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strage-capaci-bigPerquisizioni in tutta Italia
di AMDuemila - 16 aprile 2013
Importante operazione nell'ambito delle indagini sulla strage di Capaci. In manette sono finite otto persone, mai sfiorate dalle inchieste, tra boss e gregari della cosca di Brancaccio, con perquisizioni in diverse città d'Italia. Le nuove indagini si sono basate in particolare sulle dichiarazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, che hanno consentito di fare emergere il ruolo della famiglia mafiosa di Brancaccio nella preparazione e nell'esecuzione dell'attentato in cui persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.
In azione decine di agenti della Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta, sotto il coordinamento del procuratore nisseno Sergio Lari. Tra i destinatari degli ordini d'arresto anche il capomafia Salvo Madonia, già detenuto al carcere duro. L'ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal gip di Caltanissetta Francesco Lauricella su richiesta del procuratore aggiunto Domenico Gozzo e dai sostituti Onelio Dodero e Stefano Luciani, è stata notificata anche ad altre sette persone, tutte già detenute.

Tra loro Cosimo D'Amato, un pescatore di Santa Flavia (Palermo), finito in manette nel novembre scorso su ordine dei pm di Firenze che indagano sulle stragi mafiose del '93. Secondo gli inquirenti toscani avrebbe fornito l'esplosivo utilizzato per gli attentati di Roma, Firenze e Milano. E la nuova accusa dei pm nisseni è quella di aver procurato alle cosche anche il tritolo usato per l'eccidio di Capaci. D'Amato avrebbe recuperato l'esplosivo da residuati bellici che erano in mare. Gli altri arrestati sono Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello, tutti in carcere già da tempo, con condanne pesanti per reati di mafia ed omicidio.
Ad oltre vent'anni di distanza nuovi fatti vengono così alla luce su quel terribile attentato. Nel corso dei processi fin qui celebrati mai nessuno aveva parlato di questo commando. I duecento chili di tritolo vennero aggiunti agli altri duecento di esplosivo per le cave (Euranfo 70) procurati da Giovanni Brusca e sistemati con la consulenza del cugino di Brusca, che con gli esplosivi aveva a che fare proprio nelle cave, e Pietro Rampulla, estremista di destra esperto di esplosivi. "Ricordo che un mese e mezzo prima della strage di Capaci, Fifetto Cannella mi chiese di procurargli una macchina voluminosa, per recuperare delle cose - racconta Spatuzza - Ci recammo pertanto con l'autovettura di mio fratello nella piazza Sant'Erasmo di Palermo, dove incontrammo Peppe Barranca e Cosimo Lo Nigro, e dove avremmo dovuto incontrare Renzino Tinnirello, il quale però tardò ad arrivare. Ci recammo quindi a Porticello, ove trovammo un certo Cosimo, ed assieme a lui ci recammo su un peschereccio attraccato al molo, da dove recuperammo dei cilindri delle dimensioni di 50 centimetri per un metro legati con delle funi sulle paratie della barca. Al loro interno vi erano delle bombe". Adirittura durante lo spostamento verso Palermo i boss trovarono un posto di blocco senza essere fermati. "Una volta arrivati a casa di mia madre - prosegue il pentito - in cortile Castellaccio, scaricammo i bidoni all'interno di una casa diroccata di mia zia, che si trova a fianco". Il giorno dopo, i "cilindri" furono spostati in un magazzino di Brancaccio dove "cominciammo la procedura tagliando la lamiera dei cilindri con scalpello e martello ed estraendo il contenuto". Un'operazione rumorosa tanto che per concluderla furono costretti a trasferirsi in un magazzino della zona industriale di Brancaccio dove aveva sede la ditta di trasporti "Val. Trans.", dove Spatuzza lavorava come autista. "L'esplosivo che macinavamo era solido, di colore tra giallo chiaro e panna. Lo macinavamo schiacciandolo con un mazzuolo, lo setacciavamo con lo scolapasta sino a portarlo allo stato di sabbia" prosegue nella descrizione. E poi conclude: "L'esplosivo non bastò. Ci recammo a prelevare altri due bidoni alla Cala, sempre legati a un peschereccio".
In particolare gli inquirenti affermano di avere "squarciato il velo d'ombra nel quale erano rimasti alcuni personaggi, mai prima d'ora sfiorati dalle inchieste sull'eccidio di Capaci". "Con quest'ultima indagine - ha aggiunto il procuratore Sergio Lari - riteniamo di aver fatto una ricostruzione completa della fase organizzativa della strage del 23 maggio 1992. E non sono emerse responsabilità di soggetti esterni a Cosa nostra".

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