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alfano-dellutri-berlusconidi Lorenzo Baldo - 15 aprile 2014
Ma questo disgraziato Paese è ancora capace di indignarsi? Per uomini come don Ciotti dall’indignazione bisogna piuttosto passare al disgusto. Di notizie disgustose il nostro Paese è pieno. Il problema, se mai, è rappresentato da un intero popolo assuefatto all’obbrobrio. Partiamo dai "latitanti". Uno di questi fa il ministro dell’Interno e si chiama Angelino Alfano. Sabato 12 aprile quest’ultimo si sarebbe dovuto incontrare con il fratello di Paolo Borsellino. Quel giorno però il Ministro non si fa trovare al Viminale. Gli agenti della Digos affermano che è impegnato al congresso del Nuovo centrodestra, si scoprirà poi che, al termine del convegno, lo stesso Alfano si rivela un provetto ballerino insieme ai suoi compagni di merende. Di fatto il Ministro sbatte in faccia la porta a Salvatore Borsellino venuto a chiedere risposte esaustive sull’effettiva messa a disposizione dell’apparecchio anti-bomba “jammer” per il magistrato condannato a morte da Riina, Nino Di Matteo.

Con il fratello di Paolo Borsellino ci sono centinaia di persone venute da tutta Italia per manifestare in difesa del pm Di Matteo e di tutti i magistrati minacciati dalla mafia. Tutti i mezzi di informazione – nessuno escluso – ignorano la manifestazione che si tiene in prossimità del Ministero dell’Interno e soprattutto ignorano la mancanza di rispetto istituzionale che si consuma attraverso l’assenza di Alfano. Indignazione? Neanche a parlarne. Figuriamoci il disgusto. Cambiamo longitudine e latitudine e trasferiamoci in Libano dove un condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione mafioso latita davvero. Dopo un iter giudiziario quanto meno paradossale l’ex dirigente d’azienda, nonché braccio destro di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, viene finalmente arrestato a Beirut (ma perché è stato così semplice scappare?). Comincia quindi il tira-e-molla sull’estradizione. “Tratta e vinci” direbbe Sabina Guzzanti, così come recita il titolo del suo prossimo film sulla trattativa Stato-mafia. In effetti a trattare si esce vincenti. Il condannato in concorso esterno in associazione mafiosa, già senatore della Repubblica, grazie al sistema giudiziario libanese, “vince” e si fa attendere. In questo caso chi deve aspettare è l’autorità giudiziaria italiana. Quanto tempo passerà prima di rivederlo in Italia? Impossibile da stabilire. Contemporaneamente la Suprema Corte di Cassazione che fa? Recepisce appieno le istanze degli avvocati difensori di Dell’Utri, a loro dire impossibilitati a presenziare all’udienza odierna al Palazzaccio (uno si fa ricoverare per un’operazione d’urgenza, l’altro accusa un’artropatia al ginocchio sinistro), e fa slittare al 9 maggio la sentenza definitiva a carico del sodale dell’ex premier, con tutti i relativi rischi legati alla prescrizione che questo rinvio può comportare. Dal canto suo il condannato per frode fiscale, Silvio Berlusconi, nonostante continui ad essere una persona “socialmente pericolosa”, a fronte del fatto che mostri “un’insofferenza del colpevole alle regole dello Stato poste a tutela dell’ordinamento e della civile convivenza”, viene affidato ai servizi sociali per espiare la sua condanna definitiva. Di fatto si tratta di una pena residua di un anno per la condanna definitiva a quattro anni di reclusione (di cui tre coperti da indulto). Lo stesso Berlusconi, co-fondatore di Forza Italia (non dimentichiamo che tra i soci di “maggioranza” ci sono i condannati Cesare Previti e lo stesso Dell’Utri), si prepara impunemente a partecipare attivamente alla campagna elettorale del suo partito per le elezioni europee e, soprattutto, continua ad incontrarsi con il premier Matteo Renzi per discutere di riforme e per mantenere quel “patto” relativo al voto sulla riforma del Senato. Di fronte a questo scempio della democrazia il popolo italiano tace. Probabilmente perché la sua stragrande maggioranza si riflette in questo specchio osceno. Nel frattempo il Pd, dopo aver strumentalizzato e gettato al vento specchiate personalità come Sonia Alfano o Beppe Lumia, acquisisce tra i propri  candidati alle elezioni europee il giurista palermitano Giovanni Fiandaca, noto per le sue posizioni ostili contro il pool che indaga su quella trattativa che lui stesso definisce “legittima”. E’ decisamente troppo, anche per chi non è debole di stomaco. Ultima osservazione: tutto questo accade a pochi giorni dalla decisione della Cassazione (prevista per venerdì 18 aprile) sull’istanza di rimessione avanzata dai legali di alcuni imputati al processo sulla trattativa Stato-mafia (gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno) che puntano a far spostare da Palermo la sede del dibattimento, di fatto azzerando il processo stesso. Serve altro alla parte sana di questo Paese per fare uno scatto di indignazione?

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