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mannino-calogero-big2La procura chiede al Gup di acquisire nuovi atti e documenti
di Lorenzo Baldo - 8 maggio 2014
Palermo. “Sono malati di testa!”. E’ un Calogero Mannino furibondo quello che è presente oggi in aula mentre ascolta – da imputato – le richieste di acquisizione documentale da parte dei pm Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi. Il processo stralcio sulla trattativa Stato-mafia si celebra con rito abbreviato davanti al Gup Marina Petruzzella. Seduto in ultima fila l’ex ministro democristiano più volte si lascia sfuggire imprecazioni rivolte alla Procura di Palermo. Poco lontano da lui Salvatore Borsellino lo osserva in silenzio. Il primo a prendere la parola è il pm Roberto Tartaglia. “I primi atti di cui chiediamo l’acquisizione riguardano il cosiddetto ‘Corvo due’, otto pagine anonime, che descrivevano complessivamente l’instaurazione di un canale di comunicazione (in seguito ed a causa dell’omicidio di Salvo Lima) tra esponenti politici (tra cui Mannino) e i vertici di Cosa Nostra, pagine inoltrate a 39 destinatari (tra cui giornalisti, magistrati e altre figure istituzionali), anonimo che fu scritto certamente a cavallo tra il 23 maggio ‘92 (posto che si parli espressamente della strage di Capaci) e il 19 luglio del 1992 (posto che l’anonimo fu indirizzato, tra gli altri, proprio a Paolo Borsellino)”.

Il pm sottolinea che di questo anonimo viene chiesta l’acquisizione  “al fine di provare la ricezione in sé dell’anonimo, il periodo di redazione e i destinatari cui fu indirizzato”. Tartaglia specifica quindi l’importanza di acquisire la copertina del fascicolo della procura di Palermo n. 356 del ‘92, dalla quale si evince che proprio Paolo Borsellino era stato delegato, insieme al collega Vittorio Aliquò, alla trattazione delle indagini scaturite da quell’anonimo. “Si tratta di un elemento di prova necessario – spiega il magistrato –, perché intendiamo dimostrare che proprio di queste indagini il dottor Borsellino si occupò concretamente dalla fine di giugno ‘92 fino al giorno della sua morte”. A tal proposito viene chiesta ugualmente l’acquisizione della trascrizione della deposizione dibattimentale resa al processo Mori dall’ex tenente Carmelo Canale “al fine di dimostrare che l’incontro investigativo urgente con gli imputati Mario Mori e Giuseppe De Donno che fu richiesto dal dott. Borsellino nell’ultima settimana del giugno ’92 proprio per discutere del ‘Corvo 2’, e non per approfondire l’andamento dell’indagine cosiddetta mafia-appalti”. Sempre in merito al “Corvo2” viene chiesta l’acquisizione di un altro blocco di documenti per fornire la prova dell’atteggiamento “in contrasto radicale con lo sforzo investigativo della Procura di Palermo, serbato da alcuni Ufficiali del Ros, in particolare dall’ex generale Antonio Subranni, in relazione a questo anonimo”. Si tratta di due lanci Ansa del 2 luglio 1992 e di un biglietto dello stesso Subranni, indirizzato all’allora procuratore della Repubblica di Palermo, Pietro Giammanco. “Caro Piero – scriveva l’ex ufficiale del Ros – ho piacere di darti copia del comunicato dell’Ansa sull'anonimo delle otto pagine. La valutazione collima con quella espressa da altri organi qualificati. Buon lavoro, affettuosi saluti Antonio”. Il comunicato allegato recitava così – Roma 2 luglio: “Sono illazioni ed insinuazioni, affermano dal comando generale dei carabinieri riportando valutazione degli organi operativi che stanno valutando il documento, (Ros e Sco) che possono solo favorire lo sviluppo di stagioni velenose e disgreganti. Oggi si può responsabilmente affermare – proseguiva la nota – che talune situazioni, affermazioni, appaiono talmente assurde e paradossali da evidenziare il modo addirittura puerile con cui si cerca di delegittimare gli esponenti politici siciliani e nazionali nel documento indicato”. Il pm chiede ugualmente che venga acquisita la nota ufficiale del 3 ottobre 1992, firmata sempre dall’ex gen. Subranni e indirizzata alla Procura di Palermo (in particolare al dottor Aliquò, titolare delle indagini), in cui lo stesso ex generale rinnova il giudizio di “inattendibilità” e di “pericolosità” sul contenuto dell’anonimo ma soprattutto chiede con insistenza – ed assumendosene espressamente e personalmente la responsabilità – l’archiviazione del procedimento penale relativo al “Corvo2”.

