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pistola-pentitidi Aaron Pettinari - 16 dicembre 2014
Oltre al pm Di Matteo c'era la volontà di uccidere Spatuzza e Giuffré
“Ora è arrivato il momento in cui ognuno di noi si deve assumere le sue responsabilità”
. Con queste parole Totò Riina avrebbe esordito alla riunione della commissione mafiosa che, nel dicembre '92, dava avvio all'organizzazione delle stragi. Era la riunione della “resa dei conti” in cui venne deliberata l’eliminazione dei nemici di Cosa nostra (i magistrati Falcone e Borsellino), i traditori (i deputati Mannino e Martelli) e gli inaffidabili (l’on. Lima). Oltre vent'anni dopo Cosa nostra torna a progettare una strage. Le dichiarazioni dell'ex boss dell'Acquasanta, Vito Galatolo, hanno svelato il piano di morte nei confronti del pm Nino Di Matteo.
“Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica”. Queste erano le parole del Capo dei capi, Totò Riina, in una delle tante conversazioni con la sua “dama di compagnia”, Alberto Lorusso, registrate lo scorso anno durante l'ora d'aria al carcere Opera di Milano. Anche Giovanni Falcone, nella sua ultima intervista per l'inserto napoletano di cultura di Repubblica parlava di una mafia agile e feroce come una pantera ma “dalla memoria di elefante”.

Nei primi interrogatori effettuati di fronte ai pm di Palermo e Caltanissetta Galatolo ha raccontato che l'ordine arrivò direttamente da Matteo Messina Denaro, l'ultimo dei “corleonesi” ancora in libertà. Nella missiva che fu letta da Girolamo Biondino il boss di Castelvetrano “disse che bisognava fare un attentato al dottor Di Matteo perché, stava andando oltre e ciò non era possibile anche per rispetto ai vecchi capi che erano detenuti”. Non solo. A quella riunione, a cui parteciparono oltre a Vito Galatolo, Girolamo Biondino, Alessandro D'Ambrogio e Vincenzo Graziano (arrestato quest'oggi), si parlò anche di eliminare anche alcuni collaboratori di giustizia altisonanti. “Nella lettera - ha raccontato ai pm Galatolo - Matteo Messina Denaro invitava anche a compiere un attentato nei confronti di Spatuzza e Giuffré”.
Spatuzza è colui che ha ricostruito le dinamiche della strage di via d’Amelio, e che ha reso importantissime rivelazioni anche nell'ambito della trattativa Stato-mafia. Giuffré, conosciuto anche con il nome di “Manuzza”, è l'ex fedelissimo di Bernardo Provenzano, che nelle sue dichiarazioni parlò dell’appoggio di Cosa Nostra a Forza Italia alle politiche del 1994. Ma come avrebbero fatto i boss palermitani a conoscere i luoghi in cui erano nascosti i pentiti? Galatolo parla anche di questo: “Successivamente, avendo appreso da - omissis - che era in contatto con Salvatore Cucuzza, il cui nome di copertura, secondo quanto riferitomi da Camillo Graziano, era Giorgio Altavilla e che questi poteva attingere notizie sulle località ove erano allocati i collaboratori di giustizia nacque da parte mia il proposito di eliminare mia sorella Giovanna”. Ed è a quel punto che la lista dei pentiti da eliminare si allunga ulteriormente con lo stesso Vincenzo Graziano, presente alle riunioni in quanto era stabilito che facesse le veci di Galatolo nella reggenza del mandamento quando questi non si trovava a Palermo, che “propose di uccidere Francesco Onorato, incombenza della quale si sarebbe occupato personalmente”.

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