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mannino-subranni-contradadi Lorenzo Baldo - 8 ottobre 2014
Palermo. La requisitoria del pm Roberto Tartaglia ripercorre in maniera esaustiva diversi episodi inquietanti che ruotano attorno alla figura di Calogero Mannino. Persino una sua mancata intervista nel luglio del ’92, di cui non restano che pochi appunti scritti a mano da Antonio Padellaro, quando ancora lavorava all’Espresso, è utile a focalizzare la caratura dell’odierno imputato.  “Per il maxiprocesso fu raggiunta una specie di accordo con il potere politico. Voi – disse Cosa Nostra – ingabbiate la mafia perdente e alcuni marginali della mafia vincente. Ma l’accordo è che alla fine di questo iter c’è la Cassazione, che ci rimetterà in libertà. Noi nel frattempo ce ne restiamo buoni e calmi continuando a fare i nostri affari. Ma il Governo non ha rispettato i patti e Andreotti ha fatto approvare una serie di leggi repressive”. Queste erano le dichiarazioni di Mannino riportate da Padellaro sul suo taccuino dopo essere uscito dall’incontro con l’allora Ministro per il Mezzogiorno. Padellaro aveva raccontato agli inquirenti di essersi trovato di fronte ad un uomo letteralmente terrorizzato che si era lasciato andare ad esternazioni alquanto personali: “ho orrore di restare in questa condizione di condannato a morte. Sento che sto per perdere la ragione. Maledico il giorno in cui ho iniziato a fare politica”. In merito a quello che Mannino definisce accordo il pm è decisamente netto: “o Mannino ha saputo di questo accordo da Cosa Nostra, oppure lo ha fatto quell’accordo, da politico”. Certo è che non c’è una terza possibilità. 

Colpire Guazzelli per dare un segnale a Mannino
Ma chi intende colpire realmente Cosa Nostra il 4 aprile 1992 quando uccide il maresciallo Giuliano Guazzelli? Per Tartaglia con quell’omicidio Cosa Nostra ha voluto uccidere “l’uomo di azione di Calogero Mannino, l’uomo-cerniera tra Mannino e Subranni”, quello stesso uomo che nelle settimane antecedenti al suo omicidio “era stato incaricato da Mannino e Subranni di occuparsi anche della mediazione tra i due per la soluzione del delicatissimo problema del pericolo di morte per Mannino”. Secondo il magistrato si tratta di un segnale che “colpisce Guazzelli ed arriva diretto a Mannino”, è del tutto “chiaro” in quanto rappresenta “l’acme di quella escalation di intimidazioni e di pressione psicologica che Cosa Nostra sta portando avanti nei confronti di Mannino”. Nella sua requisitoria il pm spiega che quell’omicidio dimostra al Ros e a Mannino che questa volta il problema “è serissimo” e quindi “comporta la necessità di quella interlocuzione piena ed occulta con i vertici di Cosa Nostra che infatti, di lì a pochissimo, gli uomini di Subranni, Mori e De Donno, avvieranno con Vito Ciancimino”.

