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arcangioli-giovanni«Esiste una foto dove si vede un ufficiale dei carabinieri che si allontana da via d'Amelio pochi minuti dopo lo scoppio della bomba reggendo la borsa di Paolo Borsellino». Per un attimo rimango in silenzio. Ma poi torno alla carica. «E chi sarebbe questo carabiniere?». «Giovanni Arcangioli, nel '92 aveva il grado di capitano». Sono gli ultimi mesi del 2004 quando ricevo questa segnalazione da una persona decisamente attendibile che conosciamo da diversi anni. Gli chiedo altri dettagli. Voglio vederci chiaro. «La foto è custodita dal fotografo palermitano Franco Lannino». La conversazione finisce lì. Dopo una rapida consultazione in redazione telefono al funzionario della Dia di Caltanissetta Ferdinando Buceti. Il vice questore si occupa delle nuove indagini sui mandanti occulti nelle stragi del '92 sotto il coordinamento della procura nissena. Non mi interessa fare alcun tipo di “scoop” per Antimafia Duemila. La precedenza va all'autorità giudiziaria. Punto.

Buceti prende nota per poter verificare gli elementi ricevuti. Nel frattempo mi accorgo che Giovanni Arcangioli è lo stesso ufficiale che nell'estate del 2004 ha freddato a Roma il serial killer Luciano Liboni, soprannominato «il lupo»*. Un osso duro, Arcangioli, che nel frattempo è diventato tenente colonnello. Successivamente il funzionario della Dia scopre da riscontri incrociati che il 19 luglio 1992 risulta confermata la presenza di Arcangioli in via d'Amelio. Ma è il secondo passo quello determinante. In una sorta di «irruzione» vera e propria cinque agenti della Dia piombano nello studio dal fotografo Franco Lannino. Devono visionare il suo archivio. Subito. La cartellina delle immagini della strage di via d'Amelio viene analizzata minuziosamente fotogramma per fotogramma. La foto del carabiniere che regge la valigetta di Borsellino esce fuori dall'album. E' stata scattata tra le 17,20 e le 17,30 del 19 luglio 1992. E' lui. E' Giovanni Arcangioli, all'epoca comandante della sezione Omicidi del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Palermo. Il reperto fotografico viene acquisito immediatamente dall'autorità giudiziaria. E' la prova documentale della segnalazione giunta in redazione. La macchina investigativa ha acceso i suoi motori.

Inizia la maratona
E' l'alba del 27 gennaio 2005 quando parto per Roma. L'appuntamento è per le ore 11 agli uffici della Dia. La verbalizzazione ufficiale della nostra segnalazione sulla fotografia di Arcangioli è prevista per quella mattina. L'indicazione fornita telefonicamente poche settimane prima al dott. Buceti viene trascritta in un verbale che confluisce nel fascicolo sulla scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino. In quel momento l'opinione pubblica ignora ancora la notizia del ritrovamento della foto. Ma è solo questione di un paio di mesi. Il 26 marzo l'Unità pubblica un articolo a firma di Marzio Tristano. Il ritrovamento della foto del carabiniere con la valigetta di Paolo Borsellino diventa di dominio pubblico. Da un dispaccio Ansa del 19 maggio si scopre che Giovanni Arcangioli è stato interrogato un paio di settimane prima per una foto che lo ritrae con in mano la borsa del giudice Borsellino. Domenica 5 febbraio 2006 le agenzie diramano la notizia che la Dna ha segnalato alla procura di Caltanissetta l'esistenza di un vecchio verbale del 1998 di Giuseppe Ayala sul ritrovamento della borsa del giudice Borsellino. I dispacci riportano che Ayala e Arcangioli sono stati sentiti sul punto specifico dall'autorità giudiziaria. Passano solamente quattro ore e le agenzie battono la notizia di un nuovo interrogatorio di Giovanni Arcangioli previsto nei giorni successivi. Ed è nella data di martedì 8 febbraio che quell'interrogatorio avviene negli uffici romani della Dia. Quello stesso giorno viene sentito nuovamente anche Giuseppe Ayala. I due verranno messi a confronto e le rispettive versioni non coincideranno. Inizia così una sfida a colpi di memoria. Giocata su più tavoli. Primi vagiti di un depistaggio. Consapevole o non. Ma di certo non innocente. Cinque mesi dopo, nell'edizione delle ore 20, il Tg1 trasmette un servizio di Maria Grazia Mazzola sulla strage di via d'Amelio. Per la prima volta in assoluto un canale nazionale, nell'edizione di punta del proprio telegiornale, manda in onda il video di quel frangente. Nel filmato il capitano dei carabinieri avanza spedito reggendo in mano la borsa di cuoio di Borsellino. Dietro di lui si intravedono le auto in fiamme e i pompieri che si affannano a spegnerle. La telecamera insiste implacabile sull'ufficiale. Ma è questione di pochi secondi. Con grandi falcate Arcangioli esce dal quadro delle riprese allontanandosi da via d'Amelio. Riparte il filmato, questa volta a rallentatore. Il volto del carabiniere non tradisce alcuna emozione. La valigetta è stretta nella sua mano destra. Poi più nulla. Nel servizio l'intera vicenda viene sintetizzata sotto la scure dei tempi televisivi. Ma è la novità di quel video ad attirare tutta l'attenzione. La consacrazione definitiva a livello pubblico della scomparsa dell'agenda rossa è avvenuta. Nell'immaginario collettivo la figura di colui che preleva la valigetta di Paolo Borsellino ha finalmente un volto, un corpo e un'anima.

