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di-matteo-toga-processo-2di Miriam Cuccu - 9 dicembre 2014
Per organizzare il piano di morte contro Nino Di Matteo (in foto) Cosa nostra avrebbe fatto arrivare l’esplosivo dalla Calabria. Questa l’ultima rivelazione del neopentito Vito Galatolo, che sta raccontando agli inquirenti le dinamiche sulla preparazione dell’attentato contro il pm titolare del processo trattativa Stato-mafia.
Dopo l’ordine arrivato da Trapani a Palermo – da parte di Matteo Messina Denaro, che nel 2012 avrebbe inviato una missiva – i boss si sarebbero mossi per acquistare 150 chili di esplosivo. Galatolo racconta però che durante la fase di acquisto – avvenuta nel più completo riserbo – una parte del tritolo calabrese risultava essere danneggiato da infiltrazioni d’acqua. L’esplosivo rovinato venne rispedito indietro, e poco dopo sostituito da un nuovo carico in buono stato senza che fosse sollevato alcun problema.
In precedenza alcuni pentiti avevano riferito di aiuti forniti dalla ‘Ndrangheta per la preparazione di stragi, raccontando che per l’attentato a Capaci, l’esplosivo utilizzato per il giudice Falcone aveva il marchio calabrese.

Le cosche – aveva dichiarato il collaborante Consolato Villani al processo Capaci bis – avevano l’abitudine di rifornirsi di esplosivo dalla “Laura C”, una nave affondata ai tempi della guerra nella zona delle Saline Joniche, controllata dalla cosca Iamonte, molto vicina ai Santapaola di Catania. Nella ‘Ndrangheta, aveva testimoniato Villani, “tutti sapevano che (l’esplosivo per Capaci, ndr) proveniva da Saline Joniche”. Un aiuto che seguiva di poco quello offerto per l’omicidio del giudice Scopelliti, ucciso in terra calabrese perché stava preparando, per il maxiprocesso ormai approdato in Cassazione, il rigetto dei ricorsi avanzati dalle difese dei boss condannati. Un rapporto di amicizia, quello avviato sull’asse Calabria-Sicilia, che potrebbe non essersi fermato agli anni Novanta. E se effettivamente il tritolo per Di Matteo provenisse dalla “Laura C”? Basterebbe a spiegare le infiltrazioni d’acqua presentate da una parte del carico di esplosivo?
Secondo i magistrati che rappresentano la pubblica accusa al processo Capaci bis il tritolo per l’attentatuni a Falcone non sarebbe arrivato dalla Calabria. La nuova indagine che ha portato alla riapertura del dibattimento e all’arresto di otto soggetti mai prima d’ora sfiorati dall’inchiesta sostiene che il tritolo sarebbe stato recuperato da residuati bellici nei fondali marini, al largo di Porticello. Ipotesi, questa, che emerge dalle dichiarazioni del superpentito Gaspare Spatuzza, collaboratore chiave anche al processo sulla strage del giudice Borsellino. Nei mesi scorsi è stato effettuato un confronto tra l’esplosivo proveniente dalla  “Laura C” è quello usato da Cosa nostra per Capaci e via d'Amelio, ma non è stata riscontrata alcuna relazione.
Galatolo ora verrà sentito sia a Palermo, da un pool coordinato dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi, sia a Caltanissetta, dove i magistrati indagano sul recente progetto di morte contro Di Matteo. Un progetto che, quando era stato arrestato il boss dell’Acquasanta – lo scorso giugno con “Apocalisse” – era ancora in piedi e in attesa di passare all’azione. Ma che poi subì una battuta d’arresto, senza tuttavia essere accantonato.

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