi ha ucciso nostra figlia”. E poi ancora: “Noi vogliamo la verità, vogliamo i nomi di chi ha ammazzato mia figlia. A questo punto vogliamo soprattutto sapere chi furono i depistatori, lo pretendiamo. Abbiamo pazientato, hassan-hashi-omar-c-ansasofferto e pianto. Questa è la prova che l’indagine sull’omicidio di Ilaria e Miran è stata depistata”. Una richiesta chiara da parte di una donna che ha sofferto per anni e che trova comunque il modo di lanciare un appello anche per far sì che “Omar Hashi Hassan sia scarcerato, al più presto. Io e mio marito abbiamo sempre sostenuto che fosse innocente”. I tasselli da riempire di questo ennesimo “mistero italiano” sono ancora tanti.
Anche la recente desecretazione degli atti di indagine non ha permesso di fare totale chiarezza.
Quel che è certo è che il Sisde, il Servizio segreto interno italiano, già due mesi dopo l’assassinio in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Horvatin, aveva individuato nel traffico d’armi, scoperto dai nostri giornalisti del tg3,la causa della loro esecuzione. I servizi scrivevano in una nota, trasmessa al Sismi, che “Secondo informazioni acquisite in via fiduciaria, nel corso di un servizio giornalistico svolto a Bosaso qualche giorno prima della morte, i due cittadini italiani in oggetto avrebbero raccolto elementi informativi in merito a un trasporto di armi di contrabbando effettuato dalla motonave Somalfish, per conto della fazione somala Salvation Democratic Front. Il duplice omicidio potrebbe quindi essere stato ordinato dai trafficanti d’armi per evitare la divulgazione di notizie inerenti l’attività criminosa svolta nel Corno d’Africa”. Una pista che non venne poi seguita da nessuno. Perché? Anche a questa domanda la Procura, riaprendo l'inchiesta, avrà il compito di dare una risposta.

Foto a destra © Ansa

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