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politica-e-mafia-il-circolo-viziosodi Rossana Lo Castro - 16 maggio 2015
«Falcone e Borsellino ci hanno insegnato la sobrietà. Le manifestazioni che alimentano il ricordo sono importanti, però, se si riesce a farle contenendo i costi credo sia un buon risultato». Antonio Ingroia evita la polemica. L’ex pm antimafia sposa la linea di Maria Falcone, sorella del giudice ucciso dal tritolo di Cosa nostra il 23 maggio del 1992, e non cavalca l’onda dell’indignazione a proposito del mancato arrivo a Palermo, quest’anno, delle navi della legalità. «L’idea di sostituire questa iniziativa con le piazze collegate tra loro con il contributo della Rai – spiega a Meridionews – è un buon modo per coinvolgere l’intero Paese e far rivivere il ricordo, quel giorno e contemporaneamente, in diverse città dell’Italia».

Nessuno scandalo, dunque. «In linea di principio la legalità è uno di quei settori in cui la spending review non dovrebbe mettere becco, ma nel caso specifico non ne farei un caso». Per uno dei papà del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, infatti, «i motivi per indignarsi sono altri». Degli esempi? «La poca attenzione alla tutela dei magistrati, lo scarso sostegno alle forze dell’ordine oppure ai testimoni di giustizia e alle vittime di mafia». E qui per lui che «i tagli alla legalità hanno portato danni gravissimi» e si tratta di «un dato di fatto che ogni magistrato può toccare con mano da parecchio tempo». Il dito è puntato contro i tagli sugli straordinari, sulle spese di benzina delle auto blindate, sulla scarsa manutenzione per i mezzi usati da chi ogni giorno rischia la vita per servire il Paese.

La «disattenzione della politica» in questo settore, ammette, però, il leader diAzione civile, viene da lontano, «un trend lungo anni». «Una costante indifferenza», quella denunciata da Ingroia, che sarebbe «ingeneroso» scaricare solo sul Governo Renzi. «Negli anni ‘90 dopo le stragi – spiega – lo Stato fece la voce grossa senza badare a spese. Dopo piano piano la questione è scivolata in fondo all’agenda delle priorità nazionali e la scelta è stata di tagliare sulla legalità. La costante indifferenza della politica ha portato conseguenze gravissime».

Se la politica latita, la società civile resta vigile. «Siamo lontani dalle manifestazioni oceaniche di rabbia e indignazione post stragi – prosegue Ingroia -, ma come dimostra la manifestazione di Libera dello scorso 21 marzo in occasione della Giornata delle memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie le piazze continuano a riempirsi. Solo c’è un senso di impotenza e frustrazione e il rischio è che si traduca in rassegnazione. Invece, occorre tenere alta la guardia». E anche i cittadini devono fare la propria parte. Come? «Scegliendo buoni rappresentanti quando si va a votare e facendo politica in prima persona» dice, perché oggi «non è più il tempo di delegare». Né alla politica, che si è dimostrata «incapace di rappresentare le istanze della società civile», né ai magistrati, che «devono svolgere il loro ruolo dentro i palazzi di giustizia e non possono supplire alle carenze della classe politica».

L’amarezza per una politica spesso ostile Ingroia non la nasconde. «Mi sono spesso sentito abbandonato e osteggiato – racconta -. E’ accaduto in stagioni diverse. In modo più acuto durante alcuni governi Berlusconi, quando si portò avanti una vera e propria crociata contro la magistratura, in una situazione di aperto conflitto. Ma anche in tempi recenti ho provato amarezza e delusione». Il riferimento è al conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sollevato dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. La vicenda è quella della mancata distruzione delle telefonate intercettate dalla Procura di Palermo a carico dell’ex vicepresidente del Csm, Nicola Mancino.

«Dal punto di vista dei principi era legittimo, ma di fatto quella presa di posizione isolò i magistrati che si occupavano della trattativa Stato-mafia e bloccò l’accertamento della verità, che da allora non ha compiuto grossi passi in avanti. Ci aspettavamo sostegno ed incoraggiamento abbiamo trovato invece isolamento e conflitti. Quello è stato il momento in cui ho deciso di abbandonare la magistratura. Ho capito che bisognava impegnarsi in prima persona per cambiare le cose da dentro il sistema».

Da qui la decisione di candidarsi a premier a capo della coalizione Rivoluzione civile per le politiche del 2013 e la creazione subito dopo del suo movimentoAzione civile. Si candiderebbe di nuovo? «Non sono mai stato interessato alle poltrone. Ho rifiutato seggi sicuri che mi erano stati offerti negli anni. Mi lanciai in quell’avventura per cambiare le cose che da magistrato non potevo cambiare. Quando la società civile capirà che c’è bisogno di una politica nuova e farà un passo avanti chiedendo un passo indietro ai vecchi politici allora potrei decidermi di rimettermi in gioco».

Perché per l’ex pm antimafia nella politica italiana non c’è traccia di novità. «Renzi? E’ il vecchio che si ammanta di nuovo, il simbolo di una politica autoreferenziale. E’ cambiato il capo ma non il sistema. Renzi è l’aggiornamento della vecchia politica personalistica iniziata con Bettino Craxi e proseguita con Silvio Berlusconi. Lo dimostra la riforma elettorale varata a colpi di fiducia. Occorre che il Paese comprenda che non abbiamo bisogno di salvatori della patria, ma che serve un movimento dal basso».

Il modello potrebbe essere quello dei grillini, un movimento, a cui Ingroia ammette di aver guardato con «interesse e favore» perché non era formato da professionisti della politica. «Il problema che mi pare resti dentro quel movimento, anche se oggi è in parte attenuato, è il deficit di democrazia. La linea è dettata dai due guru Grillo e Casaleggio. Se riuscirà ad aprirsi alla società civile, abbandonando la sua spiccata predilezione allo scontro e all’insulto ed accettando il confronto e l’alleanza con la parte buona della società allora potrebbe davvero essere il nuovo. Questo è il suo limite».

Rossana Lo Castro (www.palermo.meridionews.it)

Tratto da: azione-civile.net

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