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dellutri-cassazione-condannaL'ex senatore condannato a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu - 9 maggio 2014

Dopo diverse ore di Camera di Consiglio il verdetto dei giudici della Prima sezione penale, presieduta da Maria Cristina Siotto, è infine arrivato: Marcello Dell'Utri è stato condannato definitivamente a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, come richiesto dal pg Aurelio Galasso nella sua requisitoria. É oggi verità giudiziaria il fatto che Dell'Utri, già dagli anni Sessanta e Settanta, portò negli uffici della Edilnord a colloquio con l'amico Silvio Berlusconi il boss Stefano Bontade. Alla presenza anche di altri soggetti appartenenti all'associazione mafiosa, Dell'Utri divenne il “mediatore” tra la mafia siciliana e l'impero economico dell'amico imprenditore, prolungando i suoi rapporti dal 1986 con l'ascesa di Totò Riina e dei corleonesi all'insegna del reciproco interesse fino al 1992.
Questa volta i giudici hanno ritenuto ben motivata la sentenza d'appello. Il pg di Cassazione Aurelio Galasso, sollecitando il rigetto del ricorso presentato dalla difesa contro la sentenza emessa, in sede di rinvio, aveva spiegato come la stessa, emessa il 25 marzo dello scorso anno, avesse “risposto adeguatamente” ai rilievi che la Cassazione aveva messo in luce nel 2012. Il pg ha ritenuto provata la responsabilità di Dell'Utri per gli anni compresi tra il 1974 e il 1992. Per gli anni successivi all'anno 1992, invece, l'ex senatore è già stato assolto.

“Per diciotto anni, dal 1974 al 1992, Marcello Dell'Utri è stato garante dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra -
 ha detto Galasso - In quel lasso di tempo siamo in presenza di un reato permanente". Infatti, ha ricordato il pg, la Cassazione, con la sentenza del 2012 con cui aveva disposto un processo d'appello-bis per Dell'Utri, “aveva precisato che l'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra, con la mediazione di Dell'Utri c'è stato, si è formato nel 1974 ed è stato attuato volontariamente e consapevolmente”. Sul periodo compreso tra il 1974 e il 1977 “si è così formato un giudicato”.
Il rinvio agli atti alla Corte d'appello di Palermo, per “carenza di motivazione” riferita agli anni tra il 1978 e il 1982, quando Dell'Utri si allontanò dall'area imprenditoriale berlusconiana per lavorare alle dipendenze di Filippo Rapisarda, secondo il Pg è quindi superata in quanto "questo e' vero formalmente ma in sostanza l'attività per Rapisarda dura poco piu' di un anno, poi Dell'Utri, in realtà, riprende a collaborare con Berlusconi come faceva prima, continuando a mantenere rapporti con esponenti mafiosi e la Corte d'appello ha dimostrato che in quei quattro anni i pagamenti sono continuati, e con le stesse modalità. Dell'Utri dava i soldi a Gaetano Cinà, che poi li consegnava. Non c'e' mai stata interruzione né prima né dopo l'omicidio di Bontade. Sul punto vi è una dichiarazione diretta che descrive le modalità di pagamento e due dichiarazioni 'de relato'".
Inoltre, ha aggiunto nella sua requisitoria “anche per il periodo tra il 1983 e il 1992 è provato l'elemento materiale del reato ed i pagamenti sono continuati”.

Una vicenda lunga e travagliata, quella dell'ex senatore e fondatore del partito di Forza Italia. Conclusasi proprio a ridosso della scadenza per la prescrizione, che sarebbe arrivata il prossimo 30 giugno. E culminata, ad appena pochi giorni di distanza dallo scorso 15 aprile (giorno in cui la Cassazione si sarebbe dovuta pronunciare in merito alla condanna per concorso esterno) con la sua 'latitanza lampo'.

