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Borsellino quater: non c’è Riina, parla Lo Verso - Diretta
Non ancora ultimate le trascrizioni delle conversazioni in carcere con Lorusso

di Aaron Pettinari - 12 gennaio 2015

In carcere le rivelazioni sulla strage: "Fu un colpo di genio” e il giudice “si futtiu sulu”
“Borsellino si futtiu sulu”
. Con questo sussurro e con un dito alzato ad indicare un citofono il Capo dei capi, Salvatore Riina, intercettato nell'agosto 2013 mentre dialoga durante l'ora d'aria con la solita “dama di compagnia”, Alberto Lorusso, parla della strage di via d'Amelio. Una gesticolazione che fa intendere come Paolo Borsellino avrebbe direttamente innescato l’autobomba pigiando il campanello di casa di sua madre. “Fu un colpo di genio”, aggiunge 'u Curtu al boss pugliese, sottolineando di aver “detto ai picciotti di stare lì per impedire che qualcuno suonava”. Di questi particolari il capomafia corleonese sarà chiamato a dar conto domani mattina al processo Borsellino quater, in corso innanzi alla corte d'assise di Caltanissetta. Le intercettazioni nel cortile del carcere milanese di Opera, trascritte in forma integrale dalla Dia nissena, verranno depositate al dibattimento e si aggiungono a quelle parole raccolte nel 2010 dal procuratore Sergio Lari in un interrogatorio in carcere dove Riina non si avvalse della facoltà di non rispondere. Cosa farà domani, quando i pm Gozzo, Luciani e Paci inizieranno a formulare le proprie domande, non è dato saperlo. Così come era accaduto alla scorsa udienza con i boss Pietro Aglieri e Carlo Greco il capomafia corleonese sarà ascoltato come testimone assistito, potrà dunque decidere se avvalersi o meno della facoltà di non rispondere di volta in volta ad ogni quesito dell’accusa.

Borsellino intercettato
Nell'esporre i fatti, registrato dalle microspie della Dia, Riina ha anche fornito ulteriori particolari sull'attentato che il 19 luglio 1992 fece saltare in aria Borsellino e gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina (unico sopravvissuto fu Antonino Vullo). L’anziano capomafia aggiunge all'ambiguo “collega” pugliese di aver saputo l’orario d’arrivo dello stesso giudice dai suoi uomini che “ascutaru” (ascoltarono). “Ma mannaggia – prosegue Riina – Ma vai a capire che razza di fortuna. Alle cinque mi sono andato a mettere lì”. “Quello senza volerlo – spiega il capomafia corleonese – le ha telefonato”. “Troppo bello: sapevo che ci doveva andare alle cinque. Piglia, corri e mettigli un altro sacco”, continua Riina facendo intendere, secondo gli inquirenti, che dopo avere sentito la conversazione tra Borsellino e la madre, evidentemente intercettati dalla mafia, si affrettò a imbottire la 126 usata come autobomba con un altro sacco di esplosivo. “Minchia come mi è riuscito. Questa del campanello però è un fenomeno… Questa una volta il Signore l’ha fatta e poi basta. Arriva, suona e scoppia tutto”. “Il fatto che è collegato là è un colpo geniale proprio. Perché siccome là era difficile stare sul posto per attivarla… Ma lui l’attiva lo stesso”, commenta poi lo stesso Lorusso. Quindi Riina esprime una serie di pesanti giudizi nei confronti della sorella del magistrato ucciso, Rita: “Una disgraziata – dice al suo compagno d'ora d'aria – la vedi inviperita nel telegiornale, quanto è inviperita la disgraziata, non ha digerito la morte di questo suo fratello che ci ha suonato il campanello a sua madre”. Un fatto inquietante che contribuisce a rendere ancora più misteriosa la storia della strage, già preda di un colossale depistaggio svelato dopo le rivelazioni di Gaspare Spatuzza che si è autoaccusato del furto e della preparazione della Fiat 126 trasformata in autobomba. Sia Spatuzza che l'altro collaboratore di giustizia di Brancaccio, Fabio Tranchina, non hanno mai fatto riferimento a quel telecomando inserito nel citofono. Non solo. Tranchina, autista fidatissimo dello stragista di Cosa Nostra Giuseppe Graviano, agli investigatori ha indicato lo stesso boss di Brancaccio come colui che avrebbe azionato il telecomando collegato all’autobomba in un giardino dietro ad un muretto che divide in due via D’Amelio. Secondo la ricostruzione di Tranchina, sarebbe stato lo stesso Graviano a dirgli che, dal momento che non avevano trovato un posto da dove “osservare”, si sarebbe “accomodato” nel giardino. Ed anche lo stesso Spatuzza ha addossato la responsabilità dello scoppio dell’autobomba a Giuseppe Graviano. Nel 2005, poi, il pentito Giovanbattista Ferrante aveva riferito che la potenza dell’esplosione (non prevista abbastanza da chi l’aveva procurata) aveva rischiato di far cadere il muro che separava il giardino sulla persona che stava nascosta dietro.

“Colpo di genio” da “mandanti esterni”
Il retroscena sul “citofono bomba” viene descritto da Riina come un “colpo di genio”. Un'operazione che, qualora fosse stata realmente messa in atto, è quasi impensabile sia stata eseguita con il semplice contributo della sola Cosa nostra. Un elemento, quello della presenza di personaggi esterni (o “mandanti esterni”) a Cosa nostra che riaffiora nel biennio stragista. “Mentre veniva imbottita di esplosivo la Fiat 126 nel garage tra noi c’era uno elegante, biondino, mai visto prima, parlava con Gaetano Scotto” ha raccontato lo stesso Spatuzza ai magistrati. Il pentito di Brancaccio ha detto che il “tecnico” di cui la famiglia mafiosa di Brancaccio disponeva per gli attentati esplosivi era Salvatore Benigno definendolo “scarsamente preparato, però, come dimostrano i falliti attentati a Maurizio Costanzo e ai carabinieri allo stadio Olimpico. In entrambi i casi le modalità erano di azionamento a distanza come in via D'Amelio. Ma in via D'Amelio posso dire che ci fu un'altra mano tecnica”. Fatti su cui si indaga, senza sosta, a Caltanissetta con le parole di Riina che finiscono nel “calderone” delle ipotesi di una strage. E chissà che il Capo dei capi, dopo tante parole sussurrate in un cortile, non trovi una nuova loquacità in aula.

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