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messina-denaro-matteo-effdi Miriam Cuccu - 20 novembre 2014
Nino Di Matteo “si è spinto troppo oltre”, scrive Matteo Messina Denaro, e per questo deve essere eliminato. Il progetto di attentato contro il titolare del processo trattativa si arricchisce di nuovi dettagli con la collaborazione del neopentito Vito Galatolo. Dietro il piano di morte ci sarebbe anche la primula rossa di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, ultimo superlatitante di Cosa nostra. Alla fine del 2012 il boss manda una lettera a Palermo per chiedere formalmente alle famiglie mafiose del capoluogo di organizzare un attentato contro Di Matteo. “Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre” è la spiegazione fornita da Messina Denaro, senza specificare chi. Ma spunta l’ombra dei mandanti esterni, i veri protagonisti di molte stragi e omicidi eccellenti del Paese. “Sono gli stessi mandanti di Borsellino” assicura Galatolo parlando proprio con il pm di Palermo e descrivendo i dettagli del progetto omicidiario di cui il boss dell’Acquasanta era coordinatore organizzativo.

Subito dopo l’arrivo della lettera, i capimafia palermitani si attivano per organizzare il summit in cui vengono messe a parte del piano le varie famiglie, che risalirebbe al dicembre 2012. A quella riunione partecipa anche Galatolo, che poi acquisterà personalmente il tritolo giunto a Palermo e nascosto in un bidone. Di cui gli inquirenti ancora non hanno trovato traccia, nonostante abbiano setacciato i luoghi indicati dal neopentito.
La tensione è alle stelle, l’allerta massima. Anche perché non è la prima volta che il nome di Matteo Messina Denaro finisce nella questione del progetto di morte a Di Matteo. Pochi mesi dopo il summit, è il 26 marzo 2013, un anonimo preannuncia al sostituto procuratore che “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità”. L’autore sostiene di essere affiliato alla famiglia mafiosa di Alcamo.
L’ordine all’interno di Cosa nostra per uccidere Di Matteo, sarebbe però partito dallo stesso Totò Riina, a seguito di un colloquio con il figlio al carcere di Opera dove il Capo dei capi era detenuto. Forse, è quello che pensano gli investigatori, è proprio per questo che Riina dice al compagno di ora d’aria Alberto Lorusso: “Questo signor Messina Denaro non si interessa di noi. Questo fa i pali della luce” riferendosi ai grandi affari legati all'energia eolica in cui Messina Denaro è coinvolto. Il segnale, probabilmente, che Riina si aspettava un attentato spettacolare, “un’esecuzione come a quel tempo a Palermo”. Che però non è arrivata. Secondo Galatolo, dentro Cosa nostra c’erano movimenti per organizzare l’attentato ma il blitz “Apocalisse” scattato a giugno (37 arresti tra cui lo stesso collaboratore) ha stoppato tutto. Fino a quando?
“Messina Denaro è ancora al centro delle attività della mafia" ha affermato ieri il pm Teresa Principato nel corso della conferenza stampa sul blitz scattato tra Castelvetrano e Palermo. Anche nei suoi confronti il boss stava cercando il tritolo per organizzare un attentato. Tra i 16 arrestati pure il nipote della primula rossa, Luca Bellomo. Il cerchio attorno al superlatitante, dopo le ultime operazioni che hanno decimato il mandamento e portato in carcere anche una sorella, Patrizia, si stringe sempre di più.  Sullo sfondo, però, restano quei soggetti esterni a Cosa nostra, “gli stessi di Borsellino”, dice Galatolo, quelli che avrebbero detto a Messina Denaro di riportare in auge la strategia stragista. Perché, però, una mente criminale come la sua avrebbe corso il rischio di esporsi a tal punto, mettendo nero su bianco i desiderata di personaggi ancora sconosciuti e lasciando una così evidente traccia di sé? Se disgraziatamente accadesse il peggio Matteo Messina Denaro sarebbe il primo della lista ad essere cercato casa per casa. Ma forse, in cambio, la primula rossa potrebbe aver ricevuto garanzie che gli consentirebbero di proseguire indisturbato la sua latitanza dorata. Il metodo del do ut des, tra Stato e mafia, ha sempre funzionato.

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