L’ombra della “Falange Armata”
Il secondo nucleo di atti di cui viene chiesta l’acquisizione  riguarda la questione delle rivendicazioni della “Falange Armata” che di fatto hanno accompagnato quasi tutti gli episodi di “violenza o minaccia alle Istituzioni”. A tal proposito viene chiesta altresì l’acquisizione della sentenza “Scalone”. “Si tratta di sentenze che è necessario acquisire – sottolinea Tartaglia – per la ricostruzione analitica e puntuale che in quel processo fu fatta della  attività, enigmatica quanto rilevante, che fu svolta sotto la sigla della ‘Falange Armata’, un’attività costituita da rivendicazioni e da messaggi intimidatori che, tra il 1991 e il 1993, furono firmate con la sigla ‘Falange Armata’”. Il pm spiega quindi l’importanza di riprendere specifiche dichiarazioni di alcuni importanti collaboratori di giustizia come Filippo Malvagna, Giuseppe Pulvirenti, Maurizio Avola e Gioacchino Pennino che a suo tempo hanno ampiamente descritto gli incontri “preparatori” e le riunioni tenutesi nelle campagne di Enna tra l’autunno del ‘91 e il febbraio del ’92. In quelle riunioni la Commissione regionale di Cosa Nostra aveva preso atto del venir meno delle “garanzie politiche fino a quel momento accordate” e aveva quindi predisposto la strategia stragista come risposta immediata. Di fatto in quelle riunioni era stato deciso che quella strategia sarebbe stata materialmente eseguita da Cosa Nostra, ma sarebbe stata rivendicata attraverso la sigla della “Falange Armata” (cosa che poi è effettivamente avvenuta nel biennio stragista ‘92/’93). Per rimarcare ulteriormente l’importanza di questo tema il pm sottolinea che non solo le relative rivendicazioni degli attentati, ma anche i messaggi di minaccia e intimidazione firmati da questa sigla “seguono un calendario che per tempi e per destinatari è perfettamente, integralmente sovrapponibile ai fatti che costituiscono oggetto dei nostri capi di imputazione: dalle minacce a Vincenzo Scotti, a Claudio Martelli e al Dap di Nicolò Amato, fino alla nota di compiacimento espresso dalla Falange Armata per la sostituzione dei vertici dello stesso Dap, con l’insediamento di Adalberto Capriotti e Francesco Di Maggio, avvicendamento che costituisce un momento fondamentale dell’impostazione accusatoria”. Per Roberto Tartaglia la sigla della “Falange Armata” fornisce quindi “una dimostrazione di unitarietà e di identità del complessivo disegno di violenza e minaccia alle Istituzioni, perseguito anche da Cosa Nostra nel ‘92 e nel ‘93”. Ed è su questo stesso versante che viene richiesta l’acquisizione di altri due documenti attinenti. Si tratta del dispaccio Ansa del 15 marzo ‘92 dal titolo: “Lima: le indagini; si lavora in silenzio”, con riferimento alla rivendicazione dell'omicidio da parte della “Falange Armata” proprio tramite una telefonata all’Ansa. Di seguito viene chiesto di acquisire una nota della Questura di Bari relativa alla telefonata anonima effettuata il 5 aprile 1992 all’Ansa di Bari (lo stesso giorno dell’omicidio del Maresciallo Giuliano Guazzelli, considerato l’intermediario dell’interlocuzione politica attivata da Calogero Mannino). Telefonata effettuata da un sedicente appartenente alla “Falange armata” che aveva rivendicato l’omicidio di Guazzelli “con le stesse identiche e particolari parole che neanche un mese prima erano state utilizzate per Lima: ‘paternità politica e responsabilità morale’”. Tra i documenti per i quali è stata fatta richiesta di acquisizione anche diversi atti estratti dal processo al quale fu sottoposto Calogero Mannino per concorso esterno in associazione mafiosa (concluso con l’assoluzione). Tra questi anche alcune pagine dell’agenda del ‘92 del numero tre del Sisde, Bruno Contrada, nelle quali spicca più volte l’annotazione di riunioni e incontri, tenuti al Ministero, tra lo stesso Contrada, il Generale Subranni e l’allora Ministro Mannino, per discutere insieme della “situazione siciliana”. Ma anche altri atti e documenti vengono richiesti, tra cui l’esposto anonimo del 10 agosto 1993 (in cui per la prima volta veniva accostata “la strumentalità degli attentati del 93 all’alleggerimento del carcere duro”), così come alcune dichiarazioni di Totò Riina captate recentemente nel carcere di Opera.

