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1di Lorenzo Baldo - 18 settembre 2014
Manifestazioni in quindici città per chiedere il suo reintegro al Nucleo Investigativo di Palermo
Palermo. Dopo una petizione rivolta al Presidente della Repubblica che ha coinvolto 5000 persone, tra cui Salvatore Borsellino come primo firmatario, personalità del mondo della politica, dello spettacolo e dell’associazionismo, si è giunti ad una vera e propria mobilitazione popolare. In quindici città hanno manifestato semplici cittadini con un’unica richiesta: far reintegrare il maresciallo dei Carabinieri Saverio Masi al Nucleo Investigativo di Palermo.

Davanti la Prefettura di Palermo una rappresentanza del cartello di associazioni racchiuso sotto la sigla “Scorta Civica” si è riunita per manifestare la propria solidarietà. La vicenda che ruota attorno al capo-scorta del pm Nino Di Matteo è alquanto emblematica. Dalle denunce dello stesso Masi è emerso che sin dal 2001 avrebbe voluto arrestare Bernardo Provenzano e che nel 2005 sarebbe stato sulle tracce di Matteo Messina Denaro, ma che, per “ordini superiori”, quelle attività investigative sarebbero state bloccate. Di contraltare vi sono le denunce dei vertici dell’Arma dei Carabinieri che negano con forza quanto asserito da Masi nel tentativo di screditare la sua attendibilità. Certo è che lo stesso Masi, dopo aver deposto al processo per la mancata cattura di Provenzano, verrà ascoltato come testimone al processo sulla trattativa Stato-mafia, proprio per riferire su quegli episodi da lui denunciati.
Il prossimo 15 ottobre il gip di Roma deciderà se accogliere la richiesta di rinvio a giudizio per diffamazione (formulata dalla Procura capitolina) nei confronti dei marescialli Saverio Masi e Salvatore Fiducia, del loro legale Giorgio Carta e di otto giornalisti che si sono occupati della vicenda Masi. Secondo la Procura di Roma nella conferenza stampa del 15 maggio 2013, indetta dai legali di Masi e Fiducia, (in cui si è discusso delle loro denunce), sarebbero stati formulati giudizi “lesivi della reputazione del colonnello Gianmarco Sottili, indicato nominativamente, e di altri tre ufficiali in servizio presso il nucleo investigativo di Palermo, Fabio Ottaviani, Michele Miulli e Stefano Sacricca”. I giornalisti indagati sono accusati di aver riportato le dichiarazioni definite diffamatorie.


Nel frattempo Saverio Masi è in attesa della sentenza della Cassazione (prevista per il prossimo 30 ottobre) in un processo che lo riguarda dal sapore letteralmente “kafkiano”. Come è noto nel 2013 il M.llo Masi è stato condannato per falso materiale e truffa a sei mesi dalla corte d’Appello di Palermo per una vicenda legata ad una contravvenzione. Secondo l’accusa, dopo essere stato multato, avrebbe cercato di farsi togliere la multa, producendo una relazione in cui si attestava che al momento dell’infrazione era in servizio con l’auto privata, secondo la tesi accusatoria avrebbe apposto la falsa firma del superiore sotto la relazione. Una ricostruzione del tutto artefatta, per altro smentita dai fatti. Ma che inspiegabilmente è stata avallata dalla Corte di Appello. Accanimento giudiziario nei confronti di un teste scomodo? Tentativo di “colpirne uno per educarne cento”? Al momento non ci sono risposte definitive e la partita è decisamente aperta.
“Continuo a nutrire piena fiducia nel maresciallo Masi – ha dichiarato lo scorso 6 settembre il pm Di Matteo –. Se mai, personalmente, mi sembra singolare che mentre, come è noto, a Palermo si cerca di verificare la fondatezza delle sue denunce, un'altra autorità giudiziaria incrimini per diffamazione gli autori delle suddette denunce e perfino i difensori e i giornalisti che le hanno rese note”.
Davanti alla Prefettura di Palermo diversi esponenti della “Scorta Civica”, alcuni venuti appositamente dal nord Italia, hanno tenuto alti i loro cartelli per manifestare la loro vicinanza. Tra i presenti anche la poetessa siciliana Lina La Mattina e Luciano Traina, fratello dell'agente di scorta di Paolo Borsellino Claudio Traina. Appena ripresosi da un delicato intervento è venuto anche Vincenzo Agostino, accanto a lui sua moglie Augusta. Nel portare la sua solidarietà ad “un uomo di Stato” Vincenzo Agostino ha evidenziato la gravità di un Paese che tende ad emarginare “chi osa scoperchiare certe pentole che devono rimanere chiuse”.

Foto © ACFB

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