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di Silvia Cordella - 1° marzo 2010
Lo sgomento del precipizio infinito in cui molte coscienze sono cadute restituisce l’immagine di un’antica era in cui ad essere diversa forse è solo l’ambientazione.





Per il resto tutto è rimasto pressoché immutato: le caste, la dilagante povertà, l’imbarbarimento delle coscienze e soprattutto la miseria dell’animo umano assuefatto dall’ego e dall’avidità personale.
In tutti questi anni di sviluppo scientifico abbiamo creduto di raggiungere grandi traguardi di democrazia e civiltà, oggi possiamo dire che l’evoluzione non è data dagli strumenti che la tecnologia concede ma dalla propensione personale ad essere migliori, rendendo alla società il “genio” che ogni individuo possiede. È l’abc della crescita e della convivenza sociale che è bene ricordare per riconsegnare a ogni valore il suo giusto significato. Un significato che forse mai come in questo momento ha perduto l’orientamento, stravolto nella sua storica essenza dal delirio dei tanti Cesare, Nerone, Erode… Menti turbate dalla loro stessa esaltazione che per sedere eternamente sul trono del potere offrono le loro anime al primo “diavolo” di turno. E oggi se questa Italia fosse Gerusalemme potremmo dire che la strage degli innocenti non è ancora finita e che troppi “profeti”, laici o religiosi che siano, vengono ancora  lapidati. Forse però qualcosa è cambiato, una parte di quel popolo che gridava “Barabba” oggi è in piazza a chiedere giustizia in un impeto di ribellione che nasce dal desiderio di libertà. Da anni all’asta c’è un principio sacrosanto: “La Legge è uguale per tutti” che a ogni cambio di guardia lo Stato vende al miglior offerente.  Un principio che ha segnato nel bene e nel male la storia di questo nostro disgraziato Paese che fra lutti, stragi, inganni e speranze si trova dopo diciotto anni ancora una volta ad un bivio fra un nuovo compromesso politico, sulla via dell’insabbiamento definitivo, e l’occasione di accettare verità pesanti che destabilizzerebbero i pilastri fondamentali di un organismo istituzionale intaccato fino ai massimi livelli dai parassiti del sistema criminale e della corruzione. Un cammino indubbiamente in salita che ridarebbe nel secondo caso la forza a quella parte di nazione onesta schiacciata dai devastanti effetti delle complicità politico – mafiose.  

Le stragi del ‘92

Per questo il lavoro delle procure antimafia di Palermo e Caltanissetta, impegnate sulla questione della cosiddetta “trattativa” l’una e la pista sui mandanti esterni della strage di via d’Amelio l’altra, è così importante.  E’ necessario ''capire quale rapporto c'e'stato tra la nascente Seconda Repubblica e le stragi del 1993 – ha ricordato ieri il Senatore del Pd Giuseppe Lumia - e capire, oltre al ruolo di Dell'Utri, quali sono stati i meccanismi che intrecciarono la politica di quegli anni con i nuovi volti di cosa nostra''. Inoltre, ha detto ancora l’ex vicepresidente della commissione antimafia, “e' importante che oltre alla magistratura ''che non va imbavagliata ne' aggredita, la politica nella commissione parlamentare sia disposta a andare avanti pronta ad accettare le piu' amare verita' e le conseguenze delle cosiddette 'responsabilita'politiche''. È chiaro che gli attacchi sistematici alla magistratura e in particolare ai pm del processo Mori che per primi hanno raccolto le delicate dichiarazioni di Massimo Ciancimino, Antonio Ingroia e Nino Di Matteo, sono un segnale da parte del governo di delegittimazioni preventive e strumentali. Puntare il dito contro questi due veri servitori dello Stato, quello in cui tanti cittadini onesti si identificano e quello per cui tanti altri hanno dato la vita, vuol dire esporli alla vendetta omicida della criminalità organizzata, sempre pronta a servire il “padrone” per ricevere il proprio osso in cambio. Le rivelazioni di Massimo Ciancimino, che che se ne dica, fanno paura perché sono ritenute veritiere anche da chi lo attacca. Ma probabilmente a preoccupare maggiormente costoro è il fatto che chi lo sta analizzando, verificando e riscontrando, non è ricattabile.

Ciancimino: 1° certificato di attendibilità
E nonostante il Senatore Dell’Utri si spertichi in giudizi contro l’attendibilità del dichiarante, appellandosi a un verbale di Ciancimino definito “contradditorio”, per via di alcune iniziali reticenze del figlio di don Vito, a suo dire provocate dal timore di “entrare in un gioco più grande di lui”, c'è una sentenza in cui il figlio dell’ex sindaco di Palermo è stato ritenuto  altamente attendibile dalla Corte che ha condannato lo scorso luglio a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa l’ex deputato siciliano di Forza Italia Giovanni Mercadante. Un medico tra i più rinomati e conosciuti a Palermo, primario della radiologia del centro tumori dell’ospedale Civico e membro della più ristretta cerchia di consigliori di Bernardo Provenzano insieme a Pino Lipari e Tommaso Cannella. Massimo Ciancimino ha aiutato la Corte a ricostruire con puntualità e coerenza i passaggi salienti di un conflitto sorto proprio fra i due, costituendo un riscontro formidabile a due collaboratori di giustizia del calibro di Angelo Siino e Antonino Giuffrè, entrambi già ritenuti ampiamente credibili dai Tribunali di mezza Italia. Anche in questo caso il testimone di casa Ciancimino ha ricostruito il perverso sistema di frequentazioni, alleanze ed accordi politico-istituzionali che ha fatto di Riina, Liggio e Provenzano un centro di potere capace di condizionare la storia politico-sociale ed economica della Sicilia, e in parte della Repubblica, dagli anni Settanta fino ad oggi. Una straordinaria corrispondenza di fatti che i giudici hanno molto apprezzato e che in parte può essere ritrovata negli interrogatori del processo Mori, l’ex numero uno del Sisde sotto accusa per la mancata cattura di Provenzano nel ‘95. Un procedimento che riprenderà il prossimo martedi 2 marzo e che vedrà lo stesso Ciancimino impugnare la sua causa di verità ereditata pesantemente dal padre, nel controinterrogatorio della difesa. Con la prospettiva di spiegare anche al processo contro il Senatore Dell’Utri, per la quale la corte dovrà esprimersi sulla sua ammissione, i legami economici che negli anni ’70 e ’80 avrebbero indissolubilmente unito in un vincolo di reciproco scambio, interessi mafiosi e società operanti nella costruzione di Milano 2. Verità pesanti che non possono più essere imbavagliate e che una grande parte d’Italia, quella che della piazza ha smesso di gridare “Barabba”, è già pronta ad ascoltare. 

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