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mori-mario-c-ansa-2di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015
In una giornata che è stata il trionfo del mendacio più tracotante, se non dell’amnesia più spudorata, non possono mancare le ultime dichiarazioni dell’ex maresciallo Scibilia rese pochi istanti prima che l’udienza terminasse. “Lei sa per quale motivo i militari del Ros quel giorno si trovavano a Terme Vigliatore?” La domanda del presidente della Corte d'appello Di Vitale è semplice, ma Scibilia resta più che mai vago: “Non so… so per sentito dire che avevano una riunione”. Ma il presidente insiste: “Gli atti processuali ci dicono che si trovavano lì… ma lei si è chiesto come mai ‘casualmente’ stavano lì?”. Scibilia, in quel momento reggente della sezione di Messina del Ros ed oggi in pensione, aggiunge: “Io non so nulla… Bastava che mi avessero chiamato… Io sono sicuro che loro hanno preso un errore comprensibilissimo…. Si tratta di un dato oggettivo, nella stessa ora Santapaola era là… però nessuno ha fatto nulla… nessuno lo sapeva… l’errore è perché hanno scambiato quel ragazzo per Aglieri”. Ed è a quel punto che il Presidente della Corte torna sul motivo per cui i militari si trovassero sul posto ed il teste risponde diversamente: “Da quello che ho saputo era un fatto casuale”. Indecisioni che emersero anche l'8 gennaio 2012 quando venne ascoltato per la prima volta al processo Mori-Obinu. In quella data Sibilia parlò dell'inseguimento come di un incidente (quindi secondo Scibilia non ci fu un'operazione di polizia sulla villa di Imbesi), e quando il pm Nino Di Matteo chiese che cosa secondo lui ci facessero De Caprio e De Donno in quella zona, non fu in grado di rispondere con certezza. Ed alla domanda specifica se fosse a conoscenza di una riunione operativa quel giorno a Messina, Scibilia rispose che non ci fu.
Il processo d'appello è stato infine rinviato al 9 e 10 marzo quando si trasferirà presso l'aula bunker di Rebibbia, a Roma, per sentire i collaboratori di giustizia Nino Giuffrè, Giovanni Brusca, Filippo Malvagia e Sergio Flamia. La Corte si sposterà successivamente a Venezia (11-12 e 15 marzo) per sentire il pentito Angelo Siino presso l'aula bunker di Mestre. Il pentito Stefano Lo Verso sarà ascoltato invece a Palermo in un'udienza successiva.

Processo Mori, ex maresciallo Scibilia: “solo chi non fa indagini parla di anomalie...”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015
“Io sono andato da Canali (il pm Olindo Canali, ndr) per dirgli che temevo che queste azioni di polizia potessero impedire la cattura di Santapaola.… dieci giorni dopo ci sono state perquisizioni strane ad opera della polizia nei posti in cui noi attenzionavamo persone che curavano la latitanza di Santapaola”. Lo racconta il maresciallo Giuseppe Scibilia, teste al processo Mori-Obinu.
Che Mori fosse presente a Catania, la mattina del 6 aprile del ’93, “l’ho saputo poi dalle agende” (dello stesso Mori, ndr) dichiara Scibilia. E sul motivo per cui le registrazioni furono definite, a torto, intellegibili: “Io non ho provveduto a fare l’informativa – risponde il maresciallo – fu il maggiore Parente ad assumere il comando. Poteva anche essere che alla ricerca di particolari in quelle intercettazioni che erano durate mesi qualcuna fosse intellegibile… Io non ho messo becco, fu Parente ad assumere il comando… quelle tre intercettazioni , però, erano chiare, può essere che le altre fossero intellegibili”. Sulla perquisizione a villa Imbesi, nel cui verbale non compare la firma del perquisito, Scibilia conferma come le procedure adottate siano effettivamente state inusuali. “Mori si affidava al mio buon senso – aggiunge – dopo quello che è successo penso che sia rimasto anche lui sconcertato. Chi non fa le indagini crede che questa sia un’anomalia, ma chi le fa crede che rientra nella normalità delle indagini…”. “Cessato l’ascolto del Santapaola il 6-4 non occorreva che Mori si coordinasse con altre forze di polizia per non pregiudicare lo sforzo investigativo?”, chiede il pg Patronaggio. “Bisognava chiamare quel signore che portava a spasso il Santapaola…”, replica laconico Scibilia. “Ma un coordinamento con la polizia non era necessario?”, incalza il pg. “Se mai poteva farlo il giudice Canali…”, risponde l’ex maresciallo.