Dell'Utri, infatti, anticipando una richiesta di custodia cautelare avanzata dal pg Patronaggio, il quale evidenziava un concreto pericolo di fuga per l'imputato, si era reso irreperibile. Pochi giorni dopo era stato individuato in un hotel di lusso a Beirut, nel quale si trovava per sedicenti 'motivi di salute'. Una mossa che ha comportato una notevole complicazione per le procedure a carico dell'ex senatore. Inutile il ricorso contro l'ordinanza di custodia cautelare in carcere disposta dalla Corte d'Appello di Palermo, avanzata dai due legali difensori: secondo i giudici c'era infatti “la deliberata volontà di fuga”, poichè “emerge amplissima la sussistenza della eccezionale portata delle ravvisate esigenze cautelari - scrivono - che a fronte di una programmata e dunque deliberata volontà di fuga consentono di ritenere le esigenze cautelari 'di un non comune, spiccatissimo e allarmante rilievo' tale da superare il divieto di custodia cautelare per gli ultrasettantenni”. Proprio pochi giorni fa, ha comunicato il ministro Orlando, il governo ha richiesto l'estradizione per Dell'Utri, per la quale il 12 giugno scade il tempo limite, concludendosi il mese che le leggi libanesi prevedono prima dell'inevitabile scarcerazione. Le carte che confermano la condanna si aggiungono dunque a quelle inerenti la richiesta di estradizione dal Libano per Dell'Utri, che ha seguito l'epilogo della vicenda processuale da Beirut.

La storia processuale
Già il primo processo, iniziato il 5 novembre del 1997 davanti al Tribunale di Palermo presieduto da Leonardo Guarnotta, si era concluso solo l'11 dicembre del 2004 con la condanna: nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa (più due anni di libertà vigilata, l'interdizione perpetua dai pubblici uffici e il risarcimento per le parti civili, il Comune e la Provincia di Palermo). Nelle motivazioni della sentenza veniva evidenziato come vi fosse “la prova che aveva promesso alla mafia precisi vantaggi in campo politico e, di contro, vi è la prova che la mafia, in esecuzione di quella promessa, si era vieppiù orientata a votare per Forza Italia nella prima competizione elettorale utile e, ancora dopo, si era impegnata a sostenere elettoralmente l'imputato in occasione della sua candidatura al Parlamento europeo nelle file dello stesso partito, mentre aveva grossi problemi da risolvere con la giustizia perchè era in corso il dibattimento di questo processo penale”.

Solo nel 2010, il 16 aprile, ha inizio il secondo grado innanzi alla Corte di appello, presieduta da Claudio Dall'Acqua. Il 19 giugno viene rivista in parte la condanna, che viene così ridotta a sette anni (a fronte degli 11 anni richiesti dal procuratore generale Antonio Gatto). Non vi sarebbero prove infatti, a parere dei giudici, di rapporti tra Dell'Utri e la mafia dal 1992 in poi.
La motivazione parla espressamente di “amichevoli rapporti” mantenuti da Dell'Utri negli anni “con coloro che erano gli aguzzini del suo amico e datore di lavoro”. E “che gli consentivano di porsi in diretto collegamento con i vertici della potente mafia siciliana”: prima Stefano Bontade, il più influente esponente dell'epoca, e poi Salvatore Riina.
Nell'incontro che ha avuto luogo negli uffici della Edilnord , prosegue il documento, Stefano Bontade “si impegnò personalmente ad assicurare con la sua indiscussa autorità mafiosa indicando a Berlusconi proprio l'imputato (Dell'Utri, ndr) per ogni eventuale futura esigenza”, “e contestualmente stabilendo che avrebbe mandato o comunque incaricato specificamente qualcuno che gli stesse vicino”. Quel qualcuno altri non era che Vittorio Mangano. Non lo “stalliere” di Arcore, ma una solida garanzia contro il pericolo dei sequestri.
In cambio l'imprenditore aveva iniziato a versare importanti somme di denaro all'associazione mafiosa, e in particolare viene evidenziato “il tema dei pagamenti avvenuti per la cosiddetta 'messa a posto' relativa alle antenne televisive che Fininvest avrebbe cominciato a gestire iniziando ad acquisire nel palermitano alcune emittenti Tv”.

