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boschi-leggedi Antonio Ingroia - 9 maggio 2015
Ce l’hanno fatta. Un presidente del Consiglio non eletto, a capo di un governo non scelto dai cittadini, e una maggioranza risicata, ‘drogata’ da un premio dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale e dai vari cambi di casacca, sono riusciti a imporre al Paese un’altra legge elettorale porcata, che non supera il Porcellum me ne raccoglie semmai il testimone, lasciando l’Italia ostaggio di un sistema di voto sbagliato, pericoloso, con palesi difetti di incostituzionalità.

L’Italicum è legge, la Camera semivuota ha approvato il testo in via definitiva lunedì. Cambia solo il nome, ma la sostanza resta. La sostanza di una legge truffa, molto più di quella del 1953. Una legge che Renzi diceva di voler fare all’insegna del largo consenso, perché le regole fondamentali si scrivono tutti insieme, e che invece è stata sottratta a ogni discussione, blindata con il voto di fiducia, l’ennesima gravissima forzatura di un governo che ha ormai da tempo ridotto il Parlamento a una succursale di Palazzo Chigi, violandone l’autonomia, svuotandolo del proprio ruolo e delle proprie prerogative.

C’è tutto il peggio del renzismo concentrato nell’Italicum, una legge sbagliata nel metodo e nel merito. Nel metodo perché una riforma di stretta competenza parlamentare, da approvare con il più ampio confronto e la più ampia condivisione possibile, è stata imposta a colpi di (finta) maggioranza dal premier con un atto di arroganza – il ricorso alla fiducia – che sulle leggi elettorali ha solo due pessimi precedenti nella storia Unitaria e cioè quelli della legge Acerbo del 1923 e della legge truffa del 1953. La prima aprì al ventennio di dittatura fascista, la seconda, che comunque a confronto dell’Italicum era una signora legge, durò il tempo di una tornata elettorale e fu abrogata un anno dopo. Renzi ha deciso di ripercorrere quella strada, rifiutando il confronto, ignorando e soffocando ogni forma di dissenso, anche quella interna al suo stesso partito, arrivando al punto di sostituire in commissione i deputati non allineati, eludendo la Costituzione, il cui articolo 72 vuole che le leggi elettorali siano di competenza parlamentare e non governativa, minacciando elezioni anticipate.

La legge è poi sbagliata nel merito perché invece di correggere le storture del Porcellum, come aveva chiesto la Corte Costituzionale con la sentenza del 2014, ne conserva i peggiori vizi: capilista bloccati ed abnorme premio di maggioranza. Che, tradotto, significa negare ancora agli italiani quello che la Consulta gli aveva restituito, e cioè la possibilità di scegliere i parlamentari, e significa consegnare alla più grande minoranza la maggioranza dei seggi. Un solo partito prende tutto. Una distorsione imposta in nome della governabilità, volutamente dimenticando il valore della rappresentanza sottolineato dalla Corte.

Ecco così che l’Italicum diventa il sipario calato giù sulla nostra Repubblica parlamentare, con i suoi pesi e contrappesi, così come fu concepita dai padri costituenti dopo il ventennio fascista. Come ha ammesso lo stesso professor D’Alimonte, che della legge è stato il grande ispiratore, e come hanno sottolineato diversi costituzionalisti, il nuovo sistema di voto determina infatti l’elezione diretta del premier. Dunque si cambia la forma di governo, realizzando una riforma della Costituzione, e lo si fa con elegge ordinaria anziché con legge costituzionale, aggirando evidentemente la Costituzione stessa. E con il Senato non elettivo il risultato è un pericolosissimo presidenzialismo di fatto, perché senza i necessari bilanciamenti. Una deformazione forte del nostro impianto istituzionale, con una fortissima concentrazione di poteri in favore dell’esecutivo e in particolare del Presidente del Consiglio. Quando ci ha provato Berlusconi, il Pd ha alzato le barricate ed è sceso in piazza a protestare. Ora Renzi realizza quello che a Berlusconi non è riuscito e lo fa approfittando della pubblica sottomissione della maggioranza dei deputati, sempre ossequiosa e obbediente, evidentemente più preoccupata di conservare la poltrona che non di salvaguardare l’interesse e la tenuta democratica del Paese. Lo fa nel disinteresse se non nell’indifferenza della maggior parte degli italiani, che poco si appassiona a temi come la legge elettorale e troppo spesso si lascia sedure dal fascino dell’uomo forte.

Adesso tocca al Capo dello Stato, che è davanti a una responsabilità enorme e che finora ha preferito tacere. L’auspicio è che Mattarella, da garante della Costituzione, non firmi la legge, che impedisca si compia questo scempio. Se non lo fa, ci sono sempre la Corte costituzionale e il referendum abrogativo. L’importante è non arrendersi, l’importante è continuare a lottare per fermare l’ennesima indecenza del governo Renzi, forse la peggiore.

(www.lultimaribattuta.it)

Tratto da: azione-civile.net

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