Processo Mori, ex maresciallo Scibilia: “Registrammo la voce di Santapaola e Mori venne avvertito”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015
“Era il primo aprile quando i ragazzi (i militari dell’Arma, ndr) hanno sentito la presenza in quell'ufficio in via Verdi n°7 di un soggetto trattato con deferenza, chiamato zio Filippo che aveva una cadenza dialettale catanese. Era Santapaola”. A raccontare la vicenda è il maresciallo Giuseppe Scibilia, ex maresciallo dell’Arma, ex collaboratore del colonnello Russo e dell’allora maggiore Subranni, per tutti gli anni Novanta uomo forte del Ros a Messina. “Ricordo che questa persona faceva riferimento a vicende giudiziarie riconducibili a Santapaola – ha aggiunto rispondendo alle domande del Pg - Il 5 aprile ho fatto quindi mettere un pezzo di quella voce in una bobina, andai a far controllare questa voce a un signore, appena ho acceso il registratore quella persona ha detto 'ma l’avete preso?' e io dissi no. Quel signore disse che voleva far sentire la voce alla moglie che confermò, e anche la figlia che aveva direttamente conosciuto Santapaola da bambina. E avemmo la certezza matematica che fosse lui”. Immediatamente venne avvertito Mario Mori. “La sera alle 10 telefonammo al generale Mori per dirglielo. Mori disse che avrebbe provveduto a organizzare la cosa. Non conoscevamo la struttura del palazzo di via Verdi. Lo sentiamo Santapaola fino al 6 aprile fino alle ore 16,09”. Scibilia ha quindi parlato dell'indagine che portò a quelle intercettazioni. “Era un'indagine su tali Orifici (Domenico, ndr) e Di Salvo (Sem, ndr). Era figlia di tutto quello che il Ros assieme all’Arma territoriale aveva fatto per sconfiggere quella guerra di mafia. Io ebbi notizia che nel momento in cui a Catania Santapaola non si sarebbe sentito più al sicuro sarebbe stato ospitato dalle nuove leve della mafia barcellonese. Chi ci aveva dato queste notizie pensavo si riferisse a Cattafi... invece si trattava del capomafia Gullotti. Anche di questo parlai con Mori”.


Processo Mori, generale Ragusa: “Mori e De Donno a Terme Vigliatore occasionalmente”
Il particolare scritto in un'informativa del giugno '93 alla Procura di Bacellona Pozzo di Gotto
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015
Durante il dibattimento del processo d'appello Mori-Obinu il pg Patronaggio ha mostrato un'informativa firmata dal colonnello Antonio Ragusa, oggi generale, che nel 1993 dirigeva il Comando provinciale dei carabinieri di Messina. Lo stesso Ragusa in aula ha riconosciuto la propria firma anche se ha detto di non ricordare se sia stato sentito o meno dalla procura barcellonese. “Lei nell'informativa del 17 giugno ’93 scrisse che i due ufficiali De Caprio e De Donno si trovavano a Terme Vigliatore, occasionalmente” ha ricordato il Pg. E Ragusa ha risposto: “Il Ros inizia un’indagine e la porta a termine… l’Arma territoriale non è a conoscenza… non ricordo se fosse occasionale… Qualche ufficiale mi avrà messo la relazione e io l’ho firmata…”. A quel punto lo stesso Patronaggio contesta che nel verbale del 2014 il teste aveva riferito “Non posso escludere che le informazioni dell’informativa provengano dalla relazione di De Caprio e De Donno”. Non solo. Patronaggio ha anche aggiunto, rivolgendosi alla Corte: “Apprendiamo oggi che nessuna indagine è stata effettuata se non al di fuori dell’acquisizione all’informativa della relazione di servizio di De Caprio e De Donno. Sulla presenza occasionale non fu fatta quindi nessuna indagine se non la relazione di servizio di De Caprio e De Donno”. Pertanto il Pg ha chiesto di acquisire agli atti l’informativa del giugno ‘93 dell’allora colonnello Ragusa e la relazione di servizio dei capitani De Caprio e De Donno.


