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Il maxiprocesso, il più importante processo di mafia, trae la propria origine da un'intercettazione. Lo racconta anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia nel suo libro “C'era una volta l'intercettazione'', perché se è vero che i pilastri sui quali si fondava l'impianto di quel processo erano le rivelazioni dei pentiti della "prima generazione", e in particolare quelle di Tommaso Buscetta,  fu proprio un'intercettazione ad indirizzare le indagini sul boss dei due mondi, successivamente pentito. “Una fortunata e importante intercettazione telefonica che ne fece cogliere ancor meglio lo spessore criminale e il ruolo nevralgico in Cosa Nostra, nel pieno della guerra di mafia scatenata dai corleonesi di Riina e Provenzano nei primi anni '80. Era il 1981, in piena guerra di mafia, - si legge nel libro - quando i poliziotti mettono sotto controllo Ignazio Lo Presti, ingegnere palermitano con parentele eccellenti, essendo sposato con una cugina di Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori siciliani, ricchissimi imprenditori e uomini d'onore, grandi elettori della DC, che saranno poi inquisiti e arrestati da Giovanni Falcone. Ed è proprio durante l'intercettazione del telefono di Lo Presti che vengono ascoltate alcune telefonate intercontinentali, che sono delle vere e proprie richieste di soccorso, SOS che partono da Palermo, da Lo Presti, per conto dei cugini Salvo, e giungono oltreoceano, in Brasile. All'altro capo del filo c'è un uomo che viene chiamato convenzionalmente "Roberto", ma che si scopre essere in realtà proprio Tommaso Buscetta, al quale viene caldamente chiesto di tornare in Sicilia. La guerra di mafia impazza e bisogna schierarsi. Solo lui, col suo carisma – gli dicono – può fermare la furia omicida dei corleonesi. Buscetta capisce che non è aria per lui, che la guerra è persa, che i corleonesi, i più sanguinari e "tragediatori" di tutti, hanno ormai cambiato il volto di Cosa Nostra e prevarranno. Perciò, rifiuta la proposta di tornare e di mettersi a capo di coloro i quali sono destinati a diventare "i perdenti", le famiglie mafiose facenti capo a Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Rosario Spatola, Salvatore Inzerillo e così via. Ma quella telefonata è come un flash, un improvviso fascio di luce che investe Buscetta, ne evidenzia l'importanza e il ruolo, ne contrassegna la localizzazione. Ecco allora che gli investigatori moltiplicano gli sforzi per arrestarlo, alla fine riuscendovi. Ed è da quell'arresto che inizia tutto, il terremoto giudiziario da cui nascerà quel che venne dopo”.

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