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toga-sangue-tribunale0di Antonio Ingroia - 3 giugno 2015
Da magistrato ho fatto per 25 anni il Pm e quindi non avevo accesso al segreto della camera di consiglio dei giudici, così come non vi ho accesso oggi che faccio l`avvocato. Sarà forse per questo che non avverto lo stesso ossequio sacrale verso la camera di consiglio di tanti miei ex colleghi che traspare pure nel dibattito sviluppatosi su queste colonne.

Però resto convinto che Gustavo Zagrebelsky e Marco Travaglio abbiano ragione quando dicono che si tratta di un segreto che fa acqua da tutte le parti.

E penso che andrebbe vinta l’ostinazione di gran parte della magistratura nel difendere questo antico feticcio. Per di più, i recenti scandali, denunciati in queste pagine, che smitizzano la sacralità della camera di consiglio, svilita in sconcertanti pressioni al ristorante di un giudice (togato) nei confronti di un altro giudice (popolare) per orientare la decisione finale verso l`assoluzione dei soliti potenti, potrebbero essere l`occasione per accantonare quell`anacronistico retaggio del pensiero giuspositivista che ancorava la difesa del principio della certezza del diritto all`apparente unanimismo della sentenza, tutelato dalla segretezza della camera di consiglio.

Una certezza che non ammetterebbe la pubblicazione dei contrasti interni, pena la messa in discussione dell`autorità della sentenza e quindi della legge.

Credo invece che la pubblicità del dibattito interno ai collegi potrebbe rendere più laico l`approccio dei cittadini alla giustizia. Sapere che il verdetto è spesso frutto di decisioni controverse e dibattute, tutt`altro che pacifiche, renderebbe meno sorprendenti i capovolgimenti di decisioni da un grado all`altro di giudizio, che desterebbero perciò meno scandalo.

D`altra parte, si tratta di non ignorare altre, opposte, esigenze legate alla libertà del giudice che esprime le proprie opinioni, anche dissenzienti, nella dialettica interna al collegio, libertà che dipende anche dalla sua sensazione di sicurezza, quando si tratta di esporsi al rischio di essere individuato come “giudice ostile”. Il che vale soprattutto per certi processi, come quelli di mafia, e per i giudici popolari, ai quali più difficilmente si possono chiedere atti di eroismo civico. Occorre trovare, insomma, il corretto equilibrio tra il giusto e crescente interesse dell`opinione pubblica a sapere come si formano le sentenze e la sacrosanta tutela della serenità del giudice. E non solo, perché non va trascurata una perplessità più politica. Non vorrei che la pubblicazione integrale della formazione delle decisioni collegiali agevoli la personalizzazione del giudice e delle sue posizioni, così indirettamente favorendo certe posizioni estreme e inaccettabili, come quelle della Lega Nord che da anni sostiene che la personalizzazione della giurisdizione dovrebbe essere consacrata con l`introduzione addirittura dell`elezione diretta dei giudici.

Come contemperare allora, le opposte esigenze? Io credo che l`interesse alla massima trasparenza debba sempre prevalere in relazione ai collegi che giudicano soprattutto questioni di diritto, e quindi Corte costituzionale e Cassazione, mentre per i collegi di merito dovrebbe essere riconosciuta, semmai, la facoltà del giudice dissenziente di rendere nota la propria dissenting opinion.

Fra l`altro, in questo modo si potrebbero stroncare anche furbizie e unanimismi di comodo. Mi viene in mente un caso, quello dell`assoluzione in primo grado di Giulio Andreotti da parte di un collegio di giudici palermitani, di cui nei corridoi del Palazzo di Giustizia si diceva ci fosse stata una spaccatura nel segreto della camera del consiglio. Strano però che i giudici, di cui si diceva fossero andati in minoranza, erano due su tre. Ma allora come mai Andreotti è stato assolto? Forse chi lo aveva assolto si vergognava di ammetterlo? Meno male che poi Corte d`appello e Cassazione hanno fatto giustizia dichiarando Andreotti colpevole almeno fino al 1980. Ma se fosse stato possibile rendere pubblico chi era il giudice dissenziente, tutto sarebbe stato più chiaro. Senza alibi per nessuno.

(Dal Fatto Quotidiano in edicola oggi)

Tratto da: azione-civile.net

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