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di Aaron Pettinari
Prosegue la relazione introduttiva del giudice Pellino

I giudici della Corte d'assise d'appello, Presidente Angelo Pellino e a latere Vittorio Anania, hanno deciso di disporre nuovi accertamenti per valutare le condizioni fisiche di Massimo Ciancimino, uno degli imputati al processo trattativa Stato-mafia, e valutare la possibilità dello stesso di poter seguire il processo. Lo si è appreso oggi, durante seconda giornata d'udienza dedicata alla relazione introduttiva dei giudici. Lo scorso 29 aprile i difensori di Ciancimino jr, Roberto D'Agostino e Claudia La Barbera, avevano rappresentato uno stato di salute piuttosto grave, a seguito di un "ictus" che avrebbe colpito il loro cliente il mese scorso, ed avevo chiesto una perizia per "stabilire le capacità del Ciancimino di partecipare coscientemente al processo". Oggi la Corte ha sciolto la riserva dopodiché il Presidente ha proseguito la relazione, utile in particolare per i giudici popolari, sulle oltre cinquemila pagine della sentenza di primo grado del Presidente della Corte d'assise Alfredo Montalto.
Oltre a Ciancimino, accusato della calunnia compiuta ai danni di Gianni De Gennaro (in primo grado gli è costata una condanna ad 8 anni), e per concorso esterno in associazione mafiosa (assolto “perché il fatto non sussiste”), imputati con l'accusa di attentato a corpo politico dello Stato sono gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, l'ex senatore Marcello Dell'Utri e i boss Bagarella e Cinà (in primo grado pene comprese tra gli 8 ed i 28 anni di carcere). In primo grado erano state prescritte, come richiesto dai pubblici ministeri, le accuse nei confronti del pentito Giovanni Brusca. Mentre è stato assolto Nicola Mancino, imputato per falsa testimonianza.
Nella relazione di oggi il Presidente ha ripercorso le conclusioni dei giudici di primo grado sugli incontri tra i carabinieri del Ros e l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, proprio tramite il figlio, Massimo, nell'estate del 1992, cioè durante le stragi mafiose.
Il presidente della seconda Corte d'Assise d'Appello di Palermo ha ripercorso l'origine della "trattativa", un termine che per la prima volta è stato utilizzato dagli stessi carabinieri del Ros al processo sulle stragi di Firenze. Secondo gli uomini del Ros quel dialogo era finalizzato alla cattura cattura dei latitanti grazie al contributo di Ciancimino padre, ottenuto con la "mediazione" di Massimo; l'altra versione è proprio quella data dallo stesso don Vito, nei suoi interrogatori del '93-'94, e poi dal figlio, in innumerevoli e - ha sottolineato Pellino anche rilevando le conclusioni della Corte di primo grado sull'attendibilità del teste imputato - spesso contraddittorie audizioni condotte, dal 2009 in poi, dai pm di Palermo e Caltanissetta.
I Ciancimino avevano comunque sostenuto che quel contatto con i militari fosse stato effettuato per conoscere le loro condizioni per fare cessare le stragi.
A guardar bene anche il generale Mori aveva raccontato qualcosa di simile al processo di Firenze. “Ma signor Ciancimino - raccontava davanti a giudici fiorentini - , ma cos'è questa storia qua? Ormai c'è muro, contro muro. Da una parte c'è Cosa Nostra, dall'altra parte c'è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente?".
Secondo l'accusa con quel dialogo, che sarebbe iniziato su input di pezzi delle istituzioni (l'ex ministro Calogero Mannino, processato in abbreviato, è stato assolto in primo grado ed ora in attesa del giudizio d'appello) i militari avrebbero rafforzato i propositi stragisti dei capi di Cosa nostra, convinti che avrebbero potuto piegare lo Stato, dopo la sentenza del maxi processo del gennaio '92, prima con la strage di Capaci e poi anche con via D'Amelio e successivamente con le bombe in Continente del maggio-luglio 1993.
E’ ferma convinzione della Corte - si legge nelle motivazioni della sentenza - che senza l'improvvida iniziativa dei Carabinieri e cioè senza l'apertura al dialogo sollecitata ai vertici mafiosi che ha dato luogo alla minaccia al Governo sotto forma di condizioni per cessare la contrapposizione frontale con lo Stato, la spinta stragista meramente e chiaramente di carattere vendicativo riconducibile alla volontà prevaricatrice di Riina, si sarebbe inevitabilmente esaurita con l'arresto di quest'ultimo nel gennaio 1993”.
