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di Giorgio Bongiovanni e Anna Petrozzi - 4 marzo 2011
“Non erano previsti i morti per le stragi. Ne a Firenze ne altrove”. Parole di Gaspare Spatuzza all’udienza del 9 febbraio scorso al processo a Francesco Tagliavia per le stragi del ’93.




Danni collaterali quindi quei corpi dilaniati dal tritolo o menomati per sempre, errori di calcolo dovuti a circostanze sfortunate, come una pattuglia di vigili troppo vicina all’obiettivo.
Un atroce dettaglio di cui i familiari delle vittime e l’opinione pubblica vengono a conoscenza solo ora, 18 anni dopo, un piano preciso di cui invece polizia e Commissione parlamentare antimafia sapevano già dal settembre 1993.
Questa volta non è questione di pentiti, a cantare è un documento scritto, protocollato e timbrato. “Protocollo 123G/731462/10/I-3. Roma, 11/9/1993”. “Oggetto: Attentati verificatisi a Roma, Firenze e Milano. Per quanto di interesse si trasmette appunto riservato concernente gli attentati”. Firmato su foglio intestato SCO, con il timbro della Commissione antimafia che attesta “arrivato il 14/9/1993”, dal “direttore del servizio”. Il contenuto è un’altra delle postume rivelazioni istituzionali di fronte alle quali si fatica a trattenere lo sdegno.
«Nel corso di riservata attività investigativa – si legge - funzionari del servizio hanno acquisito notizie fiduciarie di particolare interesse sull´attuale assetto e sulle strategie operative di Cosa nostra». Dopo l’attentato a Costanzo «i successivi attentati non avrebbero dovuto realizzare stragi - così scrivevano gli investigatori dello Sco capitanati al tempo da Nicola Simone, con Antonio Manganelli e Alessandro Pansa come bracci destri - ponendosi invece come tessere di un mosaico inteso a creare panico, intimidire, destabilizzare, indebolire lo Stato, per creare i presupposti di una "trattativa", per la cui conduzione potrebbero essere utilizzati da Cosa nostra anche canali istituzionali».
Eccolo qui che finalmente appare in un documento ufficiale il termine che sta ai politici della prima repubblica come l’acqua santa al diavolo: “Trattativa”. Nel settembre del 1993, quindi quattro anni prima che Giovanni Brusca ne parlasse durante l’udienza del processo stragi, già si sapeva che l’ “Obiettivo della strategia delle bombe sarebbe quello di giungere a una sorta di trattativa con lo Stato per la soluzione dei principali problemi che attualmente affliggono l´organizzazione: il "carcerario" e il "pentitismo"».
Esattamente le stesse identiche parole che i collaboratori avrebbero usato molto tempo dopo, lì a fare la muffa negli archivi, a dir poco inutili, dell’Antimafia allora guidata da Luciano Violante che, tanto per non rimanere fuori dal patetico coro dei “non so, non sapevo e non ricordo” con cui si sono finora spalleggiati l’un l’altro gli ipocriti di Stato, fa spallucce e minimizza:
“Il documento, come tutti gli altri, non era certo perduto nei cassetti della commissione Antimafia. C'era il numero di protocollo ed era a disposizione, come ogni altro documento, di tutta la commissione e dei consulenti».
Qualcuno forse dovrebbe spiegargli che in qualità di Presidente, nel ’93, in piena emergenza stragi, avrebbe dovuto quanto meno affaticarsi un tantino a leggere e valutare quella nota, ma anche anni dopo come parlamentare, ex magistrato e cittadino, se l’avesse fatto, se ne sarebbe dovuto ricordare fosse solo perché quella parolina “trattativa” è stata per anni l’unico indizio possibile alla ricerca dei mandanti esterni di quello scempio che ha sconquassato il Paese ma che ha assicurato anche nuove poltrone, fino ad oggi.
E poi alla scoperta dell’acqua calda: «Quel documento - spiega Violante- segnala che la mafia aveva intenzione di trattare con lo Stato. E questa, come ho sempre sostenuto anche recentemente, è una strategia permanente di Cosa Nostra: cercare di trattare con i pubblici poteri mediante l'intimidazione oppure la corruzione».