La pietra tombale
“Etica è innamorarsi del destino degli altri e Palermo è uno dei pochi luoghi etici rimasti in questo Paese perchè si è costretti a scegliere: o stai con gli assassini, oppure no, o stai da una parte oppure dall'altra, anche se poi è difficile vivere questa scelta”. Un cielo grigio avvolge la città di Caltanissetta. Ripenso a quelle parole pronunciate diversi anni fa da Roberto Scarpinato, attuale procuratore generale di quella città, mentre mi dirigo verso il palazzo di giustizia. E' il 24 febbraio 2006, alle ore 11 è prevista la mia audizione come persona informata sui fatti. L'inchiesta sulla scomparsa dell'agenda rossa procede in un percorso a ostacoli. Il procuratore capo Francesco Messineo e l'aggiunto Renato Di Natale si fanno ripetere sostanzialmente tutto l'iter della segnalazione giunta in redazione. Passano poi agli approfondimenti. Ma l'interrogativo che pesa maggiormente nella sala riunioni della procura nissena riguarda l'identificazione della «fonte». Il procuratore intende sapere se quella segnalazione provenga da ambienti «istituzionali» o meno. Ribadisco ai magistrati la provenienza «non istituzionale» della segnalazione. Sono però costretto a ricorrere al «segreto professionale» sull'identità dell'autore per una precisa volontà dello stesso. Messineo e Di Natale non battono ciglio e procedono alla verbalizzazione. Sabato 25 febbraio il quotidiano la Repubblica anticipa l'iscrizione nel registro degli indagati di Giovanni Arcangioli per false dichiarazioni al pubblico ministero. La miccia è stata accesa. E' come se una scintilla cominciasse a percorrere un lungo filo prima di arrivare all'esplosivo. Non passa nemmeno un mese e i difensori di Arcangioli chiedono di spostare la competenza dell'indagine a Roma. Secondo i legali il reato ipotizzato sarebbe stato commesso a Roma e di conseguenza i giudici naturali sarebbero quelli della Capitale. La procura di Caltanissetta oppone un fermo rifiuto in quanto i reati sarebbero stati commessi nel territorio di competenza della procura nissena. Un braccio di ferro che termina con un risultato a favore della procura. L'inchiesta resta a Caltanissetta. Il fascicolo in cui si ipotizza il reato di furto resta a carico di ignoti; l'ufficiale dei carabinieri viene iscritto nel registro degli indagati per false dichiarazioni ai pm. Nel mese di ottobre del 2006 si conclude l'indagine su Arcangioli.  Da quel momento attorno al caso della sparizione dell'agenda rossa si apre una danza schizofrenica a suon di carte giudiziarie. Il 3 novembre del 2006 i pm titolari dell'inchiesta, Renato Di Natale e Rocco Liguori, chiedono per l'ufficiale dei carabinieri una prima archiviazione. L'istanza viene rigettata dal Gip Ottavio Sferlazza che, il 21 luglio 2007, ordina di integrare il quadro probatorio con ulteriori accertamenti. Il 28 settembre 2007 una nuova richiesta di archiviazione da parte della procura nissena viene depositata in cancelleria. Poche pagine che racchiudono tra le righe una piccola nota in fondo al testo che apre ulteriori scenari. «Da indagini parallele in altro procedimento penale – si legge nel documento – emergeva comunque come la borsa (di Paolo Borsellino, nda) fosse stata consegnata al Dr. Giovanni Tinebra il giorno dopo l'attentato dal Dr. Arnaldo La Barbera». Il 5 novembre il Gip rigetta nuovamente la richiesta di archiviazione e ordina un supplemento di indagine. Il 14 gennaio 2008 viene reiterata dalla procura la terza richiesta di archiviazione. Il giorno 1° febbraio 2008 il Gip impone ai Pm l'iscrizione nel registro degli indagati di Giovanni Arcangioli con l'accusa di furto pluriaggravato. Nell'ordinanza il Gip Sferlazza illustra una per una le gravi contraddizioni emerse nelle dichiarazioni di Arcangioli mettendole a confronto con le testimonianze di Giuseppe Ayala, altrettanto altalenanti, così come con quelle di Vittorio Teresi. «Contrariamente all'assunto del ten. col. Arcangioli – si legge nel documento – a nessuno dei magistrati presenti, chiamati in causa dal predetto ufficiale, fu affidata, anche temporaneamente, la borsa in questione». «L'allora capitano Arcangioli - che in un determinato contesto spazio-temporale certamente si trovò ad operare da solo - rimase per un apprezzabile lasso di tempo nella disponibilità della borsa, come documentalmente provato dai fotogrammi che lo ritraggono con la borsa in mano nell'atto di allontanarsi fin quasi l'incrocio con Via Autonomia Siciliana dove la telecamera cessa di inquadrarlo». Secondo il Gip Giovanni Arcangioli si allontana «ingiustificatamente di ben 60 metri dalla zona maggiormente interessata dall'esplosione (portineria e cratere) e dai rilievi in corso». Per Ottavio Sferlazza la direzione di marcia dell'ufficiale sembra piuttosto «funzionale all'esigenza di allontanarsi da quello spazio per controllare personalmente la presenza dell'agenda lontano da occhi indiscreti e per farla sparire, affidandola ad altri o nascondendola in una autovettura parcheggiata nei pressi, per poi fare ritorno verso via d'Amelio dove la borsa potè essere agevolmente riposta nell'autovettura del Dr. Borsellino ma ormai priva del suo prezioso documento». In totale antitesi con le registrazioni video che lo smentiscono in pieno Arcangioli aveva invece detto di essersi spostato «sul lato opposto della via d'Amelio rispetto alla casa del Dr. Borsellino» dove avrebbe aperto la borsa per esaminarne il contenuto. Per il Gip di Caltanissetta «appare evidente che, fallito clamorosamente il tentativo di precostituirsi una prova “autorevole” e “tranquillizzante” proveniente da fonte qualificata - costituita dalla asserita verifica da parte dei magistrati presenti, nell'immediatezza del prelievo della borsa dall'autovettura e sotto il loro controllo visivo, dell'assenza di una agenda all'interno della borsa stessa - all'Arcangioli, ripreso dalle telecamere in quell'atteggiamento univocamente indiziante, non rimaneva che negare di “avere mai superato, portando la borsa, il cordone di polizia che sbarrava l'accesso alla via d'Amelio”». Sferlazza sottolinea che in realtà c'era una sorta di corridoio libero che non era sbarrato da alcun cordone di polizia e che comunque per Arcangioli, munito di distintivo al petto, non era certo difficile attraversare quel tratto di strada per dirigersi verso la via Autonomia Siciliana «dove certamente sostavano molte autovetture di servizio in cui ben potè operare indisturbato, e fare poi ritorno in via d'Amelio senza destare alcun sospetto». Il Gip nisseno definisce «alquanto singolare» che il capitano Arcangioli non abbia redatto alcuna relazione di servizio «su un episodio di indubbia rilevanza investigativa, quale il rinvenimento di una borsa appartenuta al Dr. Borsellino», nemmeno «l'asserita consegna della borsa ai magistrati presenti […] avrebbe giustificato l'omessa redazione di una annotazione di servizio su un episodio tanto significativo». Nel documento viene riportata la dichiarazione di un superiore di Arcangioli, il ten. col. Marco Minicucci il quale, sul punto specifico, sottolinea che «sarebbe stato normale per un ufficiale che preleva la borsa che era contenuta nell'auto di Paolo Borsellino immediatamente dopo la strage redigere una relazione di servizio». Ma Arcangioli misteriosamente non redige alcun rapporto. Per il Gip «non può dubitarsi della esistenza dell'agenda all'interno della borsa né della attribuibilità al solo Arcangioli, almeno in una prima fase, di una condotta di sottrazione della stessa». Sferlazza evidenzia le circostanze dei diversi ritrovamenti della borsa di Paolo Borsellino all'interno della sua auto. La prima persona che recupera la borsa «sul sedile posteriore» è l'agente di scorta di Giuseppe Ayala, Rosario Farinella. Successivamente l'ispettore Francesco Paolo Maggi asserisce di averla trovata «sul pianale posteriore dietro il sedile passeggeri». I due diversi ritrovamenti costituiranno i pilastri del mistero che ruota attorno alla scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino. Secondo il Gip nisseno la sparizione dell'agenda «va collocata in una fase certamente precedente all'intervento dell'ispettore Maggi ed appare chiaramente ascrivibile all'ufficiale dell'Arma dei carabinieri Arcangioli Giovanni». «E quale altra funzione – scrive Sferlazza nell'ordinanza – può avere avuto la successiva ricollocazione della borsa all'interno dell'autovettura se non quella di consentirne un successivo recupero, dopo averla fraudolentemente privata di quel documento approfittando della confusione che regnava in quella fase concitata e confidando sul fatto che il successivo repertamento della stessa avrebbe destato ben minori sospetti rispetto ad un suo eventuale e definitivo mancato rinvenimento?!». (segue)

Tratto da: “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino” (Bongiovanni-Baldo ed. Aliberti)

*Luciano Liboni è stato ucciso materialmente dall’appuntato dei carabinieri Alessandro Palmas del Nucleo Operativo di via in Selci comandato all’epoca dal maggiore Giovanni Arcangioli

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