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di Stefano Baudino
Tra il 1979 e il 1980 la furia omicida di Totò Riina si scatenò contro una lunga serie di uomini dello Stato, senza mai passare dall’approvazione dei componenti della Commissione di Cosa Nostra, ormai completamente esautorata dal risoluto impeto dei viddani di Corleone. Sotto i proiettili dei corleonesi caddero i politici democristiani Michele Reina e Piersanti Mattarella, il capo della squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e il giudice Cesare Terranova, il quale aveva condannato Luciano Liggio all’ergastolo e che era stato componente della commissione Antimafia fino a tre anni prima. La mafia procedette anche all’eliminazione del giudice Gaetano Costa, procuratore capo di Palermo, che aveva cercato di sferrare in solitudine una concreta offensiva a Cosa Nostra aggredendo il suo patrimonio e firmando numerosi ordini di cattura ai danni dei suoi esponenti, cosa che molti dei suoi colleghi avevano accuratamente evitato di fare. Due anni prima, insediandosi, aveva pronunciato queste parole: «Vengo in un ambiente dove non conosco nessuno, sono distratto e poco fisionomista. Sono circostanze che provocheranno equivoci. In questa situazione è inevitabile che il mio inserimento provocherà anche dei fenomeni di rigetto. Se la discussione però si sviluppa senza riserve mentali, per quanto vivace, polemica e stimolante, non ci priverà di una sostanziale serenità. Ma ove la discussione fosse inquinata da rapporti d'inimicizia, d'interlocutori ostili e pieni di riserve, si giungerà fatalmente alla lite». Il secondo atto dell’offensiva contro lo Stato, aperto nove anni prima con la morte di Pietro Scaglione per mano di Liggio, era stato completato. Purtroppo, erano alle porte eventi ancora più tragici ed emblematici.

Stefano Bontate, che sentiva tremare il terreno sotto i suoi piedi, si mise immediatamente sulle tracce di Riina. Non essendo riuscito a trovarlo, decise di rivalersi su Stefano Giaconia, uomo d’onore alleato del capo dei corleonesi, il quale venne da lui personalmente strangolato. Ma, col senno di poi, si può chiaramente evidenziare come questo tipo di reazione alla scalata al potere da parte dei corleonesi fu inutile, tardiva e assolutamente inefficace.

La vita del Principe di Villagrazia era appesa a un filo. Il giorno del suo quarantaduesimo compleanno, il 23 Aprile del 1981, Stefano Bontate venne mitragliato di colpi e lasciato senza vita all’interno della sua auto, con la faccia sfigurata dai proiettili: l'autore del delitto, Giuseppe Greco, aveva già fatto parte del commando omicida che aveva steso il colonnello Giuseppe Russo nel bosco della Ficuzza. Diciotto giorni dopo, la stessa sorte toccò a Salvatore Inzerillo, braccio destro di Bontate. Anche lui venne colpito in viso e sfigurato dai proiettili esplosi dai kalashnikov dei suoi carnefici. Nello stesso anno, furono ammazzati i suoi fratelli Santo e Pietro, nonché suo figlio, un ragazzino di soli sedici anni. Dopo questi fatti i cugini Gambino, alleati americani del duo Bontate-Inzerillo, accolsero a New York molti dei suoi familiari che, sentendosi in pericolo, furono costretti a lasciare la Sicilia e ad andare a proteggersi oltreoceano. Le vittime della seconda guerra di mafia, vinta dai corleonesi, furono probabilmente più di mille. Un’ecatombe inaudita, devastante, ordita e portata a termine da un sanguinario esercito di viddani che ambivano a conquistare l’intera Sicilia. Il pentito Gaspare Mutolo, che ai tempi della seconda guerra di mafia era un sodale di Totò Riina, affermerà che «la guerra c’è quando due o più famiglie si armano e sanno che un gruppo combatte contro un altro. A Palermo questa guerra di mafia non c’è mai stata. C’è stato un massacro».

Nel giro di soli cinque mesi, inoltre, vennero uccisi a colpi di pistola Pio La Torre e Carlo Alberto dalla Chiesa. Il primo era un politico del Partito Comunista e membro della Commissione parlamentare antimafia, il quale ha aveva avuto il coraggio di ideare un progetto di legge che prevedesse l’imputazione per associazione mafiosa (in quanto, ufficialmente, Cosa Nostra non veniva ancora considerata come una vera e propria associazione criminale organizzata). Il secondo, che aveva peraltro prestato servizio a Corleone ai tempi dell’omicidio di Placido Rizzotto, era stato nominato prefetto di Palermo neanche cinque mesi prima di perdere la vita.

Rubrica Mafia in pillole

In foto: il procuratore Gaetano Costa ucciso da Cosa Nostra il 6 agosto 1980 © Letizia Battaglia