E la domanda delle domande: “Qui si comunica che all'interno di Cosa Nostra c'era questo disegno. Il documento è allora importante per capire un'altra cosa: c'è qualcuno che ha risposto a questa strategia, oppure no? Gli accertamenti della commissione Antimafia, presieduta dal senatore Pisanu, e delle autorità giudiziarie si occuperanno anche di questo. E speriamo che sciolgano il dubbio». Peccato che se avesse fatto il suo dovere forse a questa domanda si sarebbe potuto rispondere vent’anni fa.
Ed è ormai fuor di dubbio che se un qualcuno ha risposto alle richieste di questa parte della trattativa, va ricercato all’interno di quelle istituzioni ostinatamente omertose che mercanteggiavano sotto banco le proroghe al 41 bis mentre innocenti cittadini morivano sotto le bombe mafiose.
Così gli italiani onesti che vogliono la verità su quel biennio del terrore si trovano costretti a scegliere tra pentiti che hanno avuto il coraggio di sciogliere esseri umani nell’acido ma che hanno paura di dire tutto quello che sanno, subito e completamente sul retroscena di quegli accordi infami e i silenzi e le risposte raffazzonate di questi signori, bugiardi, conniventi, oppure, nella migliore delle ipotesi, semplicemente incompetenti e inetti.
I magistrati di Palermo che da anni indagano sul contesto in cui si sono verificati gli omicidi di Falcone, Borsellino e sulle iniziali richieste di Cosa Nostra allo Stato hanno annunciato che acquisiranno questo nuovo documento, che appare come un’inaspettata conferma all’esistenza del famigerato “papello” consegnato da Massimo Ciancimino.
«Più si scava sulle stragi più emerge chiaramente che pezzi dello Stato italiano – ha dichiarato oggi il senatore del Pd Beppe Lumia, componente dell'Antimafia - sapevano già dal '93 che era in corso una trattativa tra Stato e mafia. E viene fuori che il termine trattativa era utilizzato in quegli anni dagli investigatori che cercavano di capire cosa ci fosse dietro la strategia di sangue di Cosa nostra». «Bisogna avere il coraggio e la libertà - aggiunge - di fare luce sulle morti di Falcone e Borsellino, ma anche sugli eccidi del '93 che vanno ascritti all'avvio della cosiddetta seconda Repubblica. Negare ormai la trattativa, come molti personaggi hanno fatto anche davanti all'Antimafia, è un'ipocrisia insopportabile»
Facciamo sue le nostre parole, mentre il nostro pensiero di solidarietà è dedicato a tutti i familiari delle vittime dei compromessi e dei ricatti mafiosi.


Mafia: Ciancimino, su trattativa spero si possa arrivare a una verità

4 marzo 2011
Palermo.
«Per ora nel rispetto verso i magistrati, una condotta sicuramente non molto adoperata in questo momento specialmente da parte delle istituzioni, preferisco il silenzio però spero vivamente che dopo gli sforzi fatti si possa arrivare a una verità. Sinceramente non so cosa potranno ancora raccontare ai famigliari delle vittime di quelle stragi...». Lo ha detto all'ADNKRONOS Massimo Ciancimino commentando la notizia, pubblicata oggi da 'Repubblicà, sul rapporto dello Sco inviato già nel '93 alla Commissione antimafia che parlava della strategia di cosa nostra volta a creare i presupporti per una trattativa tra i boss e una parte delle istituzioni. È stato proprio Massimo Ciancimino, nei mesi scorsi, a parlare della trattativa raccontando ai magistrati della Dda di Palermo, che hanno avviato un'inchiesta, quanto appreso dal padre, l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino. Il documento dello Sco sarebbe rimasto chiuso negli archivi della Commissione antimafia fino a poco tempo fa, quando è saltato fuori durante le indagini che Palazzo San Macuto sta conducendo sulle stragi del '92 e del '93.

Adnkronos


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