Processo Mori, brigadiere Mangano: “Quando vidi quel ragazzo avevo il 50% di certezza che fosse Aglieri”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015 - Ore 13:53
Sono davvero diverse le incertezze ed i non ricordo espressi in aula dal brigadiere Mangano al processo Mori-Obinu. Alla corte ha riferito di aver saputo in un secondo momento della perquisizione a casa Imbesi, quando ai pm ha dichiarato che della stessa non aveva mai saputo nulla. Alla domanda del presidente Di Vitale se gli uomini che eseguirono la perquisizione furono gli stessi che effettuarono l'inseguimento di Fortunato Imbesi il militare ha riferito di non saperlo. Durante il controesame dell'avvocato Basilio Milio, Mangano ha aggiunto alcuni particolari. “Volevamo identificare Imbesi procedendo con un normale controllo di polizia e lui, per ragioni assurde è scappato ed è finita come sappiamo. L'attività non era programmata”. A quel punto il presidente Di Vitale ha chiesto al teste se fosse stato lui a riconoscere Aglieri nel giovane Imbesi e Mangano ha risposto: “Io comunico a De Caprio che incrocio un soggetto che destava sospetto e De Caprio mi chiede se assomiglia a qualche latitante e io rispondo che poteva essere Aglieri, ma non avevo la certezza… diciamo al 50%... avevo visto Aglieri solo in fotografia”. Ad anni di distanza, vedendo la foto di Aglieri, alla domanda se potesse assomigliare al giovane Imbesi ha aggiunto: “Non so… sono passati 22 anni”.


Processo Mori, brigadiere Mangano: “Eravamo a Messina per scortare Ultimo”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015 - Ore 13:08

