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di-matteo-teresi-c-ansadi Aaron Pettinari - 16 dicembre 2014
Ulteriori particolari sul progetto di morte contro Di Matteo
“La presenza di 100 chili di tritolo sul territorio palermitano rende ancora attuale, a mio avviso, il pericolo dell’attentato nei confronti del dottor Di Matteo”. A dirlo è l'ultimo pentito, Vito Galatolo, rispondendo alle domande dei pm al suo primo interrogatorio (quello del 14 novembre). E' proprio sulla ricerca del tritolo che si stanno sviluppando le indagini di due Procure (quella di Caltanissetta e di Palermo) per cui questa mattina i blindati della guardia di finanza sono entrati dentro vicolo Pipitone, nota roccaforte della famiglia Galatolo ed in dotazione a Cosa nostra. “Non abbiamo trovato l'esplosivo, nonostante abbiamo passato al setaccio un'area vasta che era sotto il totale controllo della 'famiglia' Galatolo. La mancata scoperta del tritolo è una cosa che ci inquieta molto”, ha detto il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi nel corso della conferenza stampa tenuta con il procuratore reggente Leonardo Agueci e con i vertici della polizia valutaria e della polizia tributaria.

Se da una parte il tritolo non è stato ancora rinvenuto nel corso dell'operazione sono stati scoperti dei documenti definiti "importantissimi" dagli investigatori, che provano affari ed investimenti del clan. Non solo. Nei terreni immediatamente dietro le palazzine della famiglia mafiosa Galatolo, è stata scoperta dalla Finanza una cavità naturale, impenetrabile. Per accedervi sono dovuti intervenire i vigili del fuoco: dentro c'erano pentole e strumenti che fanno pensare a un vero e proprio nascondiglio.
Mentre da una parte si cercava il tritolo in un'altra zona di Palermo gli investigatori del nucleo speciale di polizia valutaria facevano irruzione nell'abitazione di uno dei mafiosi che avrebbero partecipato al summit in cui venne deliberato il progetto di morte nei confronti del pm Nino Di Matteo, il boss Vincenzo Graziano. Questi non è uno qualunque ed è lo stesso Galatolo a spiegare che “la presenza del Graziano si giustificava poiché era stato da me stabilito che lo stesso facesse le mie veci nella reggenza del mandamento quando io non ero a Palermo, avendo però l’obbligo di informarmi preventivamente per le decisioni più importanti”.

Il ruolo nel mandamento di Resuttana
Graziano era stato arrestato il 23 giugno scorso dalle Fiamme gialle nell'ambito dell'operazione 'Apocalisse', che aveva portato a oltre 90 misure cautelari, tra cui lo stesso Galatolo. Graziano era tornato in libertà a luglio, per decisione del tribunale del Riesame di Palermo, a causa della mancanza di indizi. Al boss di Resuttana veniva contestato, sulla base delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Sergio Flamia, anche di avere affiliato altri uomini d’onore mentre si trovava in carcere.
In particolare Graziano, sarebbe stato regista del monopolio delle macchinette mangiasoldi e delle scommesse online, che avrebbe imposto nei bar di mezza città, proprio lavorando in società con Galatolo. Un business dal notevole profitto che è diventata una fonte di finanziamento importante per le famiglie mafiose.

Le dichiarazioni di Galatolo
Da quando Vito Galatolo ha deciso di “togliersi un peso dalla coscienza” le Procure di Palermo e Caltanissetta hanno riempito un gran numero di pagine di verbali mettendo nero su bianco la nuova mappa criminale di Cosa nostra. “Vi sono riscontri importanti – hanno detto gli investigatori quest'oggi – che ci fanno ritenere Galatolo come un pentito particolarmente attendibile. Si tratta di riscontri che riguardano attività investigative svolte che non possono assolutamente essere note allo stesso”.

