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di Marta Capaccioni - Fotogallery
L’orchestra di Cateura: musica riciclata, musica che è vita

Do, re, mi, fa, sol, la, si. Possono nascere in un teatro, in una stanza ovale, in un castello o in una semplice scuola di musica. Ma nessuno si immagina che quelle note possano fiorire e vivere dove si innalzano torri di immondizia e dove l’odore soffocante permette a malapena di respirare. Proprio così. L’armonia è nata a due passi da Asunción, capitale del Paraguay, nel luogo in cui ogni giorno vengono scaricate tonnellate di spazzatura. Incredibile, no? Come può un pezzo di plastica o un barattolo di alluminio trasformarsi nella 5° Sinfonia di Beethoven o in Imagine dei Beatles? La musica è ovunque, si direbbe.
Sì, la musica è Cateura. Un quartiere nato ai piedi della discarica, da qualche anno diventato una piccola città, dove 25.000 persone vivono nel fango delle strade e nella precarietà di quattro mura di acciaio appoggiate l’una sull’altra: senza servizi igienici e per la maggioranza, senza elettricità.
A Cateura un violino costerebbe quanto una casa. Non hanno soldi, ma tanti rifiuti. E allora, nel 2006, l’ingegnere ambientale della discarica, Fabio Chavez ebbe l’idea: recuperare per creare. Due scatole da conserva per la chitarra, parti di grondaia e alcune monete per il sassofono, barattoli di vernice e una forchetta per il violino, una latta d’olio per il contrabbasso. Ormai questi strumenti hanno un marchio di fabbrica, in molti li chiedono. Ma la musica di Cateura non si può comprare, perché il senso di quel suono, unico e introvabile, risiede nei giovani ragazzi che gli danno vita. Quei giovani ragazzi che trovano nella musica l’unico modo per fuggire dalla loro realtà, pur dovendoci rimanere, e magari per tutta la vita.


Sì, la musica è Cateura. Qui un’orchestra di giovani, giovanissimi musicisti, nati al limite della comunità, ignoti ed emarginati dal mondo, hanno suonato concerti in Canada, nel Nord America, in Palestina, in Giappone e in varie parti d’Europa, tra cui anche l’Italia. E si sono fatti conoscere, eccome se lo hanno fatto.
Urla e applausi da parte di centinaia di migliaia di persone, che senza rendersene conto, hanno incontrato frammenti di un’altra esistenza, molto diversa dalla loro quotidianità. E forse, ciò che impressiona di più, non è la mancanza di sovvenzioni da parte dello Stato o delle organizzazioni Paraguaye, perché il vero miracolo sarebbe se succedesse il contrario. Ciò che spaventa di più è la realtà nella quale i ragazzi di Cateura sono costretti a vivere tutti i giorni, una miseria che continua nonostante la loro popolarità, nonostante il mondo intero sia diventato il loro pubblico e le loro foto abbiano fatto il giro di decine di nazioni. Nulla è cambiato in Cateura. Nulla si è mosso, nulla è stato detto, nulla è stato denunciato. Anche noi li abbiamo incontrati e abbiamo assaporato l’essenza di quella musica. Mentre suonavano, i loro sguardi non smettevano di seguirci, curiosi di sapere chi eravamo e perché ci trovavamo laggiù, ai confini della terra. Non eravamo il loro pubblico abituale. Eravamo incantati dalla loro musica e sbalorditi dal fatto che quella meraviglia si potesse trovare in un posto del genere. Ci identificavamo nella loro arte. Perché l’arte, la musica, ha il magico potere di portarti via in un posto lontano, di farti scappare e di far perdere ogni tua traccia ai tormenti di questo mondo. Ha il potere di farti ricominciare a vivere. E questa è anche l’essenza della nostra arte.
Cateura è musica e la musica è speranza. È la speranza di un bambino che cresce, si forma e impara a stare insieme ai suoi compagni. È la speranza di un giovane che decide di non drogarsi più, perché ha trovato nello strumento un amico che gli dà forza. È la speranza di un genitore, che piangendo di gioia, desidera per suo figlio una vita diversa, una vita che lui non potrebbe dargli, una vita sotto un cielo diverso. È la speranza di un popolo che, nonostante tutto, ha ancora tanto da dare, e soprattutto da insegnare a tutti noi.
E lo fa, ogni giorno, inviandoci la sua musica.

Foto © Our Voice

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