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di Stefano Baudino
A cavallo tra gli anni cinquanta e gli anni sessanta del secolo scorso, a Palermo, vennero concesse 4200 licenze edilizie, gran parte delle quali intestate ad una manciata di prestanome, dal sindaco della città Salvo Lima e dall'assessore ai lavori pubblici Vito Ciancimino, con la compiacenza di molti istituti di credito, i quali non esitarono a finanziare, in un vortice di illegalità e malaffare e molto spesso in piena violazione delle norme di tutela del patrimonio pubblico, gli imprenditori legati alle famiglie mafiose di Palermo. Questo fu, insomma, il Sacco di Palermo: un'espansione edilizia aberrante e sproporzionata, che produsse la distruzione di numerose ville Liberty e che, storicamente, rappresentò l'origine di un inestricabile legame tra Cosa Nostra ed importanti esponenti della politica locale, legati a doppio filo con i vertici dei partiti del Governo nazionale, primo tra tutti quello della Democrazia Cristiana. Le cosche mafiose ebbero modo di lucrare, in particolare, sui subappalti per il cemento, per la manutenzione delle strade e per la nettezza urbana.
La mafia, è assolutamente evidente, ha da sempre l'opportunità di sviluppare la sua rete d’affari e di accrescere i suoi guadagni quando le condizioni socio-economiche del Paese in cui opera la inducono, nella veste di potere illegale e parallelo, a trovare un’alleanza con l’establishment economico e politico ufficiale, garantendo l’impegno a supportare politicamente tutti coloro che non esiteranno ad offrire qualcosa in cambio dei voti da essa controllati. E Cosa Nostra, come ha riassunto alacremente il collaboratore di giustizia Antonino Calderone, ha avuto senza ombra di dubbio la possibilità di muovere un'enorme quantità di consensi verso l'uno o l'altro candidato nel corso degli ultimi decenni: "Gli uomini politici sono sempre venuti a cercarci perché disponiamo di tanti, tantissimi voti. Per avere un’idea di quanto conti la mafia alle elezioni basta pensare alla famiglia di Santa Maria del Gesù, una famiglia di 200 elementi validi: una forza d’urto terrificante, soprattutto se si tiene presente che ogni uomo d’onore, tra amici e parenti, può disporre di altre 40-50 persone. Gli uomini d’onore in provincia di Palermo sono tra 1500 e 2000. Moltiplicate per 50 e otterrete un bel pacco di 75-100 mila voti da orientare verso partiti e candidati amici".

Questo clima di grande fermento produsse i primi fisiologici conflitti tra le famiglie mafiose di Palermo, ognuna delle quali cercava di accaparrarsi importanti agganci politici e lauti guadagni dal boom dell'edilizia. Il pretesto per lo scontro aperto tra le famiglie palermitane fu quello di una presunta truffa ordita dal capo mandamento della Noce Calcedonio Di Pisa su una partita di droga diretta in America, vicenda che diede inizio alla lotta tra i fratelli La Barbera (che controllavano il centro-ovest di Palermo e avevano rapporti molto stretti con il sindaco Lima), i quali puntavano il dito contro Di Pisa, e la fazione capeggiata da Salvatore Greco (il quale dominava sulla zona est della città), che invece aveva optato per la sua assoluzione.

manzella impastato badalamenti

1952. Comitato per i festeggiamenti in onore della patrona santa Fara. Da sinistra: Leonardo Pandolfo, Cesare Manzella, Luigi (padre di Peppino) e Masi Impastato, Sarino e Gaetano Badalamenti


La prima guerra di mafia ebbe dunque inizio e i morti non tardarono a riempire le strade della città: il 26 Dicembre 1962 Calcedonio Di Pisa venne ucciso dal boss Michele Cavataio, il quale riuscì abilmente a far ricadere le colpe sui fratelli La Barbera, con l'obiettivo di assistere da spettatore non pagante ad un rovente regolamento di conti che, nei suoi piani, avrebbe dovuto essere funzionale alla caduta dei capifamiglia a lui avversi. Nel Gennaio del 1963 venne ucciso Salvatore La Barbera: la sua macchina fu ritrovata bruciata nel comune di Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, ma del suo corpo si perse ogni traccia. Nell'Aprile del 1963 a cadere per mano di Angelo La Barbera fu invece Cesare Manzella, capomandamento di Cinisi. Nei mesi successivi vennero inoltre assassinati molti altri esponenti di spicco della cosca della Noce, di Santa Maria Gesù e di Ficarazzi.

L’epilogo di questa striscia di sangue ebbe luogo il 30 Giugno 1963: due automobili, rispettivamente a Villabate e Ciaculli (nei pressi dell’abitazione di un parente di Salvatore Greco), esplosero e uccisero complessivamente nove uomini. In particolare, le sette vittime della seconda bomba appartenevano alle forze dell’ordine.
Lo scalpore destato dalla strage di Ciaculli indusse lo Stato, per la prima volta dopo la parentesi che, negli anni venti, vide come protagonista il Prefetto di ferro Cesare Mori, ad intraprendere un’azione di dura repressione nei confronti della mafia palermitana: le indagini, gli arresti ed i rinvii a giudizio toccarono tutte le cosche più importanti; parte dei pezzi da novanta dell’organizzazione, tra cui Tommaso Buscetta e Salvatore Greco, scapparono all’estero; la Commissione mafiosa venne ufficialmente sciolta e Cosa Nostra rischiò, forse per la prima e unica volta dalla sua nascita fino ad oggi, di essere irrimediabilmente sconfitta.
Saranno purtroppo le sentenze conclusive dei processi scaturiti da quegli arresti e da quelle indagini a far tirare un lungo sospiro di sollievo ai boss della Cupola.

Rubrica Mafia in pillole

Foto di copertina: vista aerea di Palermo © Imagoeconomica