La Falange armata
“Tenendo fede all’annuncio fatto, il comitato politico della Falange Armata, in piena autorità e perfetta convergenza, si assume la paternità politica e la responsabilità morale dell’azione condotta ancora in Sicilia contro il maresciallo dei Carabinieri Giuliano Guazzelli”. Le stesse identiche parole usate per l’omicidio Lima meno di un mese prima vengono pronunciate da un ignoto interlocutore che telefona all’Ansa di Bari alle 11:25 del 5 aprile 1992. Ecco che torna quella sigla dall’ambigua provenienza già utilizzata nel biennio stragista ‘92/’93. “La finalità non era quella di depistare – spiega Roberto Tartaglia - ma quella di destabilizzare”. C’è da dire che nel decreto di rinvio a giudizio del processo madre sulla trattativa Stato-mafia lo stesso gip Piergiorgio Morosini aveva circoscritto la questione legata alla Falange Armata. “Dall’esame delle fonti indicate – aveva evidenziato Morosini – si ricavano elementi a sostegno di una ipotesi di esistenza di un progetto eversivo dell’ordine costituzionale, da perseguire attraverso una serie di attentati aventi per obiettivo vittime innocenti e alte cariche dello Stato, rivendicati dalla Falange Armata e compiuti con l’utilizzo di materiale bellico proveniente dai paesi dell’est dell’Europa”. Il Gip ribadiva: “nel perseguimento di questo progetto Cosa Nostra sarebbe alleata con consorterie di ‘diversa estrazione’, non solo di matrice mafiosa (in particolare sul versante catanese, calabrese e messinese). E nelle intese per dare forma a tale progetto sarebbero coinvolti ‘uomini cerniera’ tra crimine organizzato, eversione nera, ambienti deviati dei servizi di sicurezza e della massoneria”. Dal canto suo il pentito Filippo Malvagna aveva raccontato delle riunioni preparatorie agli attentati del ’92 tenutesi a Enna alcuni mesi prima nelle quali Totò Riina aveva detto che “si doveva fare un po’ di ‘confusione’, non si doveva capire da dove provenisse tutto questo terremoto”. Malvagna aveva aggiunto quindi che  Riina “aveva detto di rivendicare qualsiasi cosa dicendo che chi metteva in atto queste cose faceva parte della ‘Falange Armata’”.

Il Corvo2
Nella sua esposizione Tartaglia torna sul mistero del “Corvo2”. Otto pagine anonime che, così come aveva ricordato nelle prime udienze “descrivevano complessivamente l’instaurazione di un canale di comunicazione, in seguito ed a causa dell’omicidio di Salvo Lima, tra esponenti politici, tra cui Mannino, e i vertici di Cosa Nostra”. Quei fogli erano stati inoltrati a 39 destinatari (tra cui giornalisti, magistrati e altre figure istituzionali), di fatto l’anonimo era stato scritto a cavallo tra il 23 maggio ‘92 e il 19 luglio del 1992 ed era stato indirizzato, tra gli altri, anche a Paolo Borsellino. Lo stesso Borsellino si sarebbe successivamente occupato di quell’anonimo. “In tanti hanno temuto che attraverso le indagini sul Corvo 2 Borsellino potesse arrivare concretamente ad indagare su quella interlocuzione (tra Stato e mafia, ndr) appena iniziata”, sottolinea Tartaglia. Il pm unisce fatti e circostanze collegandoli a persone specifiche. Il quadro che emerge è del tutto coerente. Così come riportato dall’ex tenente dei carabinieri che aveva collaborato con Paolo Borsellino, Carmelo Canale, l’incontro del 25 giugno 1992 tra Mori, De Donno e Borsellino non era finalizzato alla discussione del rapporto mafia e appalti, ma bensì alla trattazione del “Corvo 2”. Il magistrato evidenzia le forti preoccupazioni di Subranni: “prima, i carabinieri fecero filtrare una notizia all'Ansa, secondo cui quell'anonimo era carta straccia. Poi, dopo la morte di Borsellino, Subranni chiese addirittura alla procura di archiviare l’inchiesta sull'anonimo”. Tra coloro che si preoccupano di quell’esposto anonimo ci sono anche l’agente dei Servizi segreti Angelo Sinesio che chiede ossessivamente al pm Alessandra Camassa quali fossero le ultime indagini di Borsellino e l’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada che più volte si incontra al Ministero con Subranni e Mannino. “Non può davvero sfuggire il motivo per cui Contrada, indicato nelle agende come presente ai primi incontri Mannino-Subranni, fosse fino a tal punto interessato a sapere a quali risultati su Mannino e sul Corvo 2 fosse arrivato con la sua indagine Paolo Borsellino prima di morire”, sottolinea Tartaglia. Per poi aggiungere amaramente “Sinesio non fu l’unico in quel momento storico a fare il ‘cane da guardia’ di Mannino per conto di Contrada, e cioè ad informarsi con tanta insistenza di eventuali indagini dell’autorità giudiziaria nei confronti di Mannino”.
La requisitoria proseguirà il 4 novembre.

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