All'inizio degli anni Ottanta, “anche dopo la morte di Bontade, nell'aprile del 1981 e l'ascesa in seno all'associazione mafiosa di Riina”, Dell'Utri “ha mantenuto i suoi rapporti con Cosa Nostra specificamente adoperandosi, fino agli inizi degli anni '90, affinché il gruppo imprenditoriale facente capo a Silvio Berlusconi continuasse a pagare cospicue somme di denaro a titolo estorsivo in cambio di 'protezione' a vario titolo assicurata”. Questo grazie al rapporto con Antonino Cinà e Vittorio Mangano, “due esponenti mafiosi in contatto con i vertici di Cosa Nostra i quali hanno accresciuto nel tempo il loro peso criminale proprio in ragione del fatto che l'imputato ha loro consentito di accreditarsi come tramiti per giungere a Silvio Berlusconi, destinato a diventare uno dei più importanti esponenti del mondo economico-finanziario del paese, prima di determinarsi anche verso un impegno personale in politica”.
Tale condotta, tuttavia, dopo il 1992 non è provato dal pagamento da parte di Silvio Berlusconi “delle somme richiestegli a favore di Cosa Nostra”, “difettando invece elementi certi per affermare che ciò sia avvenuto anche negli anni successivi ed in particolare dopo la strage di Capaci e nel periodo in cui, dalla fine del 1993, l'imprenditore Berlusconi decise di assumere il ruolo a tutti noto nella politica del Paese”. Mancando dunque “prove inequivoche e certe di concrete e consapevoli condotte di contributo materiale ascrivibili a Marcello Dell'Utri”, non sarebbe provato neppure il “patto elettorale” tra le cosche e Forza Italia, ai tempi della “discesa in campo” del Cavaliere.
Non si può nemmeno escludere, però, che durante “la fine del 1993 e i primi mesi del 1994, in concomitanza con la nascita del partito politico di Forza Italia … all'interno di Cosa Nostra maturò diffusamente la decisione di votare per la nuova formazione così come confermato da tutti i collaboratori di giustizia esaminati al riguardo”.

Accogliendo il ricorso della difesa di Dell'Utri, e annullando così in parte la sentenza di appello, il 9 marzo 2012 davanti alla quinta sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Aldo Grassi, viene spiegato che risulta”probatoriamente dimostrato” il comportamento di Dell'Utri “di rafforzamento dell'associazione mafiosa fino a una certa data, favorendo i pagamenti a Cosa nostra di somme non dovute da parte di Fininvest”. È però da dimostrare “l'accusa di concorso esterno per il periodo in cui il senatore di Forza Italia lasciò Fininvest per andare a lavorare per Filippo Alberto Rapisarda, tra il 1977 e il 1982. Dopo il quale – aveva stabilito la Cassazione – i rapporti sarebbero proseguiti, ma senza la prova che ci fosse tra le parti un “reciproco interesse”. Su questo aspetto, la Cassazione aveva disposto un nuovo giudizio davanti a una diversa sezione della Corte di Appello di Palermo, quella presieduta da Raimondo Lo Forti, che si è pronunciata il 25 marzo dello scorso anno confermando l'esistenza del concorso esterno per Dell'Utri negli anni '77/'82.

Il nuovo processo d'Appello si era aperto il 18 luglio del 2012. Durante la sua requisitoria il pg Luigi Patronaggio ha ribadito come il contributo esterno a Cosa Nostra fornito da Dell’Utri “si protrae ben oltre il 1992”. “La condotta di Marcello Dell’Utri non può limitarsi a un concorso a un’estorsione – aveva sottolineato –. Ma parliamo di due condotte che si esplicano attraverso la mediazione di un’estorsione da un lato e dall’altro attraverso la funzione di garanzia delle attività di Berlusconi protette e agevolate da Cosa nostra. Dell’Utri ha agito per un fine personale ben preciso giovandosi anche della vicinanza con Vittorio Mangano. Dell’Utri, se non avesse avuto alle spalle la potenza di Cosa nostra avrebbe fatto all’interno di Fininvest la scalata che ha fatto? Da oscuro impiegato di banca sarebbe andato a capo di Publitalia? Senza questo ‘valore aggiunto’ di Cosa nostra l’imputato dove sarebbe arrivato? Che carriera politica poteva fare?”. Anche gli attentati a Silvio Berlusconi e alla Standa negli anni Ottanta e Novanta si inserivano “nell’ottica di un rapporto complesso tra i due. La tensione e le pressioni costanti su Berlusconi permettono a Dell’Utri di uscirne rafforzato sia nella sua posizione di garanzia nei confronti dell’amico, che nei confronti della mafia per la sua posizione di mediatore”. Sugli attentati a danno dell’allora imprenditore Berlusconi “i pentiti parlano di interventi ai massimi livelli mafiosi per fare cessare gli attentati, il nome che fanno è quello di Marcello Dell’Utri”. Il pg aveva poi ricordato come, secondo i collaboratori di giustizia, della vicenda si interessarono anche i “palermitani” e in particolare Totò Riina “perché non si poteva fare uno sgarro a Dell’Utri”, che avrebbe pagato “tre milioni al mese di pizzo per la Standa”.