L'attentato a Di Matteo
Ai pm ha descritto nei minimi particolari i preparativi per l'attentato a Di Matteo, su ordine del “fratellone” intesto come il superlatitante di Castelvetrano, “Matteo Messina Denaro”. Un ordine che fu messo “nero su bianco” in una missiva letta i primi di dicembre da Girolamo Biondino, fratello dell'autista di Totò Riina, in presenza di Alessandro D'Ambrogio, lo stesso Galatolo e da Vincenzo Graziano. “Decidemmo di dare una risposta affermativa a Messina Denaro - ha detto ai pm - e decidemmo anche, vista l'impossibilità di quest'ultimo ad approntare il denaro necessario, di esporci economicamente per la preparazione e dell'attentato. In particolare io mi impegnai con 360.000 euro mentre le famiglie di Palermo Centro e San Lorenzo, si impegnarono per 70.000 euro. L'esplosivo sarebbe stato acquistato in Calabria da uomini che avevano della cave nella loro disponibilità e trasferito a Palermo. Dopo seppi che Biondino definì l’acquisto dalla Calabria di 200 chili di tritolo e, una volta arrivato a Palermo  circa 2 mesi dopo la riunione, fu affidato a Vincenzo Graziano”.
L'ex boss dell'Acquasanta conferma di aver visto con i propri occhi l'esplosivo, il 16 marzo 2013: “L'esplosivo, che io vidi personalmente in occasione di una mia presenza a Palermo per dei processi, era conservato in dei locali all'Arenella nella disponibilità di Graziano Vincenzo ed era contenuto in un fusto di lamiera e in un grande contenitore di plastica dura. Sopra questi bidoni vi era uno scatolo di cartone con all'interno un dispositivo in metallo della grandezza poco più piccola di un panetto”. E poi ancora nuovi dettagli: “Altri dettagli: "All'interno era composto da tanti panetti di colore marrone avvolti da pezze di tessuto. Ricordo inoltre che all'esterno, la parte bassa del contenitore di plastica blu era umida e con tracce di salsedine. Per tale motivo infatti Graziano mi disse che questo contenitore umido doveva essere sostituito. So che l'esplosivo è stato spostato da Graziano e penso che sia custodito in una sua abitazione con del terreno intorno in località Monreale”.


Dove colpire
“L'intento di organizzare l'attentato non è mai stato messo da parte – mette a verbale il neo pentito - una volta ne parlai con Graziano Vincenzo all'interno del Tribunale ed avevamo pensato di posizionare un furgone nei pressi del palazzo di giustizia ma non ritenemmo di procedere perché ci sarebbero state molte vittime. Pensammo anche, data la disponibilità della famiglia mafiosa di Bagheria, di valutare se procedere in località Santa Flavia, luogo dove spesso il dottore Di Matteo trascorre le vacanze estive”. Scartata l'ipotesi dell'attentato al Palazzo di Giustizia i boss quindi si concentrarono in altri luoghi e monitorano gli spostamenti del magistrato.
Nel febbraio del 2013 in Procura arriva una lettera anonima dove l'estensore si presentava come “uomo d'onore di Alcamo”. Nella missiva questi raccontava di aver pedinato a lungo la scorta del pm. Interrogato dai pm Galatolo ha sempre negato di essere lui l'autore di quella lettera “rivelatrice” di quel piano d'attentato che oggi assume contorni sempre più definiti grazie alle parole dell'ex boss dell'Acquasanta.

L'arresto di Girolamo Biondino rallenta i piani
In un altro verbale il pentito ricorda che “il 6 maggio (del 2013 nda) pomeriggio mi incontrai con Vincenzo Graziano, che non affrontò subito il discorso dell’attentato nei confronti del dottor Di Matteo, come credevo, vista l’urgenza con cui mi aveva mandato a chiamare, e fui io quindi a chiedergli notizie. Il Graziano mi disse che la situazione era in stand-by poiché il Biondino Girolamo era stato tratto in arresto. Mi disse anche che l’esplosivo era ancora nella sua disponibilità ed era al sicuro”. Se da una parte anche l'arresto odierno potrebbe portare ad un ulteriore rallentamento nell'esecuzione del progetto di morte dall'altra il pericolo resta più che mai alto con un ordine di morte che, come ha ricordato lo stesso Galatolo, “non è mai stato revocato”.

Foto © Ansa

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