Quel rapporto “monco”
Parlando dei legami tra Mannino e i vertici del Ros è il procuratore aggiunto Vittorio Teresi ad affrontare di seguito la questione del rapporto del Ros “mafia e appalti” che lo stesso Falcone aveva ricevuto “monco” dall’allora procuratore Pietro Giammanco. Quell’informativa era di fatto priva dei nomi degli esponenti politici di primissimo piano: Salvo Lima, Rino Nicolosi e lo stesso Calogero Mannino. “Si accerterà in seguito – spiega Teresi –  che quegli stessi vertici del Ros che avevano depositato l’informativa a Palermo avevano depositato un’altra versione della medesima informativa, questa volta però non mondata dei nomi dei politici, presso la Procura di Catania”.  “I medesimi vertici del Ros per molti mesi riescono a coprire, omissando il nome di Mannino dalla prima informativa, le possibili conseguenze giudiziarie del Mannino stesso in relazione a quella indagine”, sottolinea Teresi per il quale, tutto ciò, rappresenta la dimostrazione  della “consistenza notevole dei rapporti tra Mannino e i vertici del Ros”.

Un (ex) potente alla sbarra
In aula l’ex ministro Mannino rende dichiarazioni spontanee in linea con il personaggio che rappresenta: nega tutto, strumentalizza ipotetiche dichiarazioni in suo favore e attacca pesantemente chi ha osato processarlo. Resta il fatto che se il Gup Petruzzella acquisirà questa mole di materiale vi saranno indubbiamente più elementi per poter ricostruire lo scenario dell’epoca nel quale si è consumato il reato. Si potranno distinguere meglio i protagonisti di questa tragedia, i loro intermediari, i loro sottoposti e i loro collegamenti esterni. La presenza della “Falange Armata”, così come l’ombra del “Corvo2” (e non solo), sono del tutto complementari al “gioco grande” dentro il quale è maturato il patto tra Cosa Nostra e Stato. Di fatto il ruolo di Calogero Mannino, quale autore di “pressioni per un ammorbidimento del 41 bis”, all’interno della trattativa Stato-mafia, potrà essere scandagliato, in maniera approfondita, unicamente in questo processo. Quest’ultimo si interseca naturalmente con il processo madre che si sta celebrando davanti alla Corte di Assise di Palermo. All’udienza del 12 giugno prossimo il Gup deciderà sull’acquisizione proposta dalla Procura nei confronti della quale la difesa di Mannino si è opposta con forza.   

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