Per Subranni i Giudici di primo grado parlano del suo “ruolo di primo ideatore dell'istigazione al reato e per Mori del ruolo essenziale svolto per l'attuazione della condotta criminosa, nonché della personalità negativa emersa sia, specificamente, nella vicenda Bellini, sia, in generale, per il suo ‘modus operandi’”.
Sulle cosiddette "prove documentali" consegnate da Massimo Ciancimino, a riscontro della sua versione, alcune vere ed altre false, il giudice Pellino si è soffermato brevemente ("Sono di scarsa utilità, e non dico altro") mantenendo comunque la valutazione effettuata dai giudici di primo grado.
Rispetto alla sua testimonianza la Corte aveva parlato di "valore neutro" e rispetto al papello (l'elenco delle richieste presentato da Riina agli uomini delle istituzioni) veniva sottolineato come "può esistere ma non è quello consegnato dal figlio di Vito Ciancimino".
Proseguendo nella relazione il giudice è poi tornato sul più che discutibile operato del Ros, che non aveva nemmeno avvisato l'autorità giudiziaria di quegli incontri con Ciancimino padre e figlio. "Neanche al dottore Borsellino gli ufficiali del Ros, dopo il 25 giugno '92, fecero menzione dei loro incontri con Vito Ciancimino - ha continuato Pellino riferendosi ai due ufficiali del Ros - Un rapporto omissivo, quest'ultimo, volto a instaurare un dialogo diretto con i vertici di Cosa nostra. Altra omissione la mancanza di alcuna ricostruzione documentale sull'argomento. Né Mori né De Donno hanno mai redatto alcuna relazione di servizio riguardo agli incontri avuti con Vito Ciancimino, ex sindaco mafioso di Palermo. Né, tantomeno Subranni, comandante del Ros e diretto superiore dei due, pretese spiegazioni o chiarimenti. Di tutta questa attività - ha detto Pellino sempre citando la sentenza e riferendosi ai contatti tra i carabinieri e l'ex sindaco - non si sarebbe saputo nulla se Vito Ciancimino non avesse deciso di parlare con il procuratore Caselli al quale, comunque, Ciancimino diede la sua verità". Secondo la ricostruzione della sentenza "la prova della trattativa era la stessa accettazione, da parte dei vertici di Cosa nostra, Riina in testa, alla ricezione della proposta da parte dello Stato di discutere per far cessare le stragi". Il presidente Pellino ha poi ripercorso le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Salvatore Cancemi, Giovanni Brusca e Pino Lipari. Parlando di Cancemi e Brusca è stato ricordato che, pur dando atto di "criticità", complessivamente "dalle stesse motivazioni si evince che il nucleo originario delle dichiarazioni di Cancemi è rimasto sostanzialmente invariato nel tempo, nonostante le successive rimodulazioni" mentre per l'ex boss di San Giuseppe Jato "non vi sono ragioni per pervenire a pregiudiziali ragioni di inattendibilità del collaboratore nella ricostruzione di diversi fatti", alcuni con "riscontri straordinari" provenienti dalle intercettazioni del boss Riina (mentre era detenuto al carcere di Milano Opera).

L'incontro Mori-Violante e l'inattendibilità del generale
Proseguendo nella relazione Pellino ha anche ripercorso la vicenda degli incontri tra Mori e il Presidente della Commissione antimafia di allora, Luciano Violante. Nell'esaminare analiticamente la sentenza, il giudice ha ripercorso i passaggi che portarono la commissione a ricevere e poi a protocollare la richiesta di Ciancimino, presentata alla fine di ottobre 1992, di una audizione o di un incontro personale con Violante, poi rifiutata dal diretto interessato. In quella occasione Mori, secondo la lettura effettuata da Pellino, non avrebbe rivelato di avere un rapporto confidenziale con l'ex sindaco mafioso di Palermo. Nell'analisi del giudice Pellino la sentenza esclude la veridicità delle affermazioni di Mori e conferma l'attendibilità di Violante, che aveva detto di avere rifiutato una qualsiasi interlocuzione con quello che il presidente della Corte ha definito un "soggetto politico ampiamente compromesso con la mafia, già all'epoca dei fatti". Durante l'udienza odierna si è anche parlato della cosiddetta "trattativa minore" ovvero quella che ha visto l'interlocuzione con Paolo Bellini. Il processo proseguirà il prossimo 31 maggio.

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