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carceri6Le deposizioni di Calabria e Cristella
di Miriam Cuccu - 11 luglio 2014
È del 26 giugno '93 la nota del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che consigliava vivamente al ministro Conso di non prorogare più di trecento provvedimenti di 41 bis per i boss mafiosi “per creare un clima positivo di distensione nelle carceri”. Il documento porta la firma dell'allora capo del Dap Adalberto Capriotti. Le strade di Capaci e via D'Amelio erano già saltate in aria l'anno prima, e solo il mese precedente la strage di via dei Georgofili aveva ucciso cinque civili, tra cui due bambine. Sta di fatto che nel novembre del 1993 (dopo le bombe scoppiate anche a Roma e Milano) il ministro Giovanni Conso lasciò decadere il carcere duro per 334 detenuti.
“Ancora oggi non ho memoria di come siano andate le cose” ha commentato Andrea Calabria, ex direttore dell'ufficio detenuti, il primo dei due testimoni sentiti questa mattina al quarto processo per la strage di via D'Amelio, “sul piano della valutazione politica del ministro non so nulla, quali siano state le sue decisioni e quale influenza abbia avuto la valutazione tecnica”. In merito alla nota in questione, però, la trasmissione “di appunti al capo di gabinetto era un mezzo di comunicazione normale tra il Dap e il ministro, ce n'erano tanti, si rappresentavano anche informazioni rilevanti dal punto di vista politico”. La direzione del dipartimento era composta, in quegli anni, inizialmente da Nicolò Amato e Edoardo Fazzioli, dal '93 da Capriotti e Francesco Di Maggio, con il quale “non ero assolutamente in sintonia” perchè “lavorava senza sistema”, e quando arrivò al Dap “lasciò tutti un po' perplessi perchè non aveva nessuna esperienza del settore penitenziario”, mentre “Amato – che sul 41bis aveva presentato una corposa relazione – si era espresso in maniera negativa nei confronti della normativa” in quanto era contrario “a quel tipo di regime, che avrebbe voluto sostituire con norme diverse”.

Il segnale “per creare un clima positivo di distensione nelle carceri” riportato dalla nota, ha precisato Calabria, “aveva a che fare con la situazione interna alle carceri perchè l'estensione del 41bis ad un numero notevole di detenuti aveva creato una serie di problemi anche a livello di gestione tecnica... di spazio, di personale”, senza contare “gli scontri a Pianosa tra i detenuti e il personale”. Il risultato, però, è stato ad ogni modo la cosciente decisione di non prorogare per oltre trecento detenuti che ricoprivano posizioni apicali all'interno delle organizzazioni mafiose, tra cui capifamiglia e capimandamento. “Il ministro ha deciso così” ha ribadito l'ex direttore dell'ufficio detenuti. Il 29 ottobre, appena prima che Conso desse il suo benestare per la revoca dei 41bis, la Procura di Palermo ricevette una nota nella quale si chiedeva un parere per prorogare o meno il carcere duro per i 334 detenuti per i quali il regime penitenziario sarebbe scaduto il 2 novembre. “Noi non sapevamo più come fare – ha detto Calabria – emettere il 41bis per un soggetto che veniva dalla libertà era abbastanza semplice... cosa diversa era la proroga: quando avevamo un soggetto già detenuto applicato al regime restrittivo e questo scadeva c'era bisogno di elementi più circostanziati per poter procedere al rinnovo... questo ci ha costretto a chiedere, man mano che i decreti arrivavano a scadenza, informazioni ai servizi centrali, alla polizia, ai carabinieri, alle procure” anche perchè, ha poi sottolineato “il problema proveniva da una formulazione generica del 41bis”, tanto che “nel corso dell'applicazione c'erano stati mille problemi che abbiamo dovuto affrontare, giurisprudenziali e non solo”. “Questa genericità della norma sembrava dare al ministro una discrezionalità molto ampia” ha commentato.
Di seguito è stato ascoltato dalla Corte d'Assise di Caltanissetta Nicola Cristella, allora capo scorta di Francesco Di Maggio. Parlando del periodo immediatamente successivo alle stragi, Cristella ha riferito che questo “comportò una movimentazione più ampia dei compiti del dottor Di Maggio, che non si fermava mai” e ci fu “un periodo di agitazione” in merito alla questione del rinnovo dei 41bis: “Mi parlò di un politico siciliano di nome Mannino”, “credo che facesse pressioni affinchè tramite un giro di conoscenze si arrivasse a non rinnovare i 41bis”. L'ex capo scorta ha poi riferito che Di Maggio frequentava assiduamente “il dottor Ganzer (generale Giampaolo Ganzer, ndr) il dottor Mori (l'allora generale del Ros Mario Mori, ndr) e il maggiore Bonaventura (Umberto Bonaventura ex Sisde, ndr)”. E in merito alla nomina di Di Maggio al Dap: “Credo che l'abbia voluto il Presidente della Repubblica (all'epoca Oscar Luigi Scalfaro, ndr) perchè in quel periodo diverse volte lo accompagnai al Quirinale, credo che l'indirizzo venisse da lì”.
Il processo è stato rinviato al prossimo lunedì, 14 luglio.

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