“Il 6 aprile del '93 ricordo che ero impegnato con un servizio di sicurezza per Sergio De Caprio (alias Ultimo) che doveva recarsi a Messina per incontrare De Donno”. E' iniziato così l'esame del teste Giuseppe Mangano, oggi Brigadiere del Ros a Bari, al processo d'appello Mori-Obinu in corso presso il tribunale di Palermo. Il militare ha ricordato che in quel pomeriggio, dopo una sosta a Barcellona Pozzo di Gotto, a Terme Vigliatore incrociò un soggetto su un Suv. “Lo vidi spaventato – ha ricordato rispondendo alle domande del Pg Patronaggio - Il mio comandante mi dice di fare un pedinamento, ma era impossibile, a quel punto mi chiese se c’era la possibilità di poterlo fermare. Nel frattempo c’erano dei colleghi per darmi man forte. Provammo a fermare la macchina, mostrai il tesserino e lì fui speronato, altri colleghi lo seguirono per poterlo fermare”. Ricordando le modalità del servizio di sicurezza nei confronti di De Caprio ha ricordato che “in quel periodo seguivamo De Caprio con tre macchine per protezione, ma non era standard, a volte erano due macchine, a volte cinque. Quando si lui si muoveva si portava altre macchine a disposizione”. A quel punto Patronaggio ha ricordato che nel verbale del 20 giugno 2014 aveva dichiarato di essere partiti con tre-quattro macchine a protezione del capitano De Caprio. Disse allora: “Ricordo di avere scortato De Caprio fino a Messina… sulla strada del ritorno lo facemmo con la tecnica del ventaglio a protezione del comandante De Caprio”. Su chi fosse presente sulle macchine il teste ha aggiunto: “Randazzo, Longo, Oliveri e io . La macchina di De Caprio era guidata dall’autista Bianco”. La dichiarazione di Mangano va in contrasto con quanto dichiarato nella scorsa udienza dal teste Olivieri che alla corte riferì che il gruppo si trovava in quella zona per accertamenti. Una differenza che è stata rimarcata in aula da Patronaggio. “Non so nulla degli accertamenti di Oliveri – ha risposto Mangano - a me De Caprio disse di fermarci a Barcellona Pozzo di Gotto e io non chiesi il motivo… mi attenni alle disposizioni”. E poi ancora: “Io non so degli altri militari… Da Messina a Palermo stavamo facendo l’autostrada ma non ricordo se fu De Caprio, probabilmente si, a chiederci di uscire a Barcellona Pozzo di Gotto”. E' nei pressi di via Verdi, dove venne fermato il giovane Imbesi, scambiato per il boss Pietro Aglieri. “De Caprio mi dice di agganciarlo – ha ricordato il teste - io mi ero scambiato uno sguardo con quel soggetto. Dee Caprio si unì a noi… il convoglio non si scioglie… eravamo in costante contatto radio… eravamo 3 macchine… De Caprio restò con De Donno e l’appuntato Bianco”. In merito alla perquisizione in casa dell'imprenditore Mario Imbesi Mangano ha risposto di essere a conoscenza della stessa ma di non sapere se questa sia stata effettuata dal collega Calvi. Inoltre ha detto di non essere in grado di riconoscere la firma escludendo che questi facesse parte del gruppo di lavoro su Messina.


Processo Mori, maresciallo Calvi: “La perquisizione a casa Imbesi? Non la ricordo e la firma sul verbale è simile alla mia”
di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015 - Ore 12:35
Prosegue l'esame del teste Pinuccio Calvi al processo d'appello Mori-Obinu. Il militare ha detto di non ricordare di aver partecipato all'operazione di perquisizione domiciliare nella villa dell'imprenditore Mario Imbesi, situata a pochi metri dal luogo dove si trovava il boss Santapaola. A quel punto il Pg Patronaggio ha mostrato un verbale dove si trova proprio la firma di Pinuccio Calvi che ha risposto: “E’ molto simile alla mia, ma non ricordo la perquisizione, non escludo di averla fatta… è una perquisizione avvenuta a seguito di una sparatoria… cosa devo nascondere? Se lo sapessi… bisogna capire perché questo personaggio è scappato… questa firma è molto simile alla mia ma non ricordo di questo atto… ricordo dell’episodio dello speronamento… dopo che è successo ho parlato con dei colleghi che mi hanno raccontato questi fatti… avrei difficoltà a ricordarmi l’atto”. E' a quel punto che il presidente Di Vitale ha contestato con forza: “Se la firma fosse effettivamente la sua significa che è andato a Terme Vigliatore, quando invece ha detto di essersi fermato a Messina”. Ma la risposta di Calvi resta vaga: “Lo so, ma non ricordo… è un verbale in forma un po’ grezza. Vedo che Imbesi aveva una collezione di armi… vedo che è stata una perquisizione molto veloce… non escludo che la firma possa essere la mia”. In quel documento manca però la firma dello stesso Imbesi e alla domanda del pg se questa “assenza” sia normale il teste ha riferito che “non è normale…a meno che non sia la firma che è qua sotto… o forse è di un collega ma non lo posso identificare”. Inoltre Calvi ha anche escluso di aver redatto un verbale in un secondo momento: “Se si è fatto un verbale si è fatto nell’immediatezza. Chi ha operato a Terme Vigliatore? Ricordo Longo, Olivieri, Mangano, Randazzo… non abbiamo parlato poi di quella operazione”. Alla domanda se vi fosse anche il capitano De Donno Calvi ha risposto: “Forse si… perché poi la cosa è stata ricostruita parlando con i colleghi”. Infine ha detto di aver conosciuto il maresciallo Scibilia e su Pietro Aglieri ha detto di”verne sentito parlare dopo dai colleghi. Ripeto io non ho partecipato a nulla”. A fine esame il pg Patronaggio ha chiesto che l’esame del teste sia trasmesso alla Procura.
Inoltre il pg ha chiesto l’acquisizione dei due verbali di perquisizione di Terme Vigliatore e a Salvatore Biondino, la citazione di Bonferraro e Merenda della Dia che hanno fatto i riscontri e hanno individuato in Pinuccio Calvi come uno degli operanti all’operazione di Terme Vigliatore.


