Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

sabella alfonso 0di Antonio Ingroia
Nel pasticciaccio brutto che è ormai Roma-Mafia Capitale, reso ancor più indigeribile dall’invenzione del sindaco sotto tutela per cercare di salvare al Pd la faccia e la poltrona, c’è sottotraccia l’eterna questione della (ir)responsabilità politica. L’ha riproposta in un’intervista l’assessore alla Legalità Alfonso Sabella, magistrato di risaputa onestà e franchezza, che però, nella foga di difendere Marino, è arrivato a sostenere che la legge sullo scioglimento dei consigli comunali condizionati dalla mafia andrebbe rivista perché violerebbe il principio di sovranità popolare quando il sindaco risultasse non coinvolto.

Ebbene, trovo questa obiezione preoccupante per più di una ragione. Una è strettamente giuridica: perché un tale ragionamento, se portato sino in fondo, conduce all’abrogazione tout court della normativa, dato che lo scioglimento del comune costituisce sempre una deroga alla sovranità popolare, non solo per il sindaco ma anche per i consiglieri comunali. Con effetti paradossali per i consiglieri di opposizione del tutto incolpevoli e impotenti perché nulla possono, in quanto minoranza, per rimuovere i fattori di condizionamento mafioso. Ed ovviamente varrebbe per tutti gli eletti, compresi sindaco e consiglieri mai indagati dalla magistratura ma che pagherebbero una situazione oggettiva, a loro non attribuibile se non per responsabilità politica. Una responsabilità basata su parametri discrezionali, in quanto affidati alla politica, e quindi ben diversa dalla responsabilità penale su cui si è giudicati in un’aula giudiziaria.

Ma l’aspetto davvero preoccupante della questione è un altro, di natura politico-culturale: dilaga ovunque quella pretesa di impunità derivante dal voto che è stato per vent’anni il grido di battaglia di Berlusconi. Il Cavaliere, in nome della sovranità popolare, pretendeva addirittura l’impunità penale: “Io sono stato eletto dal popolo sovrano e quindi non posso essere chiamato a rispondere dei reati di cui la magistratura mi accusa”, sosteneva. Ebbene, che oggi, persino nella giunta di un sindaco Pd “eretico” rispetto al verbo renziano, prenda piede la stessa idea di rivendicare in nome della sovranità popolare un’immunità, non giudiziaria come faceva l’impunito per definizione, mapolitica, non può che allarmare parecchio. I lasciti del ventennio berlusconiano penetrano negli ambienti più insospettabili.

Si tratta invece di salvaguardare la democrazia sostanziale, sempre minacciata da mafia e corruzione, difendendola dai rischi legati al dogma del consenso che può essere drogato dai sistemi criminali, e ponendo confini al dispotismo della democrazia aritmetica. Occorrono pesi e contrappesi, con organismi sovraordinati che in caso di rottura della legalità possano intervenire a tutela del bene comune neutralizzando gli effetti della democrazia apparente. E allora la legge sullo scioglimento per mafia va semmai ripensata per renderla più efficiente: magari più duttile, ma applicabile anche a realtà territoriali più ampie.

Resta il tema dell’affidabilità degli organi superiori cui affidare valutazioni e decisioni, ma sostenere che in nome della sovranità popolare i Comuni possano essere sciolti solo in presenza di responsabilità individualmente attribuibili al sindaco significherebbe ignorare ancora una volta il principio di responsabilità politica. Mafia Capitale è il risultato di questo enorme vuoto di responsabilità. Di fronte alla desolante espansione dei sistemi criminali di mafia e corruzione serve il potenziamento degli strumenti che operano in base ai criteri della responsabilità politica, non la loro mortificazione o - peggio - la loro sostanziale abrogazione. Senza pasticci, ipocrisie, e cedimenti alla cultura dell’impunità di berlusconiana memoria.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 30 agosto 2015