Ripercorrendo i fatti inerenti gli anni che vanno dal '78 al 1982 il pg aveva dichiarato che “c'era continuità dei rapporti fra l’imputato e il duo Bontade-Teresi, rapporti coltivati con il dichiarato fine di proteggere i familiari e le attività economiche di Silvio Berlusconi, da un lato, e dall’altro, di permettere a Cosa Nostra ragguardevoli guadagni, costituiti dalle ‘regalie’ per la protezione, elargiti generosamente da Silvio Berlusconi nonché di permettere alla stessa organizzazione di rafforzarsi sulla piazza milanese, di intrecciare rapporti con il mondo della finanza e dell’imprenditoria anche al fine di riciclare e reinvestire gli enormi profitti derivanti dalla imponente attività di traffico internazionale di sostanze stupefacenti che, in quegli anni, quella organizzazione svolgeva fra il Medio Oriente, l’Europa e gli Stati Uniti”. In questo periodo, lavorando per l’imprenditore Filippo Alberto Rapisarda Dell'Utri “continuava ad intrattenere rapporti con Teresi e Bontade per affari di vario tipo, anche illeciti, quali quelli legati al reimpiego di capitali mafiosi”.

Il nome di Dell'Utri era una garanzia: lo stesso Berlusconi “sapeva” che per ogni problema relativo ai rapporti con Cosa Nostra “poteva fare affidamento all’imputato Dell’Utri come è avvenuto, non solo per le minacce subite nel ’74, ma anche in relazione all’attentato del 1975, con riferimento all’attentato del 1986, alle rinnovate pressioni di Cosa Nostra nel 1988” e, a parere di Patronaggio, anche con riferimento agli attentati alla Standa di Catania del 1990. “Il rapporto tra Dell’Utri e Costa Nostra – aveva ribadito il pg – non solo non si è mai interrotto, ma è stato la continuazione dell’adempimento di quello scellerato patto concluso nel ’74 e rinnovato nell’86 ad opera di Salvatore Riina”. Mentre in precedenza, ha illustrato il procuratore generale, erano i boss Giovanni Battista e Ignazio Pullarà della famiglia di Villagrazia, mandamento di Santa Maria di Gesù (lo stesso di Bontade e Teresi), i referenti di Dell’Utri, dal 1986 Riina “volle prendere in mano quella situazione, anche per finalità ‘politiche’, in relazione alla notoria amicizia che legava Berlusconi al Presidente Craxi”. Secondo Patronaggio è stato ugualmente accertato che Dell’Utri “sollecitando l’amico e coimputato Cinà, riscriveva i termini dell’accordo con Cosa Nostra, facendo pagare qualcosa in più in termini economici all’amico imprenditore ma rilanciando, anche sotto il profilo dello scambio politico-mafioso, un patto ancora più forte con Cosa Nostra”. E i contatti, anche dopo il '92, erano proseguiti: “Come ignorare i provati incontri fra l’imputato e Vittorio Mangano alla vigilia delle elezioni del 1994 – si è chiesto Patronaggio –. Ed ancora, come ignorare le pesantissime indicazioni del collaboratore di giustizia Spatuzza Gaspare circa i rapporti fra l’imputato e i temibilissimi fratelli Graviano alla vigilia del fallito attentato al Foro Italico?”.

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