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Processo trattativa Stato-mafia

Sugli “indicibili accordi” di cui l’ex consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio aveva parlato in una lettera indirizzata a Napolitano il 18 giugno 2012 il Capo dello Stato sostiene di non sapere nulla. È quanto ha riferito davanti alla Corte d’Assise di Palermo deponendo al processo trattativa Stato-mafia, per l’occasione in trasferta al Quirinale. In quella missiva D’Ambrosio faceva cenno agli scritti del libro di Maria Falcone dove però non parla di nessun elemento che potesse fare pensare a quegli “accordi”. Particolare, questo, notato dallo stesso Napolitano, che lo ha riferito alla Corte dichiarando inoltre il fatto che Luciano Violante riferì a Giorgio Napolitano che Vito Ciancimino voleva essere ascoltato dalla Commissione Parlamentare Antimafia. Napolitano, è il comunicato diffuso dal Quirinale, “ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali”.

I pubblici ministeri che hanno condotto l’interrogatorio, Vittorio Teresi e Nino Di Matteo, hanno chiesto al Capo dello Stato alcune questioni risalenti all’estate del ’93. “Fu chiaro subito – ha detto il Presidente riferendosi ai giorni che seguirono la bomba a Roma del 28 luglio ‘93 – che quello era un ulteriore anello di una strategia unitaria volta a mettere lo Stato in una condizione di aut aut”. Secondo Napolitano, questo gesto proveniva dall’ala stragista di Cosa nostra.

A Napolitano è stato inoltre chiesto se avesse qualcosa da riferire in merito all’allarme lanciato da una nota del Sismi nell’estate del ’93, in riferimento a un attentato: “Il 24 agosto 1993 mi stavo recando a Parigi – all’epoca era presidente della Camera, ndr – e il capo della Polizia Parisi mi chiese un incontro privato: mi informò di quell’allarme che veniva da fonti da prendere con cautela ma non del tutto incredibili. Il viaggio a Parigi non fu annullato ma fui accompagnato dai Nocs della Polizia. Al mio ritorno l’allarme era cessato”.

E in merito al rischio di un possibile golpe a seguito delle bombe del ’93, scoppiate a Firenze, Roma e Milano, Napolitano ha raccontato del black out a Palazzo Chigi, segnale che destò parecchie preoccupazioni e di cui l’attuale Capo dello Stato parlò con Carlo Azeglio Ciampi, e che oggi ha definito una “mossa da manuale”. Poi l’allarme cessò a seguito della scoperta di un guasto tecnico.

I legali di Nicola Mancino hanno presentato un’eccezione di nullità del processo sulla trattativa Stato-mafia "perché è stato inibito l'ingresso, è stata preclusa la partecipazione degli imputati, che mai in nessun caso deve essere impedita, costituzionalmente parlando". È quanto ha dichiarato uno dei legali, Massimo Krogh, secondo il quale l'eccezione di nullità "è una mina vagante che c'è in questo processo e che potrebbe esplodere alla fine se il processo andasse male per gli imputati".

C’è però una domanda alla quale Napolitano non ha risposto, ha ricordato Luca Cianfeorni, legale difensore di Totò Riina, cioè quella sul colloquio tra il presidente Napolitano e l’ex presidente Oscar Luigi Scalfaro quando pronunciò il famoso “non ci sto!” spiegando che “questa domanda non ha trovato il diniego di Napolitano ma quello della Corte che non l'ha ammessa”. Il Presidente della Repubblica, ha continuato Cianferoni, ha tenuto sostanzialmente a dire che lui era uno spettatore di questa vicenda”.

Nelle tre ore e mezza di udienza, però, mai è stata utilizzata dal Capo dello Stato la parola “trattativa” e “neanche sinonimi”, hanno riferito di legali difensori di Massimo Ciancimino, imputato e teste-chiave al processo. Piuttosto “Napolitano – hanno precisato i due avvocati – ha parlato di minaccia e questa veniva direttamente dall'area stragista corleonese. Lo ha detto in maniera chiara".

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