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mancino-nicola-big2di Aaron Pettinari - 1° febbraio 2013
“L'ultimo destinatario del 'papello' di Toto' Riina era Nicola Mancino”. Lo ha detto in aula il pentito di mafia Giovanni Brusca deponendo all'udienza preliminare nel procedimento per la trattativa tra Stato e mafia in corso a Palermo. Brusca, che viene sentito per ragioni di sicurezza in trasferta, nel carcere romano di Rebibbia, è stato citato dal gup Piergiorgio Morosini che nell'ultima udienza ha disposto integrazioni probatorie. Il “papello”, secondo Brusca, ma anche secondo Massimo Ciancimino, sarebbe un foglio contenente le richieste avanzate da Cosa nostra allo Stato per fare terminare, dopo la strage di Capaci, la strategia stragista della mafia.

Nicola Mancino è tra i dieci imputati dell'udienza preliminare, con l'accusa di falsa testimonianza. Alla sbarra anche lo stesso Brusca ma anche il generale Mario Mori e Marcello Dell'Utri. L’ex boss di San Giuseppe Jato ha poi confermato con assoluta certezza che Riina gli avrebbe parlato del papello con le richieste della mafia allo Stato “dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D’Amelio. Mi disse che le nostre condizioni non erano state accettate, e che era necessario dare un altro colpetto. In questo contesto – dice Brusca - Riina fece il nome di Mancino”. Da parte sua l'ex ministro ha replicato : “Nel periodo in cui ho rivestito la carica di ministro dell’Interno non ho mai ricevuto alcuna richiesta da parte di chicchessia in ordine a un eventuale alleggerimento del contrasto dello Stato”.
Nella sua deposizione il collaboratore di giustizia non ha risparmiato neanche l'ex ministro Dc Calogero Mannino: “Dopo la strage di Capaci in cui vennero uccisi il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta Cosa nostra voleva uccidere gli ex ministri Carlo Vizzini e Calogero Mannino”. “Nel 1992 – continua - Totò Riina, tramite Salvatore Biondino, mi diede l’incarico di uccidere Calogero Mannino, ma poi l’incarico mi venne revocato”. Secondo i magistrati l’incarico venne revocato perché Mannino, sentendosi appunto in pericolo dopo l’omicidio Lima, sarebbe stato tra i protagonisti della trattativa tra Stato e mafia per fare cessare la strategia stragista di Cosa nostra. La posizione dell'ex ministro è stata stralciata e sarà processato col rito abbreviato il prossimo 20 marzo.
Brusca ha ripercorso quanto accaduto negli anni confermando il movente del delitto Lima nel marzo del 1992, a poche settimane dalle elezioni politiche del 5 aprile del 1992.
“L'omicidio Lima dipese dall'esito del maxiprocesso. Riina voleva che Andreotti intervenisse sulla Cassazione per aggiustarlo e quando si capì che tutto era perduto si eliminò Lima per dare un segnale politico ad Andreotti. - ha detto l'ex boss - Riina sosteneva che visto che si doveva eleggere il capo dello Stato l'omicidio Lima avrebbe indebolito Andreotti. Anzi, si discuteva anche di eliminare Sebastiano Purpura (ex deputato regionale della Dc)”. E in riferimento alle elezioni del 1992 Brusca ha aggiunto: “Nell'aprile '92 non avevamo preferenze politiche e neppure indicazioni. Volevamo solo distruggere la corrente andreottiana”. Il pentito ha poi parlato della cattura di Riina, definito suo “maestro d'arte”, e dei rapporti tra quest'ultimo e Bernardo Provenzano.
“Dopo l'arresto di Riina ci venne il dubbio che a farlo arrestare non fosse stato solo il pentito di mafia Balduccio Di Maggio”. I boss ipotizzarono addirittura che l'ala più morbida dell'organizzazione mafiosa fosse intervenuta e avesse “consegnato” il boss. “Provenzano non voleva continuare le stragi. Riina era più diretto, Provenzano tendeva a mediare” - ha raccontato al giudice. Quando Brusca disse al boss Leoluca Bagarella delle titubanze di Provenzano a proseguire con le stragi, il capomafia gli avrebbe risposto: “Digli di mettersi un cartello con scritto che con le stragi non c'entra”. Il pentito ha inoltre ricordato alcuni contrasti tra Riina e Provenzano: il primo rimproverava al secondo di essere troppo manovrato da Vito Ciancimino. “Provenzano accondiscendeva alla politica gestionale e imprenditoriale di Ciancimino, mentre Riina in certi casi non le condivideva”, ha riferito Brusca, aggiungendo che Riina criticava “la politica di Ciancimino, che riusciva a manovrare Provenzano e invece con lui non ci riusciva”.
Brusca ha anche parlato di Pino Lipari, arrestato nel 2007 e oggi pentito, che nel 2010 aveva reso dichiarazioni sui presunti contatti tra Cosa nostra e rappresentanti delle istituzioni, come uomo “molto vicino a Bernardo Provenzano e a Vito Ciancimino”. Lipari, interrogato tre anni fa dai pm di Palermo Nino Di Matteo e Antonio Ingroia affermò di aver discusso del “papello” con Vito Ciancimino, durante un incontro all'hotel Plaza di Roma. Intanto il Gup Piergiorgio Morosini ha rinviato al prossimo 12 marzo, sempre a Rebibbia, gli interrogatori del dichiarante Paolo Bellini, ex Primula nera, e del Prefetto Gianni De Gennaro. Bellini doveva essere ascoltato oggi a Rebibbia, insieme con Giovanni Brusca, mentre l'ex capo della polizia avrebbe dovuto deporre il 12 febbraio a Palermo.

Non ancora distrutte le intercettazioni Napolitano-Mancino
Intanto a Palermo il gip Riccardo Ricciardo si è preso ancora tempo fino alla settimana prossima per decidere sulla distruzione dei file con le intercettazioni delle telefonate tra lo stesso Mancino e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’istanza in questo senso era stata presentata dalla Procura dopo la sentenza della Corte costituzionale che dava ragione al Quirinale nel conflitto di attribuzione sollevato proprio sulla questione intercettazioni.