Processo Mori, maresciallo Calvi: “Non andai a Messina per catturare latitanti”
Poi il militare riconosce la sua firma nel verbale di perquisizione di Biondino nel gennaio del 1993

di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015 - Ore 12:07
“Io sceso per catturare latitanti? Non lo confermo perché se lo dicessi non direi una cosa giusta. Se mi ricordassi oggi cosa ho fatto a Messina mi ricorderei tutto quanto”. E' piena di non ricordo la testimonianza del maresciallo Pinuccio Calvi, teste al processo Mori-Obinu, per la mancata cattura di Provenzano, a Mezzojuso, nel 1995. Il militare sta rispondendo alle domande del Pg Patornaggio in merito alla vicenda del mancato arresto del boss Santapaola nell'aprile del 1993. In particolare il pg sta rileggiendo alcuni stralci del verbale del 2014. “Dopo che sono venuto nel 2014 ho fatto mente locale – ha riferito Calvi - c’è un attimo di sbandamento. Apprendo della sparatoria di De Caprio da qualche collega al telefono. Mettiamo che fossi a Messina, dovevo incontrare De Caprio ma non so se ho dormito a Messina. Potrei avere dormito a Palermo”. Patronaggio ha quindi contestato che per un fatto personale sono stati spesi soldi dell'amministrazione ma Calvi continua a non ricordare: “Non lo so. Se lo dicessi con certezza sbaglierei… non risulta che ho operato a Messina… non ricordo se ho fatto perquisizioni… non ho fatto pedinamenti… i colleghi li avrò incontrati… non ricordo se a Messina… non ricordo di essere andato alla stazione di Terme Vigliatore”. Eppure nel 2014 il militare aveva messo a verbale: “Mi sa che a Barcellona Pozzo di Gotto non ci sono andato perché io sono rimasto a Messina a disposizione… aspettando indicazioni su quello che dovevo fare. A Messina sicuramente ci sono andato, ma non ricordo il motivo… anche se sono lì per parlare dei problemi miei con il capitano sono sempre a disposizione”. Alla domanda se dopo l'interrogatorio del 2014 si fosse sentito con altri colleghi Calvi ha risposto: “
“Può anche essere. Non lo escludo… magari con Olivieri… anche con gli altri colleghi ci sentiamo da 30 anni… è normale che ci si senta”. Rispondendo poi ad una domanda del presidente Salvatore Di Vitale se “ oltre a questioni personali ci potevano essere anche ragioni di servizio per quella sua trasferta” ha aggiunto: “Può essere… per muoverci c’era sicuramente un ordine di un superiore… in questo caso però non mi ricordo… si parlava della mia discesa non per l’operazione… non ho la certezza… a gennaio ’93 era stato preso Riina quindi sicuramente eravamo giù per la cattura di latitanti… al momento non ricordo di aver partecipato a operazioni a Terme Vigliatore”. Infine ha detto di non ricordare se il 15 gennaio del 1993 avesse fatto la perquisizione a Salvatore Biondino. A quel punto Patronaggio ha mostrato il verbale di perquisizione di Biondino nel quale è indicata la sua firma ed il teste non ha potuto far altro che confermare la presenza della propria firma.


