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lespresso-crocettadi Antonio Ingroia - 25 luglio 2015
Non è normale che a pochi giorni dall’anniversario della commemorazione della strage di via D’Amelio, quando ci si chiede a che punto siamo nella ricerca della verità, esca un articolo fondato su un’intercettazione che pare inesistente, quella in cui il medico di Rosario Crocetta direbbe che la figlia di Borsellino, assessore regionale alla Sanità oggi dimissionaria, dovrebbe fare la stessa fine del padre. Un articolo che destabilizza la famiglia Borsellino e tutti gli italiani onesti, distraendoci così dalla strage del 19 luglio e dal tema vero, quello della verità sullo stragismo mafioso e sulla trattativa Stato-mafia che è costata la vita a Borsellino e alla sua scorta.

Attenzione, non è in discussione il tema delle intercettazioni. Non vorrei che questa vicenda potesse ridare fiato a chi vuole ridurre le potenzialità investigative della magistratura e mettere il bavaglio alla stampa. Difendo la magistratura e il diritto di cronaca dei giornalisti che devono poter pubblicare anche intercettazioni penalmente non rilevanti purché contengano notizie di pubblico interesse. È necessario, però, che siano intercettazioni autentiche, e non bufale, e che la cosa non sia nebulosa come nel caso dell’”affaire” Crocetta-Espresso.

Ho già espresso la mia idea su questa intercettazione. So bene come si scrive un comunicato in cui la procura deve coniugare tutela della riservatezza dell’indagine e obbligo di dire la verità. Perché un magistrato serio non può non dire la verità. E’ stato tirato in ballo il caso del comunicato su Renato Schifani. Ma si trattava di un caso ben diverso. In quella circostanza, il comunicato della Procura di Palermo negava che il nome di Schifani fosse iscritto nel registro degli indagati, seppur Schifani fosse davvero indagato, per il semplice fatto che avevamo “mimetizzato” con apposito provvedimento di segretazione il nome di Schifani iscrivendolo con un nominativo convenzionale. In quel caso, quindi, avevamo detto la verità, cioè che il suo nome non era iscritto, ma salvammo la riservatezza dell’indagine. Questa volta, invece, la Procura è stata chiara, netta, precisa: quell’intercettazione, ha detto, non esiste. E per me una dichiarazione del genere, conoscendo la serietà dei colleghi che lavorano alla Procura di Palermo, è Vangelo. Ma non basta. L’Espresso ha prima detto che l’intercettazione era in possesso della Procura di Palermo, poi, dopo la smentita di Lo Voi, ha cambiato versione affermando che la stessa intercettazione proveniva da un’altra procura. E all’appello del ministro degli Interni Alfano a tutte le procure a rivelare l’eventuale esistenza di quella intercettazione in qualsiasi altro filone di indagine hanno già risposto altre due procure siciliane, Caltanissetta e Messina, che hanno confermato l’inesistenza di quell’intercettazione ai loro atti. Conosco l’Espresso come testata giornalistica seria e voglio pensare che siano incappati in un incidente di percorso affidandosi a una fonte inaffidabile. Semmai bisognerebbe indagare su quella fonte e sui suoi obiettivi.

Sia chiaro. La mia non è una difesa d’ufficio di Crocetta perché sono convinto che il bilancio dell’operato politico del suo governo è stato finora largamente deficitario. Ma questa è un’altra questione, ben diversa dalla criminalizzazione di un uomo politico attraverso la pubblicazione di un’intercettazione inesistente. Non si può infangare qualcuno con un sistema che ricorda molto da vicino il famoso “metodo Boffo”. Metodi di killeraggio politico-mediatico che si vanno pericolosamente diffondendo in ogni dove ed in testate giornalistiche di diversa estrazione politica. E’ forse questo l’aspetto più inquietante della vicenda su cui ci si dovrebbe interrogare. Un pericoloso e progressivo imbarbarimento dell’informazione e della lotta politica che ci deve far riflettere. Prima che sia troppo tardi.

* Editoriale in prima pagina di Cronache del Garantista in edicola oggi

Tratto da: azione-civile.net

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