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falange-armatadi Aaron Pettinari - 9 marzo 2013
E' un nuovo capitolo quello che si sta aprendo con l'indagine bis sulla trattativa Stato-mafia che venne messa in atto nel terribile biennio '92-'93. Secondo gli inquirenti a dialogare con i boss per porre fine a quella stagione di sangue non furono solo politici e uomini dell'Arma, rinviati a giudizio appena due giorni fa, ma anche agenti dei Servizi segreti. Non è escluso che nell'elenco del registro degi indagati possa già essere finito qualche nome, come quello di un ex dirigente dell'intelligence italiana che aveva contatti con l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica nelle scorse settimane il pool formato dai pm Di Matteo, Teresi, Del Bene e Tartaglia ha  inviato gli agenti della Dia di Palermo a recuperare negli archivi del palazzo di giustizia di Roma gli atti del processo a uno dei telefonisti della Falange Armata.

Il sospetto che le due inchieste, quella sulla misteriosa organizzazione che proprio nel '92-'93 rivendicava gli attentati e quella sulla trattativa Stato-mafia, possano avere più di un punto di contatto. I nomi che sarebbero in qualche modo tirati in ballo sono gli stessi, come quello dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino che secondo la Procura sarebbe stato a conoscenza degli incontri fra gli ufficiali del Ros e l’ex sindaco Ciancimino. A quanto pare il 9 settembre ’92, uno dei telefonisti della Falange Armata avrebbe chiamato l’Ansa di Torino per lanciare una serie di critiche contro Mancino. Mentre in giugno, sempre all'Ansa, erano giunte dalla stessa organizzazione delle minacce di morte nei confronti dell'allora ancora ministro Vincenzo Scotti. Ed era proprio quello il mese in cui a Roma si stavano prendendo decisioni sulla sua sostituzione agli Interni. Semplice coincidenza o c'è dell'altro? Anche nell'aprile 1993 la Falange torna a farsi sentire con l'Ansa di Roma, stavolta per minacciare il presidente della Republica Scalfaro (già minacciato da una lettera anonima di alcuni familiari di boss) e Mancino. Erano quelli i giorni in cui si discuteva il possibie ammorbidimento del 41 bis per i mafiosi. Secondo la tesi dei pm Scalfaro decise di allentare la pressione carceraria, cosa che avvenne con la rimozione di Nicolò Amato, sostituito da Adalberto Capriotti nel ruolo di direttore del Dap. “Caso” vuole che proprio Falange Armata, in una telefonata del 14 giugno, parlò della sostituzione come una vittoria della stessa organizzazione. Ma le minacce nei confronti degli uomini delle istituzioni furono continue come quella del 19 giugno contro Mancino ed il capo della Polizia Parisi, oppure quella del 16 settembre contro Capriotti ed il suo vide Di Maggio. Fibrillazioni e tensioni volti, secondo l'ipotesi investigativa, sempre volte a portare avanti un dialogo con lo Stato. E in quel periodo al ministero della Giustizia si discuteva sulla proroga o meno del carcere duro nei confronti di 400 mafiosi. Alla fine l'allora Guardasigilli Conso, indagato che ai pm parlò di “un'iniziativa presa in autonomia”, decise di non prorogare.
Anche il pentito Filippo Malvagna ha rivelato in passato che “alla riunione di Enna in cui si decise la strategia delle stragi Falcone e Borsellino si disse di rivendicare tutti gli attentati con la sigla Falange Armata”. Tanti piccoli aspetti che ora la procura di Palermo vuole porre sotto la lente di ingrandimento.

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