Processo Mori, maresciallo Calvi: “Io in Sicilia solo per motivi personali”
In aula la vicenda del mancato arresto del boss Nitto Santapaola

di Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015 - Ore 11:56
"Il 6 aprile del ’93 non ricordo di aver partecipato all’operazione a Terme Vigliatore. Ricordo di essere arrivato in Sicilia in aereo, da Palermo a Messina sono andato con un’auto di servizio. In quel periodo avevo dei problemi personali e ne dovevo discutere con De Caprio, questo era il motivo principale per il quale ero sceso in Sicilia”. A dichiararlo è stato il Maresciallo Pinuccio Calvi, teste al processo Mori-Obinu dove si indaga sulla vicenda del mancato arresto al boss Nitto Santapaola nel messinese. La firma di Calvi (oggi al Noe di Alessandria ma nel ’93 in servizio presso il Ros di Milano) era l’unica ad essere stata apposta nel verbale dell’irruzione nella villa della famiglia Imbesi, a soli cinquanta metri da dove di nascondeva il capomafia latitante, ma il maresciallo aveva già sostenuto che quella firma fosse stata falsificata.
Il pg Patronaggio contesta però al teste di aver precedentemente detto che nell’aprile del ’93 venne chiamato a Messina per prendere parte alla cattura di un latitante. "La mia discesa in Sicilia era per problemi personali - ribadisce Calvi - non ricordo… di quel periodo ho un grosso vuoto di memoria. Non posso confermare con certezza. Non ricordo se ho alloggiato in una struttura alberghiera o in caserma, so che dovevo parlare con il capitano De Caprio”. “I conti non tornano - replica il Pg - la sede operativa di De Caprio nel ’93 era a Palermo, non a Messina. Lei nel verbale disse di essere arrivato uno o due giorni prima, disse 'sono andato a Barcellona perché c’erano i colleghi che stavano operando, so che stavano cercando un latitante’, disse anche di aver dormito in una struttura alberghiera".


Processo Mori: si ricomincia dalla perquisizione a casa Imbesi
Prevista oggi l’audizione dei militari
di Aaron Pettinari - 9 febbraio 2015

Cinquanta metri. Questa la distanza tra il nascondiglio in cui nell'aprile 1993 era presente Nitto Santapaola e la villa della famiglia Imbesi a Terme Vigliatore, nel messinese. E proprio il mancato blitz nel nascondiglio del boss catanese ad essere affrontato al processo d'appello contro gli ufficiali dell'arma Mario Mori e Mauro Obinu (entrambi accusati di non aver arrestato Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel ’95). Una vicenda che presenta parecchie ombre e che lo scorso 19 gennaio ha già visto la deposizione di tutta la famiglia Imbesi e dei militari Mauro Olivieri e Francesco Randazzo, all'epoca dei fatti membri del Ros che parteciparono alle operazioni.
Per approfondire quanto avvenuto oggi è prevista l'audizione dei testi Giuseppe Mangano, Roberto Longu, Pinuccio Calvi, Antonino Ragusa e Giuseppe Scibilia.
Secondo quanto ricordato nella memoria dei pg Roberto Scarpinato e Luigi Patronaggio, Nitto Santapaola, allora latitante, “fu intercettato mentre parla con esponenti della criminalità mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto all’interno di un locale”. Di questo venne subito informato Mori, tramite il maresciallo della sezione anticrimine di Messina Giuseppe Scibilia. E l’allora colonnello, che si trovava in quel momento a Roma, replicò che “avrebbe provveduto”. Ed infatti, così come risulta dall’agenda dello stesso Mori, il giorno successivo si recò a Catania. Tutto era pronto per il blitz ma il 6 aprile 1993 avvenne un fatto che fece saltare l'operazione. Il capitano “Ultimo” (al secolo Sergio De Caprio) “mentre si trovava ‘casualmente’ in transito nella zona dove era stato localizzato il giorno prima Santapaola” insieme al capitano Giuseppe De Donno e altri militari del Ros aveva individuato un uomo, scambiato per il latitante Pietro Aglieri. Così ebbe luogo un inseguimento, finito a colpi d'arma da fuoco, dell'incensurato Giacomo Fortunato Imbesi, scambiato per il boss Pietro Aglieri anche se, si legge nel documento di settembre, “non esisteva alcuna somiglianza fisica”.

La testimonianza di Imbesi
Sentito per la prima volta lo scorso 19 gennaio Fortunato Imbesi, figlio dell'imprenditore di Barcellona Pozzo di Gotto, Mario Imbesi, ai giudici ha fornito un racconto alquanto drammatico: “Mi stavo dirigendo verso Barcellona Pozzo di Gotto ad un certo punto rallento e mi stringo sulla destra vedendo delle vetture che sopraggiungevano ad alta velocità. Da una di queste lo sportello era aperto e sporgeva una pistola. Erano frazioni di secondo. Sono stato superato da un’ulteriore macchina con pistola in mano. Sulla destra c’era un rifornimento. Io pensavo che erano dei malviventi e volevo raggiungere la caserma dei carabinieri. Dopo pochi metri cominciai a sentire gli spari”. “La macchina venne colpita già sulla statale – ha aggiunto - Ad un certo punto sento anche un signore che conoscevo, oggi morto, che mi gridava ‘scappa scappa’. Presi una strada sferrata per raggiungere la caserma dal retro. Le cinque vetture che mi inseguivano avevano difficoltà. Alcune dopo pochi metri si sono guastate. Una macchina rimase bloccata in prossimità del passaggio a livello. Ad un certo punto dallo specchietto vedo scendere un uomo sulla marciapiede e fa partire un colpo che raggiunge il parabrezza. Era in piedi, dietro la macchina. Io mi butto dall’auto e finisco sui rovi. Dopo un po’ arrivarono le macchine della Polizia di Stato. A quel punto quelli che mi inseguivano dissero ‘fermi fermi, colleghi, siamo carabinieri’. E poi ancora: “Quando andai in caserma mi misero in una stanza e quelli del Ros cercavano di convincermi che mi era stato mostrato distintivo e paletta ma non è stato così. Io non avevo motivi per non fermarmi. Non mi venne data alcuna spiegazione. Mi dissero soltanto c'è stato un errore. Tempo dopo sulla stampa appresi che mi avevano scambiato per il boss Pietro Aglieri”.

Falsificazione di documenti?
Ma non è solo il tema dell'inseguimento di Imbesi ad essere affrontato. Altro punto nodale è la perquisizione nella villa situata nei pressi del covo di Santapaola. All'irruzione armata, avvenuta praticamente allo stesso tempo dell'inseguimento, parteciparono diversi militari provenienti anche da altre sedi fuori dalla Sicilia tuttavia l'operazione non viene menzionata in alcun atto ufficiale salvo un verbale di perquisizione (che è stato acquisito al processo) che non indica né il nome dei militari e in cui manca la sottoscrizione delle persone che subirono la perquisizione. Unica firma presente quella del carabiniere Pinuccio Calvi con quest'ultimo che, già sentito dagli inquirenti, ha dichiarato che la propria firma è stata falsificata. Altro dato alquanto sconcertante è che tutti i militari del Ros risultanti dagli atti ufficiali e che quel giorno risultavano presenti hanno affermato “di non avere partecipato all’irruzione armata e di non sapere chi fossero gli uomini che l’avevano eseguita”. Ovviamente, a seguito dell’irruzione nella villa, “Santapaola non si recò più nel luogo dove era stato intercettato”.

Foto © Ansa

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